Omaggio ai 3 mila uccisi nella tragica "Risiera,, di Giuseppe Mayda

Omaggio ai 3 mila uccisi nella tragica "Risiera,, Trieste: ricordano la "piccola Auschwitz,, Omaggio ai 3 mila uccisi nella tragica "Risiera,, Stamane saranno traslate le poche reliquie delle vittime : prigionieri politici italiani e slavi, partigiani ed ebrei - La macabra storia dell'unico "Lager della morte" nell'Italia occupata (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 17 gennaio. Nel cortile deserto le altissime mura di mattoni rossi, in cui si aprono i finestroni dell'antica pilatura del riso, rimandano con suono secco e scandito i passi dei visitatori; pochi blocchi di cemento delineano vagamente, sulla terra umida, il rettangolo del forno crematorio dove i nazisti bruciarono almeno tremila vittime; sul fondo, nel muro scrostato, c'è ancora la traccia del camino alto quaranta metri che gettava notte e giorno il suo fumo giallastro dall'odore dolce e nauseante. Sono trascorsi trent'anni e questa Risiera di San Sabba, che i triestini durante i cupi mesi dell'occupazione tedesca chiamavano l'« anticamera dell'inferno », non è molto mutata; l'architetto Romano Boico, che ha progettato la ristrutturazione degli edifìci divenuti monumento nazionale e inaugurati nell'aprile scorso dal Capo dello Stato, dice che volle lasciare praticamente intatta la sinistra massa della Risiera perché « guanto era accaduto in questo luogo mi parve tanto desolato da sembrare astratto, juori del tempo. Mi sentii investito da una vergogna che corrodeva istantaneamente qualsiasi idea di simboleggiare l'aberrazione. Allora pensai che questo squallore totale potesse monumentalizzati, e quindi esprimere il monito più penetrante ». Nel cortile, che sembra davvero formare lo scenario della detenzione e del supplizio come « una basilica laica a cielo aperto », non c'è nessuna epigrafe, nessuna opera d'arte, solo silenzio. E qui, domani mattina, con una cerimonia voluta dal Comune e dalla Regione Friuli Venezia Giulia a conclusione delle manifestazioni per il trentennale della Resistenza, verranno traslate le poche reliquie dei tremila e più trucidati arsi nel forno crematorio della «piccola Auschwitz» triestina: la nicchia sarà chiusa da una semplice lastra di cemento con la scritta « Ceneri delle vittime» nelle quattro lingue dei martiri, italiana, slovena, croata ed ebraica. San Sabba è un vecchio stabilimento industriale che sorge alla periferia di Trieste, su un'area di 12.000 metri quadrati, fra via Rio Primario e il Ratto della Pileria, Lo avevano costruito gli austriaci, attorno al 1913, per raffinare un milione di quintali all'anno di risone proveniente dall'India e dalla Cina e destinato ai mercati dell'impero austro-ungarico ma nell'autunno del 1943, quando era ormai fuori uso da molto tempo, venne destinato — dai nuovi occupanti — ad un macabro impiego. Tre settimane dopo l'armistizio, appena Trieste fu praticamente annessa alla Germania e diventò capitale dell'« Adriatisches Kunstenland » (il territorio del « Litorale Adriatico » che comprendeva anche le province di Gorizia, Pola, Udine, Fiume e Lubiana) il capo delle SS di Trieste, generale Odilo Lotario Globocnick, fece trasformare la Risiera in un « Vernichtungslager », un campo di sterminio, l'unico in tutta l'Europa invasa fuori dei confini del Grande Reich. Dalla Germania giunse un « esperto » di forni crematori, l'SS-Erwin Lambert (che oggi vive indisturbato a Stoccarda), noto per aver già costruito quelli di Treblinka e di Sobibor. A Trieste utilizzò il vecchio essiccatoio della Risiera e il « collaudo » dell'impianto avvenne nell'aprile 1944; nel forno di San Sabba furono bruciati i 71 cadaveri degli ostaggi fucilati dai nazisti al poligono di Opicina per rappresaglia ad un attentato ma le cremazioni vere e proprie cominciarono nella notte fra il 21 e il 22 giugno successivi, quando vennero gettati nel forno i corpi di 25 donne e 20 uomini, tutti partigiani italiani e slavi rastrellati nella regione. Benché la Risiera, se paragonata ad altri campi di sterminio tedeschi, facesse « la figura di una modesta officina artigiana accanto ad un colosso dell'industria moderna», i suoi lugubri stanzoni, dislocati sui quattro piani dell'edificio, erano in grado di contenere fino a 20.000 detenuti e il forno riusciva ad incenerire dai 50 ai 70 cadaveri al giorno. Al piano terreno, in una specie di bassa e lunga autorimessa, si aprivano le porte di diciassette micro-celle — ancora oggi conservate —, così piccole ed anguste che vi trovava posto soltanto il tavolaccio e un individuo di media statura non riusciva a rimanervi ritto in piedi. Qui i nazisti rinchiudevano i « Totenkandidaten », .' detenuti — cioè — che dovevano essere uccisi perché la Risiera non era soltanto campo di sterminio e di smistamento (a San Sabba, in¬ fatti, venivano formati i trasporti ferroviari per i « lager polacchi e tedeschi) ma anche caserma, deposito dei beni razziati, prigione e tribunale segreto. All'inizio, nell'inverno 1943-1944, le esecuzioni capitali ebbero luogo una volta alla settimana, il venerdì notte. Fra i quattro boia v'era un ucraino biondo, di nome Razenko, che un giorno confessò al carabiniere Giuseppe Gionchetti, di Trieste — detenuto assieme ad altri tre compagni e che poi riuscì a fuggire dalla Risiera — come svolgeva il suo feroce compito: « Io li uccido nella baracca dietro il forno — disse —. Lì portano dentro con la scusa di un interrogatorio e poi gli dicono: "Vai avanti". L'uomo o la donna fanno un passo avanti e io, nascosto dietro la porta, gli do una mazzata in testa ». La più alta percentuale di vittime di San Sabba fu data dai partigiani e dai prigionieri politici, italiani e slavi. Con loro vennero uccisi e bruciati nel forno crematorio anche decine di ebrei fra quelli catturati a Trieste, a Fiume, a Venezia, a Pado¬ va e nell'isola di Arbe dove, anche prima dell'8 settembre 1943, vi era stato un campo di concentramento, sotto comando italiano, di ebrei jugoslavi e croati. Purtroppo, l'entità del massacro è rimasta sconosciuta perché, secondo i complicati organigrammi nazisti per la « soluzione finale », lo sterminio fisico degli ebrei non era di competenza degli uffici locali ma delle autorità centrali del Reich (il « Reichssicherheitshauptamt », che- raccoglieva tutte le polizie tedesche, compresi la Gestapo e l'ufficio di Eichmann) e dei loro famigerati campi: solo eccezionalmente e per casi particolari di persone malate o intrasportabili — come rivela lo storico triestino Carlo Schiffrer — l'esecuzione avveniva alla Risiera. A San Sabba i nazisti — due dei quali, proprio per questi fatti, saranno processati in contumacia, il prossimo 16 febbraio, dalla Corte d'Assise di Trieste — riservavano agli ebrei un durissimo trattamento: spogliati di tutti i loro averi, le famiglie smembrate, ridotti alla fame e confinati negli stan¬ zoni del terzo piano, vivevano nel continuo terrore del forno crematorio perché — scrive Silva Bon Gherardi nel suo bellissimo saggio «La persecuzione antiebraica a Trieste 1938-1945 » — « quando nel forno crematorio il numero dei cadaveri risultava insufficiente, i tedeschi lo completavano prendendo alcuni ebrei ». Racconterà una superstite della Risiera: «Durante la notte si sentiva aprire di scatto il catenaccio degli stanzoni e fra grida e botte venivano prelevati sei o sette ebrei. Questi urlavano perché sapevano che dovevano morire. Subito dopo infatti si sentivano degli spari, i cani di guardia ululavano nel cortile. La mattina dopo per tutti i dieci giorni che rimasi a San Sabba, vidi il camino che fumava...». Così anche l'Italia ebbe il suo « lager della morte ». La Risiera funzionò fino all'ultimo giorno. Ancora la notte del 28 aprile 1945 vi furono bruciati sessanta cadaveri; l'indomani mattina i nazisti distrussero il forno crematorio con due cariche di tritolo e minarono le mura. Giuseppe Mayda

Persone citate: Eichmann, Gherardi, Lambert, Odilo Lotario Globocnick, Sabba, Silva