La notte dei mille fantasmi di Giovanni Arpino

La notte dei mille fantasmi "L'UOMO CHE ABBAIAVA ALLA LUNA,, DI GIOVANNI ARPINO: V La notte dei mille fantasmi La trasformazione del giovane Saverio Piumatti continua: deciso a capire la vita anziché subirla, egli s'accorge di possedere la facoltà di donare sogni agli altri, sia consolatorìi sia terrorizzanti. Intorno gli ruotano figure familiari, la madre, Madama Cernala, lo zio Nino depositario di popolari prudenze, il pappagallo Gioachino, la ragazza Diana, una creatura mite e senza difese, che sembra intuire la profonda differenza esistente tra Saverio e il mondo. Ma lo stesso Saverio ignora fin dove e come aiutare il suo prossimo, mentre i poteri che possiede finiscono per indebolirlo. Incontri occasionali gli forniscono motivo per penetrare l'esistenza di un'umanità piagata. Mentre l'avventura quotidiana lo costringe a interventi dì cui egli stesso non può graduare la portata. Una mano gentile lo scuoteva. Lentamente Saverio riusci ad avere percezione di sé, ma come se ogni suo arto fosse ormai lontano eppur visibile tra le sconosciute arie, tra le sconosciute acque d'un remotissimo spazio. « Ancora in sonnambula? », gli sorrideva Diana. Richiuse gli occhi perché anche lei avesse tempo per fuggire, collocarsi in quello spazio così distante. E sentiva il peso delle occhiaie, quasi gliele avesse pestate nel sonno un nemico. « Un po' livido, sì », dovette riconoscere Diana: « Avrai litigato con qualche mostro ». Dolcemente abbracciati, risero. Più tardi, Diana lo lavò, gli fece inghiottire alcune cucchiaiate di zabaione. Sedette infine a sferruzzare intorno a una bambola molto più piccola d'un dito bambino. « Chissà perché non mi piacciono se non sono cosi minuscole », disse. « Perché anche tu cerchi l'impossibile »,.fece Saverio. « L'ultima sarà come uno spillo. O un fagiolo. O il seme d'una mela. Che bellezza ». « Quando farai quell'ultima, io sarò già sparso dalla terra alla luna », si beò Saverio. « Allora io, col mio esercito di bambole, e a cavallo d'una cerva, ti raccoglierò un po' qua e un po' là. Sarò invincibile ». « Lo sei già adesso ». « Hai capito perché i tuoi pezzi se ne vanno? ». « Forse. Devo perdere la bestialità. Non c'è altra spiegazione. E poi che bisogno c'è di capire? E' il sentire, che conta », Saverio aveva faticato un attimo. « Sai cosa sento? », rise Diana: « Che ho sempre fame del pane del tuo cuore ». « Giusto. Perché io ho già mangiato il tuo », s'allietò Saverio. * * Quelle due ombre: le avevario appena intraviste. Come furie erano corse giù per le scale che portavano alle cantine. Gli strilli di Madama Cernaia subito temporaleschi e poi queruli: perché zio Nino aveva notato le armi, il mitra e la pistola, vibranti mentre II documento dell'ex S. Offìziu, che condanna la « rivoluzione sessuale », è teina d'obbligo par la sua attualità e incidenza generale. Perciò l'abbiamo sottoposto a tre teologi: i cattolici padre Domenico Grasso, su posizioni « ufficiali », don Giovanni Gennari, tull'altro che conservatore, e il metodista prof. Mario Sbuffi, uno dei massimi nomi dell'Evangelismo italiano. Le domande rispecchiano, in parte, le critiche mosse da teologi cattolici e da scienziati laici alla Dichiarazione. Perché la Chiesa è intervenuta proprio adesso? Non poteva lasciare il problema aperto? Grasso: « Un chiarimento era necessario per la sempre maggiore diffusione, anche fra teologi e pastori d'anime, dell'opinione secondo cui il progresso scientifico in materia di sessualità impone alla Chiesa un ripensamento profondo, se non un abbandono di quanto ha finora insegnato nell'elica sessuale ». Gennari: « Il documento è perfettamente legittimo e doveroso; è un'autentica difesa della persona umana quella di ribadire, soprattutto quando è scomodo e impopolare, il diritto dell'uomo ad essere sempre fine e mai mezzo neppure di piacere ». Sballi (metodista): «Anche se ci vorrebbe un lungo discorso sulla sessualità secondo la S. Scrittura e sul compito della Chiesa di entrare in dettagli da lasciare al senso di libertà e rispetto del credente, la Chiesa ha il diritto-dovere, di fronte al licenzioso edonismo attuale, di richiamare gli uomini al senso del peccato, alla riflessione sul con- precipitavano oltre il portone. « Banditi. Scappati qua dentro », eruttò Nino perdendosi in una giostra di bestemmie. Madama Cernaia, affrettatasi nell'androne, ebbe si e no il tempo di raccogliere il fuggitivo svanire d'una sirena poliziotta tra le nebbie serali. Impavida caracollò allora lungo i bassi gradini del sotterraneo per inchiavardarne l'uscio ferrato. « E si sono anche sbagliati », ne risali trionfante: « Non in quella del padrone di casa, tra prosciutti e bendidio, ma in quella ammuffita dell'avvocato ». « Sei meglio di Garibaldi », fu il commento di Nino, sbigottito davanti al piatto di minestra. « Garibaldi fu ferito », non tacque Gioachino, incerto ma curioso. « Zitto », impose Madama Cernaia e crollò sfiatata sulla seggiola: «Madre santa, pensiamo un momento. Mica c'è urgenza di altri scandali. Fatti venire uno straccio d'idea, tu: almeno una volta ». Le ultime parole attraversarono malamente la fisionomia di zio Nino, già dolorosa. A Diana affacciatasi dal bugigattolo, ancora Madama Cernaia ebbe le presenza di scaraventare l'ultimo rimescolio di tanta emozione: « Statevene quieti, voi due. Meno sapete, meglio è ». Apparve Saverio, quasi trascinandosi. « Da questa parte sono già in America », sorrise, e palpeggiava la spalla sinistra: «Cosa succede? ». Zio Nino puntò il bicchiere tremulo verso Madama Cernaia. « Due, ne ha presi. Ladri. Non i soliti nostri della notte. 'Due rapinatori. Chiusi in cantina », balbettò. « Che madre », rise Saverio: « Ti faranno brigadiera ». Ma ormai la donna aveva smarrito ogni residuo di forza. Rimescolò col cucchiaio, inghiottì due aridi singhiozzi. « Telefonate al padrone di casa. Ai carabinieri. Lesti. Che me li portino via », fu il suo debole lamento. « Fermi tutti. Lì dentro non possono far danno, se non spararsi tra loro », s'era ripreso zio Nino: « E ho un dubbio: che volessero rapinare per la terza volta l'orefice dall'altra parte del viale. Qualcosa deve averli spaventati ». « O tu. Fagli anche il ritratto », venne l'acuto di Madama Cernaia: « Li abbiamo sotto il didietro e perdi tempo a cabalizzare? Diana, per Saverio c'è un budino nel frigorifero. Tiralo fuori ». « Magari si pentono. Una notte come topi. Chi sa?», fece Diana allegramente: « Erano giovani? ». « Come l'aglio. Con salti da gatto selvatico. Questo è garantito », si produsse zio Nino. « Certo che se sono in trappola non c'è da aver pensieri », cogitò Saverio prendendo posto a tavola. « Ma nessuno telefona al padrone? Ai carabinieri? », risalì lo strepito di Madama Cernaia: « Proprio a me doveva capitare il manicomio che siete? O parlate a dispetto? ». « Minuto più minuto me-1 no. Studiamoci su », non rinunzio zio Nino. « Tango. O basta là », arrotò Gioachino, ma Madama Cernaia con decisione vendicativa ricoprì la gabbia e dietro il panno, perplesso, il pappagallo subì l'offesa d'una notte anticipata. « Brava gente, sveglia », strillò poi la donna: « Per Fintanto io vado a tirar giù l'avvocato. Capirà qualcosa, almeno lui ». « E la croce rossa, i pompieri, la giunta municipale », ghignò zio Nino: « Fa correre tutti. Cosa vuoi? La medaglia? ». « O madre mia che m'hai messa al mondo e che appena ti vedo ti levo il saluto », salmodiò Madama Cernaia, disfatta. « Sta brava. Per stavolta non ti faranno ancora cavaliere », non smise zio Nino: « E tu, Saverio, decidi. Sei o non sei il mago di casa? ». * ★ Oltre l'uscio ferrato, qualcuno piangeva. Finché tacque con un ultimo squittio dopo il rimprovero del compagno. Povere bestie, giudicò Saverio riaccingendosi a salire le scale. Si tenne al muro col braccio e la spalla intorpiditi. « Di' la verità: tu gli apriresti », lo accolse nell'androne Diana, pronta a sorreggerlo. « Non sono miei fratelli. Chi ammazza non è mio fratello, e così chi ruba, chi spara, chi offende il mondo », reagì Saverio con improvviso tono di durezza. « Scusa », mormorò Diana. In cucina il litigio era già alto. « Dovete denunciarli », andava strepitando l'avvocato agitando quel suoi grissini di braccia: « Ogni minuto che passa vi fa complici. Ignoranti che non siete altro ». Madama Cernaia, versato il caffè, si guardava attorno come se avesse perduto la sua fiera consistenza. « Per lei è sempre tutto facile. Lei non è umano », volle dir la sua il medico. « Ma la pianti », oppose isterico l'avvocato: « Lei parla di umanità? Che pulpito. Lei che sale le scale senza scarpe, al mattino, per leggere il mio giornale davanti alla porta, ginocchioni sul tappeto come un pezzente? ». Paonazzo, il medico depose con violenza la tazzina del caffè. « Perché non parliamo del suo cane piscione, uno scandalo del casamento, invece? », urlò: « Mattoidi e simili animali dovrebbero essere cacciati. Il vostro posto è il letamaio ». Li divise zio Nino, subito gongolante di poter far da paciere. « Bel modo di insaponarvi a vicenda, signori. Con la carne che c'è al fuoco. E va bene: telefonerò alla giustizia ». Il dito di Saverio fece cenno di no. « Domani », aggiunse il giovane: « Ormai è notte. Meglio domani. Arrivassero adesso, ci terrebbero in piedi ore e ore. Volete dormire o no? ». L'avvocato e il medico si alzarono, scontrosi. « Per me, so niente. Non tiratemi dentro a questa storia », disse il primo con pronta smorfia. « E io ho appunto una visita d'urgenza, chissà se torno stanotte. Sbrogliatevela come credete meglio », brontolò il secondo. Alla porta, manovrarono in modo d'ignorarsi. « Belle tempre. Ah, con loro lgbersvnCs la patria sta al sicuro », sghignazzò zio Nino versando dal bottiglione della grappa. « La mia pensione. Farete e direte tanto che andrà a ramengo la mia pensione. Lo so. Le teste che mi trovo davanti », riuscì soltanto a pronunciare la povera Madama Cernaia, ormai al di là di ogni sentimento. Toccò a Diana aiutarla perché si sradicasse dalla seggiola. A fatica la donna sparì nel suo stambugio. « Ma tu: sei ben sicuro? », domandò allora zio Nino. Saverio sedeva di sghimbescio, le occhiaie annerite sotto il peso della lampada. « Sicuro di cosa? », si interrogò a voce alta: « Di me, forse no. Di loro laggiù senz'altro. Non se ne andranno di qui senza un castigo. Perché tutto si aspettano: sparare, essere sparati, vincere e perdere. Ma non un vero castigo ». « Sii buono », pregò Diana. « Non posso », rispose desolato Saverio. « Capissi qualcosa anch'io », fu la rabbia di zio Nino: « Foste così gentili da non parlar sempre turco ». « O zio », rise Diana. « Avanti. Adesso il primo cammello che passa mi dà del tu », non depose il suo risentimento il vecchio: « Dico per dire, perché sei buona e anche bella. Fossi capitata a me, anche pochi anni fa, avrei messo la prolunga, per esser chiari. E non diventar rossa, che proprio non è il caso. Insomma: decidiamo. O devo togliermi dai piedi anch'io? ». Bussavano ai vetri. Poi una voce. « Volevo ben dire. Quel Mandarino. Ha un naso da tartufi per non perdere l'occasione », si disgustò Nino. Bastarono poche parole per- creato la natura umana, stabilendo nella sua costituzione un ordine di valori che riflettono il suo piano su di essa, la sua finalità. Questo piano egli lo ha chiarito nel Vecchio e Nuovo Testamento. Evidentemente per gli atei questi principi non hanno nulla di | assoluto. Quando, perciò, si j giudicano le dichiarazioni delj la Chiesa non bisogna dimenticare la fonte dalla quale essa attinge i suoi principi e i suoi criteri di valutazione ». La Chiesa, don Gennari, poteva rinnovare o no la propria morale « secondo i tempi »? Gennari: « Prima di tutto è fuori luogo rievocare i tabù e le repressioni come si fa, con dubbio buongusto, quanI do su un giornale uno psico| logo dice che "la masturbai zione nei seminari è la regola ". Il discorso è ben diverso e tengo a riaffermarlo anche qui. Se la Chiesa è la Chiesa, cioè "segno di contraddizione ", non può benedire questa nuova forma di schiavitù dilagante in cui la sessualità viene sfruttala ed esaltata fuori di un autentico contesto personale e diventa fonte di commercio capitalistico, di frustrazioni degenerative del sesso e di offese alla dignità soprattutto della donna ». Sarà seguita, oggi e specialmente dai giovani (il 60-70 per cento in Italia avrebbero rapporti prematrimoniali) l'etica sessuale della Chiesa? Grasso: «Sarebbe impossibile se l'uomo dovesse contare solo sulle sue forze. Per questo la Chiesa ha sempre ritenuto, in base alla Bibbia, che l'uomo non è solo nel suo sforzo morale, ma ha con sé la grazia di Dio ». che Mandarino si rendesse conto. Ebbe un sospiro doloroso. « E pensare ch'era stata una notte di vero zucchero », commentò: « Tutto venduto, persino due cartoni di cipolle. Posso fare qualcosa? Parlargli io? Fosse gente di paesi che conosco ». « Sta tranquillo: quelli si chiamano Salvatore o Ciccillo», gli rifece verso zio Nino. « Ma va. Ragazzi. Conoscono niente e nessuno », disse Diana. « Il male però lo conoscono. Lo scelgono. Perché sembra più facile », ribatté Saverio: « Domani li consegniamo ». « Domani domani », rise Mandarino versandosi grappa: « Mentre adesso ve ne state con una bombarda quale poltrona ». « Daranno già la testa nei muri. Mi sembra di vederli », fece Nino. « E intanto tu, Garibaldi, qui stai. Perché non attacchi all'arma bianca? », agitò le mani Mandarino. « Il giorno che t'attacco io un bottone, ti si apre un sorriso dall'ombelico al sottopancia. E piano con quella roba. E' grappa, mica un rosolio dei tuoi », contrastò Nino, ma stanco. « Così, per far ridere un amico, seppure in basso, tu mangeresti vent'anni di prigione », si interessò l'altro. « Vent'anni? Coi giudici di oggi, basta che io dimostri di avere avuto un'infanzia più difficile della tua. Ammetto che non sia qu >stione da poco, paragonandoci », mostrò i denti Nino. « Allora io vado. O resto? No: vado », compì una giravolta Mandarino: <; Davvero li vegliate tutta notte? ». Saverio annuì. Zio Nino lasciava ormai ciondolare la testa. « Mi torna in mente mio nonno: tu non puoi neanche immaginartelo », si risvegliò poi un attimo: « Nei suoi ultimi anni, voleva sapere solo più del tempo. Se piove o nevica. Se fa sole o brina. C'erano Hitler e quell'altro bell'elemento del Testone: due discorsi al giorno garantiti. Ma lui, benché avessimo la radio, solo del tempo voleva aver cognizione. Adesso capisco, ah se capisco ». « Va a dormire », gli sorrise Saverio. « Sarebbe come dirmi: vatti a seppellire. Ma già. Se cambi programma, chiamami. Anch'io dormo da una parte sola. E non far gestacci ». « Domattina alle sei: telefona pure ai carabinieri. O anche prima », lo rassicurò Saverio. « Sempreché quelli non sparino. Non sveglino tutti ». « Quel buco è un fosso cieco, sai bene. Neanche il demonio potrebbe sentirli », gli ricordò Saverio. Aveva ancora il sorriso, ma di mai vista secchezza. E occhiaie come crateri anneriti sotto la fronte. « Non così. Non così », pregò Diana. « Taci. Ora scendo. Tu: aspettami », rispose il giovane, con voce che la impietrì. Si era accoccolato contro l'uscio di ferro, indifferente al freddo. E dimenticando il piede, la spalla, la mano, diventati di cenere. Udì il proprio respiro, le intermittenze dei cuore: li misurò e vide, fino a dimenticarli, e con loro cancellò se stesso. Le immagini arrivarono e lui si lasciò attraversare, perché penetrassero nel loculo sbarrato, in quei cervelli di ragazzi, in volti e orbite che sapeva costruiti di niente. Dapprincipio, fu una vecchia. Poi due. Stavano sedute a fianco d'un letto d'ospedale, i volti chini e prigionieri nella curva dei gomiti. Parevano sole ossa e soli stracci, senza una fiammella di pensiero, ma ancora vive, ancora dolenti. Però non capivano il loro dolore, forme abbandonate di creature d'ospizio, che migliaia di figli e nipoti avevano lasciato lì, nella corsia bianca accecante eppur lurida, immacolata per diuturne pulizie eppur unta di pena, di assenze. Le vecchie si chinarono nella fantasia di quei ragazzi accucciati, stirandogli i nervi memoriali, e il primo regalo di questi spasmi fu già lacrima. Venne un bambino, un secondo, altri mille. Agitavano le mani e i ginocchi in giochi muti, su balconi ingombri di panni, ceste. Su per infinite spirali, ogni bambino su ogni balcone mostrava la lingua agli altri, mentre mani e ginocchi prigionieri dietro le sbarre dell'inferriate erano sempre più veloci. E qualcuno urlò, ma tardi. Perché una cesta, mille ceste diventate per gioco trampolini e trincee, aquiloni e cavalli, sui quali i mille bambini s'erano arrampicati nel fetore e nell'umido buio dei cortili, già si erano capovolte. E i mille bambini lentissimamente ora ingoiavano lo spazio vuoto, finché un'identica pietra nera di cortile li accoglieva tutti, brandelli scomposti, ossa gracili, anime incompiute. Soltanto allora la pietra fioriva d'erba, d'un prato di nessuno. Con invisibili tenaglie i mille bambini serrarono le tempie dei due disperati nella tenebra della cantina, quasi schiantandole. Intanto sopravvenivano loro, i morti. Senza una parola, uno sguardo. Camminavano col passo di chi sa che la marcia finirà mai. Una lieve polvere li ricopriva, anche se ognuno di loro aveva cercato di rivestire l'abito migliore, cravatte ben stirate. Non avevano scarpe, come accade a quasi tutti quando l'altrui devozione li sistema nelle bare. Mostravano le piaghe, tutte le ragioni dei loro diversi addii, stomaci insanguinati e gole putrescenti, macello d'ossa e funghi d'intestini. Poi, pudicamente, ricoprivano quelle identità offerte per dovere, e se ne andavano tra la polvere leggera, rimpicciolendo in un orizzonte di alberi grami, silenzi sopraffatti da altri silenzi, nebbie d'incerti porticati. Ora Saverio sentiva il pazzo uggiolio dei due reclusi, e 10 stridor di denti delle loro bocche. Aprì, offrendosi. Nel fioco contrasto della luce, li vide. Si trascinavano sui ginocchi come bestie che hanno smarrito il filo del labirinto. Gli vennero incontro senza sollevarsi, strisciando, finché gli furono ai piedi e cominciarono a mordergli le scarpe. Con fauci spalancate a dimostrare il terrore. Con morsi debolissimi, canini, di resa a chissà quale misteriosa pietà. « Venite, ora », li aiutò Saverio. * ★ « Meglio così. Sia chiaro che tu Mandarino fai schifo. E dovevamo saperlo da sempre. Ma meglio così: perché lui li avrebbe lasciati andare », disse ancora zio Nino. « So neanch'io se versargli una tazza di caffè o un bel niente », riecheggiò disgustata Madama Cernaia. La camionetta del maresciallo era già partita, i due ragazzi infagottati l'uno sull'altro. Mandarino non osava allungare la mano verso la tazzina. Fissò i vetri che davano su un illeggibile schermo di nebbia. Cercò per l'ennesima volta di farsi capire. « Devo pur far strada nella vita. O no? Quel maresciallo è amico mio », ripetè con voce atona: « Non l'ho cercato. Visto al caffè. Mi scappa di raccontare. Assicuro, giuro: che stanno chiusi in cantina, che 11 volete consegnare. Lui mi dice: fuori l'indirizzo, vuoi diventare bidello? e allora di' tutto a me, che il mio capitano parla al prefetto e il prefetto parlerà a chi sa lui. E mi dovevo giocare l'avvenire per due lazzaroni? Voi mi fate un processo che è ingiustizia. Saverio sì che capirebbe ». « Saverio sta tranquillo che non lo vedi così presto. Dor¬ me. E per quel che ti riguarda, dormirà ancora di più. La faccio finita ma ancora una volta ti canto: hai ragione, però non mi piace e ciao, stoppiamo questo tombino », fu la replica di zio Nino. « Garibaldi tango », volle divertirsi Gioachino. « Se a questa bestia non insegnate qualche altra cosa, impazzirò », fece Madama Cernaia. « Lei Madama ha un viso stanco », cercò di recuperare Mandarino. « Ah sì? », reagì la donna e gli mostrò due dita: « Si prenda allora queste corna, che sono tutte vostre. Perché le mie carte dicono: vittoria e confondimento del nemico ». « Mandarino, come parli sbagli due volte », si concesse con godimento zio Nino. « Perché non vorrei che mi vedeste spia. Ma io con che combatto, avendo solo queste mani? », si spaventò l'uomo. * * « Domani ti racconterò una favola », promise Diana. Erano allungati sul letto, le sillabe di Gioachino oltre il tramezzo rimbalzavano come pallottole di legno. « Finirà bene, immagino », rispose Saverio. « Secondo me, sì. Ma a certi orecchi, non so ». « Quanti orecchi conosci? », rise Saverio. « Tanti. Grandi come caverne, piccoli come grilli », fu il lungo respiro di Diana. « Alzati in tempo, prima che mia madre Cernaia apra la porta », suggerì il giovane. « Sono più svelta di una lepre, non preoccuparti », modulò Diana. « Secondo me, un giorno o l'altro svapori. Come alcool da una bottiglia lasciata aperta », convenne lui. « Senti chi parla. Perché tu: hai idea di come finisci? », si sollevò un poco Diana dal cuscino. Saverio rise sommessamente. « Può darsi che un giorno mi decida. A fare una zattera in cortile, con le lenzuola co¬ me vela. L'avvocato e il medico, tanto per far due nomi, domanderanno: perché? E io: perché da domani pioverà, un diluvio senza fine, è già accaduto. E in quel momento incominciano le prime gocce ». « Dici davvero? », stupì Diana. « No. Se gli uomini faranno forza al destino: allora no ». « Quali uomini? ». « Tu. Io. Anche tutti gli zìi Nino. Mica sono pochi ». « Ma allora non sai come va a finire ». « Appunto », rispose Saverio. « Basta là. Garibaldi. Barba », si accentuò lo strepito di Gioachino solitario e Diana capì che Madama Cernaia stava rientrando. « Io ti amo come amo l'erba », balzò dal letto Diana. « Bell'idea », approvò Saverio. « Tu invece non mi ami, ma hai qualcosa di più, per me. E' un più. Io lo so », rise la ragazza. « No, non parlare ». « Non si fa cena, stasera? Solo rosari? Col freddo che ti mangia fuori», sopravvenne decisa la voce di Madama Cernaia dalla cucina. «Attenta: a lei non puoi servir bistecche di cerva », rise Saverio. Poi si mise a sedere. « Guardami », disse. Diana si voltò a rimirarlo. E vide la trasparenza del corpo all'altezza dello stomaco, un vuoto, come se panni e carni e costole fossero diventati un velario di triplici grigiori. « Mi dai le allucinazioni », mormorò. « No. Guarda bene », suggerì ancora Saverio. « Ma sembra una luna, là dietro. Una mezza luna che batte », gridò Diana, i grandi occhi spalancati. « E* la luna che abbaia in me, adesso. Siamo uguali», rise Saverio con lontane, tiepide dolcezze itelle parole: « Ma tu di' mai niente agli altri. E chiamami, quando hai finito il budino ». Giovanni Arpino (continua) Ennio Onnis: «Angolo di mercato a Porta Palazzo» (1975) 1 ■ ■. •

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