Viaggi attraverso l'Italia di Emanuele Kanceff

Viaggi attraverso l'Italia Viaggi attraverso l'Italia I rapporti che intercorrono tra « letteratura di viaggio » e realtà in cui viviamo non sono sempre evidenti. Essa lusinga il gusto per la citazione colta; oppure rappresenta l'attrattiva del documento, il piacere di ricordare, quello più corposo di dare alle forme la dimensione del tempo. A giudicare dagli aspetti meno contestabili — l'edizione e la traduzione di antichi giornali di viaggio — a queste operazioni culturali pare debba restringersi il suo ruolo: entro questi limiti si sta riscoprendo un filone prezioso e di grande interesse. Le pubblicazioni, ad esempio, della pagine calabresi di Maeterlinck (En Sicile et en Calabre, Edizioni Parallelo 38, Reggio Calabria), di Stendhal (Voyage en Calabre, stesso ed.) e di P.-L. Courier (in corso di stampa), fanno presupporre lettori sensibili agli aspetti della loro terra ed editori attenti che sanno scegliere le migliori trasposizioni poetiche, le testimonianze più suggestive. Spesso accade anche che il consunto cliché dell'itinerario italiano sia ripercorso oggi, carte automobilistiche alla mano, con lo sguardo rivolto al passato. Da questa vaporosa nostalgia per la leggenda dei secoli nascono splendide antologie rilucenti dei nostri antichi tesori, come mostra l'Italia del fotografo canadese Roloff Beny (ed. Mondadori), descritta sia con l'obiettivo, sia con le parole di viaggiatori celebri, racchiusa in un volume di grande formato. Ma, è inutile nasconderlo, una gran parte della « letteratura di viaggio » non è a questo li¬ vello, neppure all'altezza di antologia, e trova ce:'"ori ironici e severi, come Benedetto Croce quando rimproverava ad Arturo Farinelli, editore del Viaggio in Italia di J. G. Goethe, di aver riesumato « quel suo scartafaccio di insipide notizie e l'unito comicissimo saggio di amoroso carteggio con una bella italiana ». Che fare, allora, di questa letteratura? E, prima di tutto, come determinare i limiti di tale genere? Come tentarne un bilancio, come abbordarne lo studio? Di questi e altri interrogativi si fa implicitamente portatrice la recente bibliografia dei Viaggiatori tedeschi in Italia di Lucia Tresoldi (ed. Bulzoni), primo moderno risultato di studi che investono un dominio sfuggente ed una materia sdrucciolevole anche per specialisti, pur se contenuta in limiti ristretti quali saggiamente (e un po' arbitrariamente) s'è imposti l'autrice. In concreto, ella ha fatto la sola cosa che oggi è possibile fare senza perdere il proprio tempo: evitare un esercizio critico ancora precario e tentare invece di definire una base solida di lavoro. Che ciò sia stato realizzato per due sole biblioteche, sia pure « specializzazate » e relativamente ricche, spaventa un poco, perché il metodo, se generalizzato, allontanerebbe più che avvicinare risultati efficienti. In compenso, ispirata da rari ma illustri precursori come Alessandro D'Ancona, l'autrice ha scelto una forma descrittiva che è la sola auspicabile in un dominio in cui molti autori sono quasi to¬ talmente sconosciuti, e che fa della sua indagine, insieme all'opportuno ordinamento cronologico e non alfabetico, un primo rudimentale abbozzo di storia del viaggio in Italia. La lettura di un recente arguto libretto, dovuto al giornalista fiorentino Aleramo Hermet (L'Italia che è, ed. Edint), ci aiuta forse a comprendere un altro difficile problema che Lucia Tresoldi ha dovuto risolvere. Gli otto « itinerari bizzarri, inquieti, allegri e non » riuniti in « una guida che, invece di aiutare il turista nella scelta della trattoria tipica, aiuta tutti a percorrere e capire i contraddittori aspetti del vivere degli italiani », suggeriscono lo stesso tipo d'imbarazzo che ha provato l'autrice della bibibliografia di fronte ad opere che parevano estranee alla sua ipotesi di lavoro e che pure non poteva ignorare. Gli itinerari hermetiani sono, se posso azzardare un paragone, la versione modernissima e mordace delle cinquecentesche Forcianae Quaestiones di Ortensio Landi, ricordato nel catalogo sotto uno pseudonimo, in una sezione, appunto, di opere « collaterali » cui l'autrice non ha concesso il privilegio d'entrare nella numerazione progressiva. Per concludere, un ultimo dato mi pare suscettibile di rilievo: l'aver posto il 1870 come termine dell'indagine. Veramente, ci si chiede, il genere è morto con il compiersi dell'unità d'Italia, o piuttosto le difficoltà esteriori suggeriscono all'autrice quest'altro limite? Emanuele Kanceff

Luoghi citati: Italia, Reggio Calabria