Cara adolescenza

Cara adolescenza Umberto Saba, romanzo e poesia Cara adolescenza Umberto Saba: « Ernesto », Ed. Einaudi, pag. 165, lire 2500; «Adolescenza del Canzoniere e undici lettere», Ed. Pogola, pag. 128, lire 5000. Nell'estrema vecchiezza Umberto Saba prese a lavorare a un romanzo rimasto incompiuto e noto solo a pochi intimi, questo Ernesto di cui parla fervorosamente in numerose lettere (qui date in appendice), ipotizzando che non sarà mai finito per la fisica ravezza del poeta e che non sarà mai pubblicato: « per una ragione, non di fatti — tutto ormai si è detto — ma di linguaggio ». Faceva torto, Saba, a se stesso e alla voracità dei tempi, che consumano esitazioni e divieti. D'altra parte non poteva rassegnarsi alla clandestinità del testo fatto circolare tra gli amici, persuaso com'era che Ernesto rappresentasse « una rivoluzione (non politica) che viene — come piaceva a Nietzsche — su ali di colomba ». Le rivoluzioni fanno saltare anche i cassetti. Ernesto, scritto nel 1953, parla di un ragazzo « che aveva 16 anni a Trieste nel 1898 » ed ha una chiara matrice autobiografica; direi che la sua spinta iniziale nasce ancora una volta dall'esigenza, fortissima in Saba, di fornire tutti gli strumenti per una piena lettura psicologica del Canzoniere, nel quale si specchia con rara coerenza e compattezza la sua esistenza. L'autonomia nasce poi quando il vecchio scopre in sé una inarrivabile conciliazione con la vita, che gli restituisce placati i tumulti dell'adolescenza, cicatrizzate e lenite di grazia apollinea le lontane ferite. Dei cinque episodi che compongono il romanzo, il primo entra subito in argomento, come se l'autore volesse spezzare ogni residuo indugio, liberarsi di un lungo peso: attraverso la mediazione, sia pure, di un dialetto triestino ingentilito e ignaro di rudezze gergali. Ernesto, apprendista impiegato presso un commerciante di farina, accetta le proposte omosessuali di un manovale, e il rapporto si consuma attraverso parole e gesti che, per essere di un'audacia inusitata, conservano una straordinaria levità. E' il frutto di un lungo esercizio, dei sentimenti e dello stile, che Saba rammemora, rovesciando in luce d'idillio il rapporto fra il vecchio e il ragazzo, attribuendo all'uno quello che certo fu faticosa conquista dell'altro: « ...il ragazzo rivelava, senza saperlo, quello che, molti anni più tardi, dopo molte esperienze e molto dolore, sarebbe slato il suo "stile": quel giungere al cuore delle cose, al centro arroventato della vita, superando insistenze ed inibizioni, senza perìfrasi e giri inutili di parole; si trattasse di cose basse e volgari (magari proibite) o di altre considerate "sublimi", e situandole tutte — come fa la Natura — sullo stesso piano ». Nel libro sono numerosi gli interventi di questo tipo, a protezione e giustificazione del ragazzo Ernesto, che persuade invece proprio perché è ignaro e mutevole, tenero e crudele, sfuggente, al di là di tutte le insinuazioni del vecchio che tende a portarlo per mano. Sono i discorsi e gli aforismi sull'irrefutabilità di una Natura vista poi « sub specie psycoanalisis », di una psicoanalisi — come dire? — ormai istituzionalizzata, non intesa come punto di partenza ma di arrivo; è, per Ernesto, il bisogno di un affetto che lo risarcisca del padre assente, il giogo di una madre dura e inasprita, la nebbia dell'inconsapevolezza: cUn rimorso è la visione errata di un avvenimento lontano: si ricorda l'atto, e si dimenticano i sentimenti dai quali quell'atto è sorto; l'aria infuocata che ha determinato — reso inevitabile — l'accaduto ». Ma guai estendere il concetto: dilatando il dominio dell'inevitabilità, si arriverebbe a giustificare quelli che, in una delle tante infornate, porranno termine alla vita dell'ebreo Wilder, accigliato padrone di Ernesto. Lui è più libero, misterioso e incantato. Si badi alla sua nervosa e trepida scoperta della virilità, quando il barbiere gli rade senza preavviso la peluria del mento; la decisione ansiosa di far visita alla prostituta materna mentre, in un soprassalto dell'immaginazione, vede « l'altro » piangere lontano. Siamo al terzo episodio e, per quanto a Saba premeva soprattutto dire, il racconto è ormai concluso, le due altre parti non sono così indispensabili (nonostante tratti assai belli: cito ad esempio l'aria di Mille e una notte, di animato e domestico Oriente che si coglie al caffè Tergesteo, aperto a tutte le brezze e gli azzurri del Mediterraneo). Concluderei col dire che questo libriccino così nitido e casto, così intrepido nella volontà di confessione, finisce per essere abbastanza capzioso, per condurre su terreni insidiosi. In esso, certo, è da privilegiare la dirittezza con cui Saba sprofonda nell'adolescenza, verificabile anche dalle poesie giovanili ripubblicate proprio in questi giorni dall'editore Fogola. Si tratta dei componimenti che, apparsi nel primo Canzoniere del 1921. furono espunti dalla edizione del 1945, con un mazzetto di lettere che ad essi si riferiscono. Sono « una car' Ila di prove, ma "d'autore" » (Sergio Miniussi), testimoniano di un Saba « sempre in bilico tra spregiudicatezza e timidezza: non essere alla moda, sfidare il cattivo gusto in tempi di festivals futuristi, contrapporre il metro chiuso al paroliberismo, pescare nell'area dei sentimenti e degli oggetti frusti o analizzati senza complessi di inferiorità o di colpa » (Folco Portinari). Circa la verticalità del ricordo in Saba, leggiamo « La fonte », di quel ragazzo che per timidezza si astiene dal bere sotto gli occhi delle donne con l'anfora in capo: « Suonò befbardo il coro/delle giovani risa a quel pallore,/pur fu guardato amorosamente./Era un alto sottile adolescente,/con i capelli biondi,le ceruli i sereni occhi profondi ». La poesia risale ai primi anni del secolo: la stessa scena, la stessa apprensione, più maliziosa e pungente, attende Ernesto che ha lasciato la donna del vicolo. A cinquant'anni di distanza, la propria vita continua ad essere, per Saba, una cava inesausta di meraviglie. Lorenzo Mondo Disegno di Carlo Levi

Persone citate: Carlo Levi, Einaudi, Fogola, Folco Portinari, Lorenzo Mondo, Nietzsche, Sergio Miniussi, Umberto Saba

Luoghi citati: Trieste