Non invitare il potere pubblico alla resa, ma a mutare qualcosa

Non invitare il potere pubblico alla resa, ma a mutare qualcosa DIBATTITO SUI CENTRI STORICI Non invitare il potere pubblico alla resa, ma a mutare qualcosa Nel suo intervento sulla questione dei centri storici («dibattilo», pagina 11 della «Slampa», 7 gennaio) Giorgio Rota, dell'università di Torino, esorta a vedere la realtà « con il linguaggio delle cifre », e parla polemicamente di « progressismo fatto di parole ». Penso che il prof. Rota si riferisca al massimalismo verbale che già abbiamo denunciato su queste colonne in occasione di recenti convegni sui centri storici. Mi rifiuto di credere che egli ignori, o intenda sminuire così sbrigativamente, il dibattito internazionale sui contenuti sociali dei centri storici, prevalenti sui valori monumentali, storici e architettonici. Più del restauro delle facciate contano gli uomini che vivono nei quartieri amichi. Ricordo, in proposito, le tesi approvate da lutti i paesi del consiglio d'Europa rappresentati al symposium di Bologna (22-26 ottobre 1974) e il documento noto come « dichiarazione di Amsterdam » (ottobre 1975), più che moderato. La speculazione Linguaggio delle cifre. Il prof. Rota imposta il suo intervento su 1.800.000 abitazioni costruite prima del 1800. Ma la storicità (che non è il solo valore) non può essere meccanicamente correlata alla chiusura di un secolo. .7u nella seconda metà delI Orocento che i centri storici italiani vennero enucleati nelle città in espansione e considerati come isole avviate alla rovina, ai i. diradamenti », alle sostituzioni e demolizioni. Il patrimonio edilizio esistente al 1850 è esattamente questo: 2.145.300 abitazioni. Nel discorso sul ricupero del patrimonio edilizio di vecchia data come alternativa alla edilizia nuova dello spreco (1974: 68.387.622 vani per 55.645.9S2 residenti, 1.550.000 famiglie in coabitazione e oltre 2 milioni di appartamenti vuoti) si tiene conto anche delle abitazioni costruite dal 1851 al 1890 (2.660.500) e di quelle costruite dal 1891 al 1920 (2.965.700). Cito dati del Cresme. La differenza dalle stime del prof. Rotti non è puramente accademica. Restringendo alla fine del '700 i confini dei centri storici, si riduce enormemente l'area da vincolare e tutelare. Il consiglio superiore dei lavori pubblici dovette intervenire a Napoli per ridare giusti « limiti di età » al centro storico e più ampie dimensioni ai quartieri vincolati, sottraendoli alla speculazione. Iniziativa privata: nessuno, a parte pochissimi « massimalisti », l'ha mai esclusa. « L'intervento pubblico non basta. Occorre dunque incoraggiare l'intervento privato, che deve inquadrarsi nei programmi fissali dall'amministrazione pubblica » (cito il runto 4 delle conclusioni del symposium di Bologna). Al convegno di Roma del dicembre 75 sono stuti documentati, dai « progressisti » stessi, i limiti dell'intervento pubblico. Al convegno di Viterbo l'Ancsu ha proposto « interventi di risanamento pubblici e privati », i secondi con agevolazioni fiscali e crcdilizie (dichiarazione 2, 5 dicembre 1975). E' il sistema dell'edilizia convenzionata, applicato largamente in tutta Europa. Per i nostri centri storici esistono convenzioni-tipo: il proprietario che intende restaurare una casa ottiene finanziamenti agevolati e contributi, in qualche caso a fondo perduto, in cambio dell'impegno ad applicare determinati canoni dì affitto. Se il vecchio affittuario non ha redditi sufficienti alcuni comuni prevedono un sussidio (tra gli altri Bologna). Il sussidio è giù praticato ad Amsterdam per evilare l'espulsione dei residenti a basso reddito da quartieri amichi restaurati (V. Zanlkuyl e Rowaan, in « European Iterilage », Phoebus, Londra). Fondi disponibili Iniziativa privata ma entro piani pubblici, sotto controllo pubblico, e convenzionata. Questo dicono i « progressisti ». Il prof. Rota non ha fatto cenno a tali condizioni. Sono indispensabili per un semplice motivo: se l'operatore privato è libero, compra edifici vecchi o antichi, ne espelle gli occupami con « buone uscite » o altri sistemi, restaura (uffici, studi, residenze di lusso) e infine cerca una remunerazione al capitale investito sia rivendendo a caro prezzo, sia affittando a canoni molto alti. All'operatore privato tutti i guadagni, accresciuti dal privilegio della posizione. Alla collettività tutti gli oneri, dalla costruzione di case « popolari » per gli espulsi, ai servizi, ai trasporti. Quel che è avvenuto finora a Roma, dove il centro storico ha perduto 155 mila vecchi residenti, finiti nelle borgate incubatrici di violenza. Perché spendere tanti miliardi, sia pure attraverso convenzioni con ì privati, per mantenere gli immigrali nelle topaie della Torino antica, i napoletani nei «bassi»? 1) Non tulli gli edifici situati nei centri storici sono recuperabili. Si traila di studiarne la destinazione. 2) Non tutte le case che oggi sembrano topaie sono irrecuperabili: come mai l'iniziativa privata ha tanto interesse per restaurarle? 3) La costruzione di quartieri periferici costa enormemente alla collettività e produce gli effetti negativi ben noti. 4) Nei quartieri antichi esistono già le strutture fondamentali e busta migliorarle, nei quartieri esterni occorre costruire tutto da zero. 5) 1 vecchi residenti hanno diritto a fruire i valori del loro quartiere e della loro città, dal vicinalo alle parentele, alle occasioni di lavoro e culturali. 6) Nei centri storici sono disponibili edifici antichi (conventi abbandonati, magazzini pubblici ecc.) che possono diventare sedi di usili, centri civici, biblioteche, come si fa a Bologna. Il costo per abitante insedialo è di 8.500.000 lire nel centro storico di Bologna, comprendendo tutto, fino all'asilo e all'ambulatorio. In periferia il costo per abitante è pressoché uguale, ma la condizione umana è quella dello sradicato. Fondi disponibili: il prof. Rota non ha fatto cenno ai 4462 miliardi stanziati per il triennio e destinati all'edilizia sovvenzionala, convenzionata, agevolata. Se il 50 per cento (misura ipotizzala dal prò'. Rota) andasse ai centri storici, in parte attraverso le convenzioni con i privati, i risultati sarebbero tutl'altro che irrisori. Già 20 mila imprese privale hanno fatto domanda per operare nell'edilizia convenzionata (fonte Ance). Aperti i finanziamenti e sveltite le procedure, l'edilizia d'iniziativa pubblica o agevolata è salita a Roma al 40 per cento del totale (fonte lacp). Non si tratta di schierarsi prò o contro la proprietà privata, che nessuno tocca, ma di dire chiaramente se si invita alla resa il potere pubblico anziché stimolarlo a cambiare qualcosa nel nostro Paese. Mario Fazio

Persone citate: Giorgio Rota, Mario Fazio, Rota