Il "realismo,, di Tindemans di Aldo Rizzo

Il "realismo,, di Tindemans Nel rapporto sull'Europa Il "realismo,, di Tindemans Nel pieno della crisi italiana, sono maturate nuove idee per l'Europa. Dopo un anno dì consultazioni intense e diffuse, in adempimento di un mandato del vertice parigino del 74, il primo ministro belga, Leo Tindemans, ha riassunto impressioni e proposte in un rapporto stili'* unione europea », che sarà il tema del vertice lussemburghese di marzo. L'obicttivo è un'Europa che abbia « una voce nel mondo » c che sia anche « una nuova società », fondala su « una solidarietà concreta ». Un obiettivo classico, ormai retorico; ma sono realistici i mezzi e i tempi indicati. E' possibile che questo non sia un rapporto come un altro, come i molli che lo hanno preceduto, e che quindi lasci una traccia. Tanto più deve sperarlo chi, come noi. ha un bisogno vitale del quadro europeo, per non affondare nella crisi nazionale. L'idea centrale è che occorra rimettere in moto, empiricamente, il processo di edificazione dell'unione europea, finché questo non avrà acquistalo « un suo dinamismo proprio »: a quel punto sarà necessario « consacrare in un testo giuridico » i nuovi impegni comunitari. Tindemans propone, per cominciare, una serie di misure, attinenti al campo della coopcrazione politica, extra-economica, tra i soci della Cee, in vista di arrivare alla definizione obbligatoria di un punto di vista comune: abolizione della distinzione assurda tra le riunioni ministeriali che si occupano dei problemi interni, cioè economici c commerciali, della Comunità e quelle dedicale ai rapporti politici col mondo esterno; trasformazione in obbligo giuridico dell'impegno politico a rispettare le decisioni comuni; necessità riconosciuta e formalizzata che a una decisione comune si arrivi sempre c comunque, ciò che « implica evidentemente che le tendenze minoritarie si allineino alle vedute della maggioranza alla conclusione dei dibattiti». E poi una serie di « azioni concrete immediate », mentre si perseguono questi primi obiettivi: presentarsi con un'identità e una voce inequivocabilmente unica a tutti i negoziati sul « nuovo ordine economico mondiale»; delegare un capo di governo europeo ad avviare delle conversazioni preliminari col governo degli Stati Uniti, in vista di un riesame congiunto euro-americano del rapporto, vitale ma squilibrato, tra il vecchio e il nuovo Continente; misure 'sempre più strette di cooperazione fra i Nove in tema di armamenti e di sicurezza strategica, tenendo presente che « l'unione europea resterà incompleta fino a quando non avrà una comune politica della difesa ». Pragmatismo, ma non inerzia, anche sul terreno delle istitu¬ zioni. E quindi: valorizzazione crescente del Parlamento europeo di Strasburgo, sottraendolo per gradi all'opaco ruolo consultivo per affidargli poteri d'iniziativa e, in prospettiva, legislativi, entro cerli limiti (fondamentale, s'intende, sarà la sua elezione a suffragio diretto e universale, prevista per la primavera del 78). Concretizzazione maggiore del lavoro politico dei vertici,. o « consigli europei », le" cui decisioni generali dovrebbero essere riferite sempre a precisi organi esecutivi e a precisi limiti di tempo. Un'accresciuta autorità della Commissione di Bruxelles, il cui presidente, dopo essere slato designato dal consiglio dei capi di governo, dovrebbe presentarsi al Parlamento « per farvi una dichiarazione e per vedere la sua designazione confermata da un voto »; egli inoltre avrebbe i 1 potere di sccglicrc gli altri membri della Commissione, in consultazione col consiglio dei ministri. E pragmatismo, in questo caso troppo, anche per l'Europa economica e monetaria. Qui si prende atto che il disegno di un'integrazione completa entro il 1980 è già naufragato e che « è impossibile oggi presentare un programma di azione credibile », perché manca « una fiducia reciproca sufficiente » e anche perché c'è una « divergenza obiettiva delle situazioni economiche e finanziarie ». Ne deriva la proposta più opinabile dell'intero rapporto, e cioè che i Paesi in grado di progredire verso una politica economica e monetaria comune lo fanno, mentre quelli che non sono in grado non Io fanno, previo riconoscimento delle loro buone ragioni. S'inlcnde, dice Tindemans, che si tratterebbe di una variazione di tempi, fermo restando l'obiettivo comune. E' una vecchia idea di Willy Brandt, di un realismo pericoloso, come sempre è il realismo quando è eccessivo. Certo, pause e decelerazioni possono essere a volte inevitabili per un paese in difficoltà, e già lo si è visto; ma codificare questa prassi può rappresentare un colpo gravissimo a quel processo di riattivazione dell'unione europea che è l'obiettivo stesso del rapporto Tindemans. Proprio i Paesi che apparentemente sarebbero i beneficiari, in termini immediati, dello sviluppo differenziato, cioè l'Italia e la Gran Bretagna, devono dire di no. Ma poi, naturalmente, se si riafferma il principio della cordata unica, anche in virtù degli aiuti reciproci che il rapporto Tindemans prevede, bisogna che tutti Ì partecipanti abbiano o riacquistino una forza propria sufficiente, pena restare a valle, nella stagnazione o nel disastro nazionale. Aldo Rizzo

Persone citate: Leo Tindemans, Willy Brandt

Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti, Strasburgo