Sciolto il "Folgore,, di Giuseppe Mayda

Sciolto il "Folgore,, Combatté contro i tedeschi Sciolto il "Folgore,, Nel 1943 il glorioso reggimento, inquadrato nella divisione "Acqui", non accettò la resa a Cefaionia -1 suoi 1500 uomini caddero eroicamente combattendo contro le truppe del Reich Treviso, 10 gennaio. Il 33" reggimento artiglieria « Folgora », medaglia d'oro per i fatti di Cefalonia, è stato sciolto nel quadro della ristrutturazione dell'esercito. La bandiera di guerra del reggimento, nel corso di una cerimonia svoltasi a Treviso nella caserma « Cadorin », è stata consegnata al III gruppo del 33" « Folgore » che, dal 1" gennaio, ha assunto la fisionomia di corpo con la denominazione di 33" gruppo artiglieria pesante campale semovente « Terni ». « Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia — dice la motivazione della medaglia d'oro — con il valore e il sangue dei suoi artiglieri, primi assertori della lotta \ contro i tedeschi, per il prestigio dell'Esercito italiano e per tener fede alle leggi dell'onore militare, dispressò la resa offerta dal nemico preferendo affrontare in condisioni disperate una impari lotta, immolandosi in olocausto alla patria lontana (Cefalonia, 8-25 settembre 1943) ». «Alto l'onor tenemmo»: questo è il motto di uno dei più gloriosi reggimenti italiani, il 33.mo artiglieria «Folgore», creato sessanta anni fa, il primo gennaio 1915, e sciolto ieri — con decisione del ministero della Difesa — nel quadro della ristrutturazione del nostro esercito. Lungo è l'elenco delle vicende belliche del reggimento «Folgore», dai combattimenti sul fronte occi¬ dentale nel giugno 1940 ai di sperati e sanguinosi attacchi in I lval Sciuscizza, durante la cam pagna di Grecia del 1941. Tuttavia il suo nome è rimasto legato al più tragico episodio della seconda guerra mondiale, l'eccidio di Cefalonia, quando in seguito alla rappresaglia tedesca, quasi novemila soldati e ufficiali della divisione «Acqui», nella quale il «Folgore» era inquadrato, vennero massacrati da reparti della Wehrmacht. Bisogna risalire al settembre I I kas» i capisaldi italiani dell'iso- 1943, alle ore immediatamente seguenti l'armistizio. Il giorno 10 l'OKW, il Comando supremo della Wehrmacht, aveva emanato un comunicato in cui affermava che «le forze armate italiane non esistono più», e quelle parole potevano corrispondere al vero per quanto riguardava il territorio metropolitano, erano del tutto false se riferite all'esercito al di là dei mari. A Cefalonia, nell'Egeo, i 12.500 uomini della «Acqui» — che presidiavano l'isola — non solo resistevano ma si opponevano con forza alle trattative intercorse fra i tedeschi e il comandante della divisione, generale Antonio Gandin, per il disarmo dell'unità. Fu proprio un gruppo di ufficiali inferiori, parecchi dei quali appartenevano al reggimento «Folgore», a decidere di rompere gli indugi aprendo il fuoco, la mattina del 13 settembre, su due zatteroni della «Kriegsmarine» che cercavano di sbarcare nel porto di Argostoli; furono proprio loro a imporre al generale Gandin, dopo un tumultuoso plebiscito fra le truppe che avevano approvato la lotta armala contro i tedeschi, di respingere le intimazioni di resa e di dichiarare al comandante nemico, tenente colonnello Hans Barge, che «per ordine del Comando supremo italiano, e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la divisione Acqui non cede le armi». La storia ci ha tramandato quello che accadde a Cefalonia a partire dall'indomani. Nel pomeriggio del 15 settembre i tedeschi bombardarono con gli «Stu- a e mitragliarono senza requie lutti gli accantonamenli, i reparti e le colonne in movimento distruggendo completamente l'abitato di Argostoli e annientando il 40 per cento degli effettivi della «Acqui». Nella battaglia, durata fino al 22, i tedeschi non risparmiarono nessuno degli italiani caduti prigionieri o di quei reparti che, rimasti isolati e senza munizioni, si arrendevano. Il secondo battaglione del 17.mo fanteria, catturato il 21 settembre a Keramies assieme al suo comandante, maggiore Oscar Altavilla, (in tutto un migliaio di uomini) fu sterminato a raffiche di mitraglia; una ventina di soldati che si erano nascosti in un vallone furono fatti prigionieri con l'inganno (un interprete tedesco gridò: «Qui ci sono i portaferiti, chi è in grado di muoversi venga fuori e sarà portato all'ospedale») e uccisi uno dopo l'altro. La resistenza italiana, che si protrasse ancora qualche giorno, fu stroncata nel sangue con una ferocia forse senza precedenti. Il colonnello Mario Romagnoli, comandante del «Folgore», che aveva guidato ripetutamente all'attacco i suoi uomini, fu fucilato davanti al suo reparto; poi, a partire dal 23 settembre, giorno della resa del presidio, cominciarono le stragi indiscriminate: nella prima esecuzione di massa vennero uccisi circa 4500 ufficiali e soldati e le vittime, a gruppi di 300-400, furono abbattute dai plotoni di esecuzione nella tragica «Casa rossa» della penisola di San Teodoro. Fra loro vi fu anche il generale Gandin, fucilato all'alba del 24 settembre: prima di cadere il generale gettò ai tedeschi, in atto di disprezzo, la Croce di Ferro di cui lo avevano insignito. Quasi tutti gli ufficiali della «Acqui» furono uccisi, ne restarono in vita soltanto 37 e vennero imbarcati col resto delle truppe decimate sulle navi che dovevano portarli in Jugoslavia ma alcuni piroscafi affondarono, con tutto il loro carico umano, sui banchi di mine della costa di Cefalonia. Degli 8400 uccisi (di cui 1500 del «Folgore») non uno fu seppellito; i tedeschi lo proibirono perché «i ribelli italiani non meritavano la sepoltura» ma, come disse l'accusatore americano Telford Taylor nel quinto processo di Norimberga, «questa strage deliberata... fu una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli nella lunga storia del combattimento armato». Giuseppe Mayda

Persone citate: Antonio Gandin, Cadorin, Gandin, Hans Barge, Mario Romagnoli, Oscar Altavilla

Luoghi citati: Argostoli, Cefalonia, Grecia, Jugoslavia, Norimberga, San Teodoro, Treviso