L'Ottocento di Antonelli di Remo Lugli

L'Ottocento di Antonelli Un omaggio di Novara L'Ottocento di Antonelli Presentati in una mostra 500 "pezzi" dell'artista che fu il più importante fra tutti gli architetti italiani del secolo scorso (Dal nostro inviato speciale) Novara, 10 gennaio. Novara s'è accorta di essere debitrice nei confronti di Antonelli, figlio famoso che può essere giudicato il più importante degli architetti italiani dell'Ottocento, di statura internazionale. Ad Alessandro Antonelli Novara dedicò una via, molti anni fa, niente più. Ora vuole rendergli giustizia, riconoscergli di avere dato un'impronta alla città, non solo per la sua celebre cupola di S. Gaudenzio, la chiesa del patrono, e per il duomo. Si è aperta così, oggi, nella sala dell'Arengo del Broletto, una mostra intitolata: «Lo sviluppo urbanistico e architettonico di Novara nell'Ottocento e l'opera di Alessandro Antonelli». L'iniziativa e l'organizzazione sono opera dell'Archivio di Stato, diretto dal dottor Giovanni Silengo, e s'inseriscono in un ciclo di manifestazioni promosso dal ministero per i Beni Culturali ed ambientali sul tema del patrimonio architettonico italiano. Non sono mancati altri contributi: da parte del Comune di Novara, della Regione Piemonte, dell'Ente provinciale per il turismo e di un gruppo di giovani architetti novaresi, Corrado Gavinelli, incaricato di storia dell'architettura presso il Politecnico di Milano, Giorgio Bandi e Edgardo Caimo, studiosi dell'Antonelli e della Novara dell'800. L'Antonelli (nato a Ghemme, provincia di Novara, nel 1798, e morto a Torino nel 1888) si firmava architettoprofessore o architetto-ingegnere, per distinguersi dagli agrimensori o idraulici, che, ingegneri o geometri, progettavano ponti e case semplicemente sotto il profilo tecnicistico, senza la consapevolezza estetica. Molte lettere sue documentano questo orgoglio professionale, la convinzione di saper dare al progetto qualcosa di più di un semplice calcolo numerico. La mostra raccoglie cinquecento pezzi: disegni, mappe, lettere, modelli lignei della cupola di S. Gaudenzio e del Duomo, strumenti di lavoro. E' un insieme di grande interesse per chi ha attitudine a questi problemi e per chi vuole conoscere meglio l'artista che ebbe sempre molta fama, ma che, talvolta, fu anche discusso. Era accusato di avere idee troppo faraoniche, di avventurarsi in progetti la cui realizzazione costava troppo; e anche di avere poco rispetto per le vestigia del passato. Quando si trattò di mettere mano al Duomo, che era romanico ma fatiscente, senza esitazione lo fece abbattere per buona parte, suscitando proteste e polemiche. «Ma già nel '700 — dice l'architetto Gavinelli — si era progettato di abbatterlo perché non era più recuperabile». E il dottor Silengo aggiunge: «Dobbiamo considerare Antonelli inquadrato nel suo tempo, l'Ottocento, quando nessuno aveva il concetto della conservazione delle cose antiche». Abbattuto il vecchio Duomo, l'Antonelli pose mano al suo progetto di stile neo classico e di realizzazione così costosa da costringere i canonici proprietari a vendere ogni loro bene per far fronte alle spese. Nell'arco amplissimo della sua vita di novantenne, con sessantanni di professione, parecchie sue opere hanno avuto una crescita lenta, diluita nel tempo: il primo progetto per la cupola della chiesa di S. Gaudenzio risale al 1841, mentre la conclusione dei lavori è dell'88. La Mole di Torino, la più celebre delle sue realizzazioni, nata come sinagoga degli ebrei a spese della loro Comunità dopo l'emancipazione che Carlo Alberto aveva concesso nel 1848, fu ultimata addirittura dieci anni dopo la sua morte. Proprio nella Mole torinese, in quello che per molti anni era stato l'ufficio di Antonelli mentre ancora l'imponente edificio era in costruzione, si era avuto il primo museo antonelliano con materiale raccolto subito dopo la morte del grande architetto da un suo allievo, Crescentino Caselli. Per molti anni il materiale era rimasto ammassato senza alcun ordine, poi, poco tempo fa, l'architetto Franco Rosso lo ha riordinato e tra sferito alla Galleria d'Arte Moderna di Torino. La mostra odierna raduna non solo queste opere, ma an che tutte quelle che si trovavano all'Archivio di Stato, al l'Archivio capitolare di Santa Maria, all'Ospedale Maggiore di Novara e al museo civico di Torino. L'Archivio di Stato novarese, appena l'anno scorso, ha scoperto un rilevante numero di documenti antonelliani in un cumulo di materiale che proveniva dalla «Intendenza generale», cioè l'antica prefettura. Ora, attraverso la mostra, si può seguire la maturazione professionale ed artistica del grande architetto: progetti di porppmivctrCilartmmrbgemtrlsmdui palazzi, chiese, asili, altari, ospedali, portoni, corniciature, navate, piani regolatori di paesi e di città. C'è anche un piano generale d'ingrandimento della città di Torino, in data 1852. Non sempre i suoi progetti venivano attuati, non già perché fossero lacunosi, ma piut-1 tosto perché era troppo one-j rosa la loro realizzazione. Crescentino Caselli, dettando il necrologio del suo maestro, aveva concluso con queste parole: «Quando le opere di Antonelli saranno più universalmente conosciute offriranno \ motivo a non pochi studi e i riflessioni, e forse ciò contribuirà a rettificare non pochi \ giudizi emessi sul suo conto, e a determinare più esattamente il posto che gli compete nella storia dell'architettura italiana di questo secolo». La mostra s'accentra sull'Antonelli a Novara, ma non solo su questo architetto maggiore: ci sono progetti e disegni di altri architetti ed urbanisti che hanno lavorato in questa città: Melchioni, Orelli, Busser, Agnelli. E attraverso i vari pannelli è possibile vedere come e anche perché la città è andata assumendo l'attuale struttura. Resta da chiedersi come sarebbe ora Novara se tutti i progetti che Antonelli disegnò fossero stati realizzati. «Certamente diversa — dice il dottor Silengo. — Mancherebbero molte testimonianze dell'antico, che lui poco rispettava appunto perché nella sua epoca non c'era questo culto che invece ora noi curiamo. Avrebbe fatto cose egregie, indubbiamente, ma sventrando altro». «E' una mostra importante, utile, istruttiva — ha detto alla cerimonia inaugurale il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Sanlorenzo — che rappresenta un atto di fiducia, di risalita contro la crisi in cui versa tutto ciò che concerne il nostro pa-1 trimonio artistico, in un paese pieno di contraddizioni, dove il numero dei generali è superiore alla somma dei generali] della Russia e degli Stati Uniti e dove il numero dei custodi dei musei è inferiore a quello dell'Ermitage di Leningrado». Remo Lugli glcavcv