Cina: fine della diarchia di Alberto Cavallari

Cina: fine della diarchia MORTO CIU EN-LAI IL DOPO-MAO È GIÀ COMINCIATO Cina: fine della diarchia Dal 1935 i due avevano camminato insieme riservandosi campi separati: l'ideologia e la sua esecuzione Il punto chiave della figura di Ciu En-lai, morto ieri a Pechino, non è nel passato prossimo cinese. Le immagini del raffinato diplomatico, dello statista moderato, del cosiddetto politico « centrista », spiegano certo qualcosa, forniscono un primo schema, disegnano un contorno. Però restano semplificatone, in qualche modo superficiali, se non si srotola un po' la storia indietro, alla ricerca di « quel precisissimo momento » in cui Ciu divenne Ciu. Il grande personaggio del leader comunista cinese non nasce infatti dagli « equilibri » della rivoluzione culturale. Nemmeno nasce da una « efficienza » governativa che, dopo il 1949, crea il mito della sua indispensabilità. Il nocciolo della questione è molto più lontano, sul finire della « lunga marcia », negli anni cruciali 1934-35. A quest'epoca, Ciu En-lai non è solo una delle « figure leggendarie » del militar-comunismo cinese, insieme a Mao, Lin Piao, Chu Teh, Chen Yi, Tung Piwu, Liu Sciao-chi, Teng Hsiao-ping. Come testimonia Snow, nel collettivo che guida l'esercito e il partito, Ciu ha « una storia speciale » e una posizione speciale. Infatti, non è solo diverso dagli altri per ragioni biografiche. Non solo ha origini «mandarine », un'esperienza giapponese alle spalle, un soggiorno europeo nel cervello. Ciò che conta è che il suo prestigio politico, militare, teorico, supera quello degli altri marxisti orientali che si sono buttati all'azione. Ciu, di fatto, come scrive Snow, « è in quel momento il numero uno del partito e dell'esercito ». Gli esordi Come lo sia diventato, è noto. Studente a Tientsin, arrestato nei moti del '19, Ciu non partecipa (come Mao) alla fondazione del partito comunista, avvenuta nel '21 a Shanghai, capitale della provincia dove è nato. Nemmeno appare tra i protagonisti dei grandi scioperi minerari di Anyuan, di quelli ferroviari dell'Hunan, che danno il « segnale rosso » alla Cina tra il '20 e il '22. Tuttavia, la sua fuga in Europa, dopo la prigione di Tientsin, gli ha dato un'esperienza rara nel movimento rivoluzionario asiatico. A Parigi, a Londra, in Inghilterra, non ha solo fondato le prime sezioni cinesi del partito all'estero. Ha letto decine di libri sul « dibattito asiatico », apertosi dopo la Rivoluzione d'ottobre russa. Ha partecipato allo scontro ideologico tra comunismo eurocentrico (imperniato sulle tesi di Serrati) e comunismo asiocentrico (basato sulle tesi dell'indiano Roy). S'è immerso nella grande questione « Oriente-Occidente » mentre Li Ta-zao co mincia la traduzione degli scritti di Marx sulla rivolu zione in Cina e in Europa. Così, tornato in patria, è stato — con Mao — il rivoluzionario asiatico dotato di maggior chiarezza ideologica nelle questioni di fondo: i rapporti con l'Urss, col Kuomintang di Ciang Kai-scek, i rapporti Komintern-rivoluzione d'Oriente: che sono poi gli antecedenti di tutte le decisioni future del maoismo. In questa condizione, le tappe del suo prestigio sono facili da ritrovare. Mao è stato protagonista~hel centro-sud delle « grandi scelte » comprese tra il '21 e il '27: la nascita del partito, lo scontro del partito col primo maoismo, considerato « avventurista », la tesi sulla rivoluzione operaia fallita che deve diventare contadina, la battaglia di Ching karigshan che vede nascere la prima armata rossa di contadini e soldati. Ma Ciu è stato l'uomo chiave del partito che, all'ombra di Sun Yat-sen, a Canton, poi commissario dell'accademia militare Wampoa di Ciang Kai-scek, poi come uomo di collegamento col sovietico Bluecher, comandante dell'armata sovietica in Estremo Oriente, infine come protagonista dell'insurrezione del '27, ha messo a fuoco il grande quadro politico della rivoluzione d'Oriente. Superstite del massacro di Shanghai, è diventato il comunista cinese più coinvolto nella storia del Komintern « più di Mao e prima di Mao », come scrive Karol. Perciò ha mediato tra Mao e il partito; perciò ha guidato i diffirili rapporti tra cinesi e russi, quando comincia la lunga marcia che Stalin non vuole; perciò, soprattutto, ha messo a fuoco l'esigenza che la rivoluzione cinese si collocasse, senza clamorose rotture, fuori dall'Internazionale. Sono sue le parole famose: « Né la seconda né la terza Internazionale svdTscbncdcpdscgcM , e e sono state in grado di promuovere una rivoluzione. Invece, dopo lo scioglimento della Terza, si è avuta una lunga serie di rivoluzioni, tra cui la cinese ». Questa chiarezza sul problema di fondo l'ha portato nel « collettivo » di dirigenti che segue Mao, il « profeta » di una rivoluzione diversa, collocandolo persino al di sopra di Mao. La sua autorità di « marxista orientale », la sua esperienza militare, il suo coraggio nel massacro di Shanghai, la sua visione politica che arricchisce quella « profetica » di Mao, hanno infatti un vantaggio che Mao non ha. Mao è stato per due volte emarginato dal partito, per scarsa ortodossia. Ciu ha significato invece la cerniera tra il partito e il gruppo di maoisti che lentamente lo sostituisce. Perciò, Ciu gode di un prestigio più pieno, di una posizione più alta nella scala gerarchica. Finché, nel 1935, la storia registra un decisivo mutamento. Quello che sviluppa 10 straordinario personaggio di Ciu. Il 9 gennaio 1935, a Tzunyi, nella provincia di Weichow, mentre Ciu è considerato « numero uno del partito e dell'esercito », avviene un colpo di scena che gli esperti delle vicende cinesi non hanno ancora chiarito. Mao viene eletto improvvisamente « presidente » (la carica che detiene ancora oggi) e la sua presidenza della famosa « Repubblica sovietica cinese di Kiangsi », ottenuta nel '31, si fonde con la carica di presidente del partito. Malgrado sia tuttora discussa la legittimità di questa elezione, benché si dica che la nomina sia stata fatta « sugli scudi » dei capi militari, per quanto non siano mai stati pubblicati i documenti alla riunione dell'ufficio politico, ciò che conta è che quel giorno rappresenta la prima vera svolta nei rapporti tra il comunismo cinese e l'Urss, tra partito e « maoismo ». La nomina avviene infatti a dispetto del Komin tern e dell'Internazionale, che avrebbero diritto di accettazione e di revoca. L'« unanimità del partito », sfasciato dal fallimento della rivoluzione, tormentato dalla quinta e dalla sesta lotta, diviso in « frazionisti di Kiangsi », in « filosovietici formati a Mosca », come Wang Ming e Po Ku, è misteriosamente trovata intorno al gruppo dei militari maoisti fautori di una indipendenza dal Komintern. Però essa è fatta a dispetto di Ciu, « numero uno del partito e dell'esercito », che a questo gruppo appartiene. Snow ha detto che « questa elezione di Mao a presidente costituisce in un certo senso la sconfitta di Ciu ». Inoltre, ha sostenuto che Ciu « dal momento in cui si rese conto che Mao godeva dell'appoggio degli organi essenziali della rivoluzione non l'ha mai più sfidato, rinunciando alle pretese di affermarsi in modo autonomo nel campo strettaniente riservato al presidente, quello ideologico ». Sta di fatto, comunque, che la sconfitta è quella di un « numero uno », e non di un « numero due »; e che da quel momento comincia in Cina la coesistenza di due personaggi che si assegnano due campi riservati: Mao l'ideologia, Ciu l'esecuzione dell'ideologia. Per quarant'anni, l'immenso Paese e 11 tormentato partito saranno infatti guidati da una « diarchia ». Meglio ancora, da due « numeri uno » che riescono ad operare nella più stretta fusione d'idee. Quanto Mao debba a Ciu, e quanto Ciu debba a Mao, nella costruzione del « maoismo » in Cina, lo stabilirà infatti la storia. Ma non c'è dubbio che sia un errore d'ottica fondamentale considerare Ciu come il « secondo » di Mao, come l'esecutore fedele, e peggio ancora come il sostenitore di una linea meno rivoluzionaria, più moderata, più efficientista, che si contrappone a quella visionaria, profetica, fanatica di Mao. In realtà, tutti e due sono protagonisti della stessa parabola, hanno avuto la stessa matrice; poi, hanno condiviso le stesse posizioni, pure fissandosi due ruoli diversi. Se si bada, infatti, entrambi sono figli della « questione d'Oriente » e del comunismo « asiocentrico ». Entrambi sono fautori di una « rivoluzione diversa ». Entrambi sono approdati insieme alla teoria di un « partito diverso » che — dopo il 1935 — è pietra angolare della Cina, della stessa disputa Cina-Urss che continua la « questione d'Oriente », delle rivoluzioni culturali ^delle campagne di rettifica, dei balzi in avanti. Né vale liimi«uts«dslfsrSdpc la teoria che Ciu sia stato il « correttore degli eccessi », il frenatore capo di un regime che a tratti Mao farebbe impazzire. Gli « eccessi » e le « frenate » sono il prodotto di una guida a due perfettamente armonizzata. Sono la conseguenza del coesistere di due « gemelli » politici. Sempre uniti Analizzando gli avvenimenti, il loro vero modo di prodursi, la loro conclusione, risulta ormai chiaramente che le frenate e gli eccessi hanno fatto sbandare solo gli altri, mai loro due. La virata a sinistra del '65 ha fatto scendere dalla corriera cinese Liu Sciao-chi e tutto il gruppo di destra. La frenata del '71 ha tragicamente sbalzato dai sedili Lin Piao con tutta l'ul- trasinistra. Persino Teng, che I potrebbe succedere a Ciu, e caduto dal veicolo malamente, prima d'essere ripreso a bordo. Si potrà discutere a lungo sopra una guida che sceglie continui mutamenti di percorso, e poi qualifica destra o ultrasinistra coloro che perdono l'orientamento. Ma è fuori discussione che la guida sia sempre stata a quattro mani. Altrimenti sarebbe caduto anche Ciu. Il fatto è che la «diarchia» si basava su due « numeri uno »: i quali, come dice Snow, agivano certo in « campi riservati », avendo però la stessa visione del partito, dello Stato, dei rapporti con l'Urss, della rivoluzione permanente, del percorso da compiere. Sono insieme, Mao e Ciu, quando si vara nel '35 il distacco dal Komintern. Insieme prendono le redini della Cina, nel '49, senza lasciarsi mai. Insieme elaborano la prima Costituzione del '54, che fa della Cina una democrazia popolare, come i « satelliti » dell'Est. Insieme compiono la rottura con l'Urss, e il rinnovamento del partito del '65. Insieme controllano la guerra civile (o « seconda rivoluzione ») da cui sgorgano la seconda Costituzione del '75 e lo « Stato socialista di dittatura del pro¬ letariato ». Insieme liquidano, in questo processo istituzionale che travolge il partito, la destra di Liu e l'ultrasinistra di Lin, come Stalin liquidò Trockij e Bucharin. Insieme ricostruiscono il « nuovo partito », fissando una politica estera che contrasta il ritorno al satellitismo di Liu o la trockista « rivoluzione mondiale » di Lin. Insieme appoggiano, infine, il tentativo di costruire il « maoismo in un solo Paese » sulle spregiudicate aperture all'Occidente. Chi può distinguere due politiche, separare le idee dalle esecuzioni, contrapporre l'eccesso alla moderazione, quando due uomini sono sempre insieme agli appuntamenti decisivi della Cina? Chi ha conosciuto Ciu Enlai, scrutandolo da vicino, molto da vicino, coglieva del resto subito questo ruolo. La lunga marcia, la gestione del potere ancora più lunga, la vecchiaia, non avevano lasciato segni sull'uomo garbato, che riceveva al palazzo dell'Assemblea del popolo, sullo sfondo di Pechino, della sua vasta piazza color peltro, piena di fanali stile Vichy. I capelli erano appena graffiati dal grigio, l'occhio scattava nero, nella cornea bianchissima. I ciuffi scuri delle lucide sopracciglia scaldavano il suo viso, meridionale, un po' mongolo, che i nemici definivano « leggermente crudele », per l'espressione assorta, concentrata, asiatica, che — come in Stalin — si disegnava per fredde linee di duro pallore. Piccolo, apparentemente monacale nel grigio della divisa, risultava poi di rara eleganza. Le sue scarpe avevano forma occidentale. La divisa grigia, uguale a quella di tutti i cinesi, aveva un colore percettibilmente più luminoso, un taglio morbido di panneggi. Anche i cinesi ammettevano che il grigio di Ciu En-lai « era più grigio degli altri ». Infatti, anche per piccoli segni, le « diarchie » sono visibili. Ma è proprio la fine di questa diarchia che pone la Cina, oggi, di fronte a un problema immenso: pari a quello che solleverebbe la morte di Mao. Infatti, la scomparsa di Ciu En-lai non significa soltanto che una strada è aperta a grosse modificazioni dei rapporti di forza politici nel gruppo dirigente. Èssa significa soprattutto, data l'età di Mao, lo spalancarsi di un vero problema di successione, nel quale è implicata anche la scelta del dopo-Mao. Si deve infatti scegliere tra Teng Hsiao-ping e uno dei giovani del gruppo di Shanghai. Cioè, tra « capi della destra riabilitata » e « maoisti puri ». Né vi sono alternative al dilemma che si presenta. La lotta politica ha travolto tutti gli uomini-guida del passato. Sono morti quest'anno Tung Piwu e Kang Cheng. Nel difficilissimo momento, salvo il vecchissimo Mao, la Cina è totalmente priva di capi storici. Alberto Cavallari