Rischia l'ergastolo il Maraschi accasato della strage di Acqui di Vincenzo Tessandori

Rischia l'ergastolo il Maraschi accasato della strage di Acqui Ad Alessandria il processo per il sequestro Gancia Rischia l'ergastolo il Maraschi accasato della strage di Acqui La sentenza entro la settimana - La corte dovrà decidere se la responsabilità del brigatista per la sparatoria sussiste anche se il giovane era stato arrestato prima - Ieri sentiti 2 testi (Dal nostro inviato speciale) Alessandria. 7 gennaio. Fra breve, meno di tre giorni forse, la sentenza. La Corte d'assise di Alessandria deciderà se Massimo Maraschi, brigatista rosso a tempo pieno, sia responsabile del rapimento di Vittorio Vallarino Gancia, di una cospicua serie di reati minori e, benché con le manette ai polsi da almeno 18 ore, anche della battaglia avvenuta alla cascina Spiotta. Nei confronti del giovane e di altri rimasti «sconosciuti» l'accusa non fa differenze, la responsabilità è uguale anche per chi non abbia partecipato materialmente al fatto, si afferma invocando la teoria del concorso. Era, il giovane, afferma l'accusa, consapevole e responsabile dell'eventualità di un conflitto a fuoco se qualcosa nell'azione del rapimento non avesse funzionato. La reazione violenta avuta dai brigatisti alla cascina quando vennero scoperti dai carabinieri, altro non sarebbe che l'applicazione pratica delle tattiche di guerriglia illustrate nei documenti ad uso interno dell'organizzazione clandestina. Per sostenere questa tesi, il rappresentante della pubblica accusa, dottor Enrico Buzio, aveva richiesto di acquisire agli atti il giornale in ciclostile stampato dalle Brigate rosse, Lotta armata per il comunismo. «E' interessante e forse indispensabile per capire il comportamento di Maraschi, come interessante è pure l'opuscolo che contiene le norme di comportamento» spiegò il magistrato. La corte decise di accettare la richiesta e i due documenti, che evidentemente per caso, il capitano dei carabinieri Giampaolo Sechi, già del Nucleo speciale di polizia giudiziaria presente in aula per essere ascoltato come teste, aveva nella borsa. E così il giornale è diventato uno dei pilastri sui quali si baserà l'accusa Onorate le feste, la corte ha ripreso il lavoro stamani. Programma non pesante, soltanto l'ascolto di due testimoni assenti dall'aula per malattia o infortuni. Giudici togati, giudici laici e difensori hanno lasciato temporaneamente la grigia aula di Alessandria e si sono recati all'ospedale di Acqui Terme per ascoltare Francesca Marchisio e Bruno Pagliano. La giovane S casellante delle Ferrovie a Cereto di Nizza Monferrato e abita in una cascina che in linea d'aria dista non più di 200 metri dalla «Spiotta». Ha ricordato di aver visto, nei pressi del casello, il 2 giugno, cioè due giorni prima del rapimento, due auto, una 124 verde e una 127 color aragosta. «Erano ferme, attorno c'erano numerose persone, sette, forse otto. Parlavano fra loro, ho finito per avere qualche sospetto». Poco tempo prima alla ragazza era stata rubata l'auto e per questo lei aveva rico piato la targa delle auto. Qualche tempo dopo si era scoperto che la 124 era quella guidata da Maraschi il giorno del rapimento e del suo arresto; sulla 127, invece, aveva iniziato la fuga il guerrigliero carceriere che aveva l'incarico di custodire Gancia alla cascina Spiotta. L'altro vicino di casa della «dottoressa Marta Caruso», cioè di Margherita Cagol, è stato ascoltato subito dopo. Bruno Pagliano, anch'egli assente dal dibattimento in aula per una frattura alla gamba, vive in una cascina lontana non più di 7 o 800 metri dalla «Spiotta». Il viavai che aveva colpito un po' tutti gli altri vicini lo aveva lasciato più o meno indifferente, ma il giorno della battaglia i colpi e gli scoppi erano stati troppo forti e numerosi per non sollecitare la sua curiosità. Era corso verso la casa e, superata la gobba erbosa, si era trovato di fronte l'inferno: nell'aria, ancora il fumo acre degli spari, a terra, discosto alcune decine di metri dalla casa, il corpo riverso di «Mara» Cagol. La giovane rantolava ancora, aveva il volto schiacciato al suolo. Con gesto istintivo Bruno Pagliano ha voltato la donna: «Forse sarebbe stato più facile per lei respirare». Più oltre, immerso in una pozza di sangue, immobile, l'appuntato D'Alfonso. L'unico carabiniere rimasto illeso, Pietro Barberis, l'uccisore di «Mara» Cagol, si aggirava poco lontano, come in cerca di qualcuno. Quando vide il giovane gli gridò: «Se ne vada, lei non può stare qui». Ma Pagliano aveva pensato che, forse, c'era bisogno anche di lui, lo disse al carabiniere. «Va bene, vada a vedere se sono vivi», disse allora Barberis. Oggi verrà ascoltato il fratello del giovane, Mario, anch'egli abitante in una cascina non lontana dalla fattoria «maledetta». Dopo la deposizione si aprirà il dibattito. Per primi parleranno gii avvocati di parte civile, Osvaldo Colla e Rodolfo Pace di Acqui Terme. Poi, se il programma previsto dal presidente verrà rispettato, sempre in giornata dovrebbe esserci la requisitoria del rappresentante della pubblica accusa, procuratore Buzio e, forse, l'arringa del difensore avvocato Cardinali di Novara. Assai difficile che anche l'avvocato Eduardo Di Giovanni di Roma riesca a parlare. Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Acqui, Acqui Terme, Alessandria, Nizza Monferrato, Novara, Roma