Pisa: clinici sotto accusa sparito oltre un miliardo di Filiberto Dani

Pisa: clinici sotto accusa sparito oltre un miliardo L'inchiesta all'Università è durata 4 anni Pisa: clinici sotto accusa sparito oltre un miliardo Sono 20 medici accusati di peculato, concussione e interesse privato - Le irregolarità negli anni dal 1964 al 1971 - Secondo il p.m.: "La condotta degli imputati fu anche agevolata dalla negligenza e inerzia degli stessi organi accademici" (Dal nostro inviato speciale) Pisa, 6 gennaio. Peculato, concussione, interesse privato in atti d'ufficio: le accuse sono pesanti, coinvolgono dodici direttori di clinica e otto tra aiuti è assistenti dell'Università di Pisa, riguardano la presunta appropriazione di una somma che si aggira su un miliardo e mezzo di lire. L'istruttoria penale, a suo tempo avocata dalla procura generale di Firenze, è andata avanti in sordina per quasi quattro anni; adesso ci sono le richieste di rinvio a giudizio, formulate dal pubblico ministero, il dottor Raffaello Cantagalli, e sono prossime le conclusioni del giudice istruttore, il dottor Antonio Nannipieri. La parte più massiccia delle irregolarità denunciate dal magistrato requirente si riferisce all'amministrazione dei cosiddetti proventi ospedalieri, cioè delle somme pagate da persone che si erano affidate per le cure alle cliniche universitarie. L'accusa sostiene che una larga fetta di queste somme doveva essere versata all'università, mentre i clinici l'avevano invece trattenuta in gran parte per sé e per i loro aiuti e assistenti. I principali imputati sono tutti clinici importanti e, alcuni, non soltanto in campo nazionale. Si tratta, insomma, di «baroni». I nomi: Giuseppe Gomirato, 66 anni, direttore della clinica neurologica (incriminato per 81.411.203 lire), Augusto Gentili, 73 anni, ex direttore della clinica pediatrica e presidente della Società italiana di pediatria (lire 53.768.762), Alberto Wirth, 56 anni, direttore della clinica oculistica (75.109.827 lire), Natale Di Molfetta, 72 anni, direttore dell'Istituto di patologia speciale e chirurgia (38.522.563), Pietro Sarteschi, 56 anni, direttore della clinica psichiatrica (82.122.549 lire), Giuseppe Scalori, 74 anni, ex direttore della clinica otorinolaringoiatrica (99.915.507 lire), Renato Bandettini, 69 anni, direttore della clinica odontoiatrica (17.970.247 lire), Pompeo Spoto, 69 anni, direttore della clinica ostetrico - ginecologica (102.449.023 lire), Fabio Tronchetti, 68 anni, direttore della prima clinica medica (159.106.012 lire), Mario Selli, 59 anni, direttore della clinica chirurgica (302.133.150 lire), Giorgio Tusini, 56 anni, direttore della clinica neurochirurgica (lire 25.049.488), Marcello Cornei, 74 anni, direttore della clinica dermosifilopatica (lire 17.342.070). Altri due imputati sono morti durante l'inchiesta: l'ex direttore della clinica medica generale (266.101.322 lire) e l'ex direttore della clinica ostetrica. Otto gli aiuti e gli assistenti incriminati: Rolando Tittarelli, Giuseppe Lepri, Sergio Gandini, Giorgio Martinelli, Remo Rossi, Pietro Pfanner, Alberto Muratorio e Francesco Milone Ferro. Il giudizio preliminare dei- l'accusa è severo. Scrive il pubblico ministero nella sua requisitoria: «Qualunque possa essere l'esito della vicenda processuale è certo che i fatti hanno trovato fecondo terreno per germinare e svilupparsi nella posizione di indubbia preminenza scientifico-didattica di tutti i principali imputati, preminenza che ha finito per tralignare e diventare incontrollata signoria e autonomia nelle singole cliniche e istituti di cui i vari professori erano titolari». Le irregolarità riscontrate dalla lunga istruttoria coprono un arco di otto anni, dal 1964 al 1971, e totalizzano la presunta appropriazione di un miliardo e mezzo di lire. Sono tre le ipotesi di peculato prospettate dall'accusa: appropriazione di proventi relativi a degenti paganti in proprio. Una convenzione tra università e ospedali riuniti di Pisa stabiliva che il 30 per cento spettava all'amministrazione ospedaliera, il restante 70 per cento a quella universitaria. Di fatto accadeva che l'ospedale, trattenuta la propria parte, versasse il residuo ai direttori delle varie cliriche e istituti. Scrive il pubblico ministtro: «E' veramente singolare che l'amministrazione o pedaliera, avendo una controparte alla quale doveva andare il 70 per cento dei proventi, consegnasse invece questo denaro a soggetti che non avevano alcuna investitura legittima per rappresentare l'università nei rapporti economici con essa amministrazione». Il magistrato deduce quindi che di tali somme «trattenute dai clinici e amministrate secondo criteri strettamente personali e anche utilitaristici» c'è stata «una vera e propria appropriazione e sottrazione al controllo e alla gestione dei competenti organi accademici». Appropriazione di proventi per visite ambulatoriali a persone paganti in proprio. Anche in questo caso la convenzione tra le due amministrazioni stabiliva che i due quinti andassero all'ospedale e i tre quinti all'Università, che a sua volta li avrebbe accreditati alle singole cliniche. E' avvenuto, invece, che i tre quinti dei proventi fossero direttamente accreditati dall'ospedale alle cliniche e che i direttori di queste ultime «le gestissero al di fuori di ogni controllo degli organi universitari, secondo criteri meramente personali». Commenta il pubblico ministero: «La condotta degli imputati fu senza dubbio agevolata dalla negligenza e dall'inerzia degli organi accademici che non si fecero mai parte diligente per vietare spese incontrollate, disporre che l'uso del denaro fosse di volta in volta autorizzato, esigere giustificazioni degli impieghi delle somme». Appropriazione di proventi per visite ambulatoriali a persone mutuate. Il magistrato requirente parla di «situazione singolare» dovuta al fatto che sono venute alla luce una serie di convenzioni stipulate direttamente, in spregio dei più elementari canoni del diritto amministrativo, tra clinici (che non ne avevano la veste giuridica) ed enti mutualistici. «Questi clinici — sì legge nella requisitoria — erano venuti così a conseguire la disponibilità delle somme che gli enti assistenziali rimettevano loro, sottraendole quindi ai controlli e alle ripartizioni che l'amministrazione ospedaliera, alle quali appartenevano, avrebbe dovuto compiere». Concussione: è l'accusa più grave ed è contestata agli imputati che svolgendo attività ambulatoriale «convogliano nell'ambito delle cliniche i malati che si rivolgevano a loro per essere visitati». Il codice penale dice che la concussione si manifesta quando il pubblico ufficiale, abusando delle sue funzioni, costringe o induce una persona a dare indebitamente denaro. Anche qui il pubblico ministero non ha dubbi: «/ clinici — scrive -— facevano determinate richieste di onorari e a queste richieste i pazienti accedevano senza neanche porsi il quesito se gli onorari richiesti fossero legittimi o meno, nella fiducia cioè che se il clinico chiedeva un determinato onorario tale richiesta fosse lecita e l'onorario fosse dovuto». I clinici sostengono che i pazienti venivano loro inviati dagli ambulatori per «consulto» e che, visitandoli, essi svolgevano attività privata. In questo caso, conclude il pubblico ministero, dovranno rispondere di interesse privato in atti d'ufficio. Iu\ intanto, chiede il loro rinvio a giudizio anche per questi due reati. Deciderà il tribunale. Filiberto Dani

Luoghi citati: Firenze, Pisa