Un«Sandokan» al rallentatore di Ugo Buzzolan

Un«Sandokan» al rallentatore CRONACA TELEVISIVA Un«Sandokan» al rallentatore Una delusione. Diciamolo con franchezza e subito: l'esordio del Sandokan e stato una delusione. No, non siamo delusi come «vecchi salgariani» dal cuore attanagliato dalla nostalgia. Che vuol dire essere «vecchi salgariani»? Da ragazzi, trentanni fa o più, èravamo tutti per Salgari, divoravamo i suoi libri, vivevamo con Sandokan e con Marianna, con il Corsaro Nero e con l'uomo di fuoco, con i pescatori di Trepang e con le meraviglie del Duemila... Adesso, a tanta distanza dì tempo, e soprattutto dopo una rilettura, gli antichi entusiasmi fanciulleschi non hanno più ragione di esistere: rimane certamente l'ammirazione per una fantasia che sapeva sfornare a getto continuo storie mirabolanti, feuilletons esotici ripieni di avventure che si susseguono con incalzante ritmo, in una dimensione assurda, iperbolica, melodrammatica... Quanto abbiamo sognato, allora, da lettori! E quanto abbiamo sbadigliato, ieri, come spettatori! Ecco, appunto. Siamo delusi non come salgariani ma come spettatori. La puntata non ha proprio funzionato come spettacolo. Già ci è poco piaciuto l'inizio. Ma scherziamo? Il povero e caro Salgari si è spremuto tutta la vita, sino a morirne, per offrirci le combinazioni più varie, più complicate, più ingegnose di intreccio. Le sue invenzioni sono fuochi d'artificio, si sprecano, a migliaia! Nossignori, la Tv, lì in mezzo, non trova niente che le vada a genio. E avvia questo colossale omaggio (si fa per dire) a Salgari con un episodio che Salgari non ha mai né pensato né scritto: il rapimento dei principini (doppiati con accento romanesco). Chi li ha fatti rapire? Il bieco «rajah bianco» Brooke, perfido figlio di Albione diventato despota in Malesia: l'ottimo Adolfo Celi passato nel giro di qualche settimana dalla baronia di Carini al tronetto di un reame dell'Estremo Oriente: ottimo «cattivo» che persino qui si è disimpegnato con dignità anche se l'hanno vestito da Radames. Cominciano le chiacchiere. Brooke chiacchiera minacciosamente con un vassallo, e i due si danno del lei. Poi Brooke chiacchiera mondanamente con Andrea Giordana, colonnello inviato di Sua Maestà britannica. Il dialogo è fitto, l'azione ristagna, pare di assistere ad una rappresentazione teatrale. Conosciamo Yanez. altro attore di rispetto, il francese Philippe Leroy. Pure Yanez sta immobile, seduto comodamente, fuma, sbevazza, sparacchia ai serpenti in attesa di Sandokan. Tutti gli spettatori attendono che succeda qualcosa... Finalmente compare Sandokan, il probo indiano Kabir Bedi, prestante, simpatico, decorativo, di fattezze tali e truccato in modo che potrebbe agevolmente fare, oltre a Sandokan, Che Guevara o Gesù Cristo o Giuseppe Garibaldi o Carlo Marx. Comunque non sono i personaggi che difettano per tradimento degli originali. Quello che manca è l'incalzante ritmi, salgarìano al quale si accennava prima. Stiamo vedendo un racconto corretto, tecnicamente portato avanti con scrupolo e mestiere, ma terribilmente piatto, senza guizzi, senza lampi di emozione, senza tensione crescente. A questo punto — come dire ? — Salgari non c'entra più. Fosse un racconto tratto da Fenimore Coo-1 per o dal sublime Conrad, \ sarebbe esattamente lo stes- \ so: un racconto fiacco, grìgiù (sì, il colore potrebbe j aggiungere qualcosa, ma ben poco: è la sostanza quella che conta ovviamente, non la vernice), di limitato interesse, leggermente soporifero, e non stiamo a tirar fuori paragoni con dinamici film d'avventure che sono circolati e circolano sugli schermi. Se poi facciamo un discorso specifico su Salgari, è peggio che peggio. Dov'è Salgari, qui? Era scontato, scontatissimo che fosse estremamente arduo restituire attraverso le immagini il fascino, la magìa, l'incanto ecc. ecc. che emanavano per noi ragazzi (e non più per i ragazzi di oggi) gli ingenui e fervidi romanzi di Salgari. Ma l'esordio di questo Sandokan non ha nemmeno salvato il minimo salvabile, e sfruttabile: la forza irruente della fantasia salgariana, quella febbre, quell'ansia, quella felicità di narrare fatti strepitosi che innegabilmente — al di là di ogni effetto retorico o ridicolo — pervadono le pagine di ogni libro, specie, diremmo, in questo ciclo malese. Sul video la forza fantastica si è sgonfiata per cedere il posto ad un clima di diligente e banale realismo dove il mitico assalto dei tigrotti è poco più che una modesta zuffa e dove non ci importa nulla sapere che gli sfondi, mare e foreste, sono autentici. E dove, esterrefatti, possiamo ascoltare espressioni che sarebbero risultate incomprensibili a Salgari e paiono tolte da una tavola rotonda televisiva, tipo «Un mondo a misura d'uomo...», ficcata, invece dell'ennesima sigaretta, in bocca a Yanez. Preferiamo allora, di gran lunga, la dissacrazione — e non era poi dissacrazione — che aveva fatto lo scorso anno Gregoretti, il quale s'era servito dell'ironia per ricercare il retroterra di Salgari, ricostruirne l'epoca, «giustificarne» l'opera: attraverso uno spettacolo critico era tuttavia balzata fuori, in pieno, l'esuberanza creativa dello scrittore. Qui Salgari è stato usato contro Salgari: per annoiare. Siamo soltanto all'esordio, obbietterà qualcuno, soltanto alla puntata di introduzione e preparazione, meglio tenersi prudenti con i giudizi negativi, meglio aspettare con la speranza che la storia si raddrizzi, e prenda nerbo e vigore e ali; sì sì, rispondiamo noi che in anteprima abbiamo già visto anche la seconda puntata, aspettiamo pure, ma con poca speranza. Ugo Buzzolan

Luoghi citati: Carini, Estremo Oriente, Malesia