Isabelita si regge sulle contraddizioni di Livio Zanotti

Isabelita si regge sulle contraddizioni Isabelita si regge sulle contraddizioni Aumentano le incognite del "puzzle,, argentino (Dal nostro corrispondente) Buenos Aires, 5 gennaio. La fine d'anno ha riaperto in Argentina la guei ra delle voci. Chi ieri diceva che Isabelita se ne va in vacanza o si dimette, oggi scrive che questi sono discorsi « golpisti » anche se è pronto poi a farli nuovamente già domani. Radicali e « desarrollisti » di Arturo Frondizi parlavano stamane al congresso di una probabile presidenza provvisoria dell'attuale titolare del Senato Italo Luder. Ma nello stesso salone, a pochi passi di distanza, uomini come Francisco Manrique, ex ministro del generale Alejandro Lanusse, implacabile censore del governo, per una volta anche se da punti di vista distinti in accordo con i parlamentali « verticalisti », sostenitori a oltranza di Isabel, manifestavano invece la convinzione che, per quanto potrà il potere esecutivo non arretrerà di un sol passo. Nella palude politica argentina, si dice tutto e il suo contrario, tutto sembra possibile e tutto è incerto. La gravità della crisi le imprime in realtà un continuo moto centripeto. Ogni nuovo episodio la riconduce alla stessa questione pregiudiziale, la permanenza o meno della vedova di Juan Domingo Peron alla Casa Rosada. Sotto i colpi del profondo malessere economico e sociale, si è rotto prima il dialogo tra opposizione e governo, creatura del generale Peron; poi ha ceduto la stessa coalizione di maggioranza, il « Frenle justicialista de liberaciùn », cardine del sistema di potere: i « conservatori popolari » di Vicente Solano Lima, vice di Hector Campora, tra il maggio e il luglio 1973, e il « Movimiento de integration y desarrollo » di Arturo Frondizi, ne sono usciti sbattendo la porta; infine Io stesso partito .giustizialista si è spaccato, e una ventina delle centinaia di deputati peronisti si sono costituiti in gruppo autonomo, andato a fiancheggiare il governatore della provincia di Buenos Aires, Victorio Calabro, nella disputa con il « verticalista ■> capo sindacale Lorenzo Miguel. Per assai meno, in altri tempi, le forze armate hanno fatto il golpe. Anche adesso potrebbero spazzare via le istituzioni senza eccessive difficoltà. Il problema però è altrove, in un terreno sul quale i carri armati e le leggi eccezionali non bastano, vale a dire quello della infermità strutturale di cui è vittima l'Argentina, della mancanza di un settore sociale egemone o comunque capace di assumere la direzione di un progetto di sviluppo compatibile con gli interessi della grande maggioranza del Paese. Sette anni di governi fallimentari, dal generale Ongania al generale Lanusse, hanno reso prudenti gli alti comandi militari. Non vogliono rischiare di ritrovarsi contro l'intera popolazione; a maggior ragione oggi, con la guerriglia ben armata, audace non priva di ragioni politiche suggestive, che potrebbero trasformarla nella avanguardia di un grande movimento popolare, secondo la sua stessa aspirazione. Ecco ciò che più preoccupa i generali che quindici giorni addietro hanno spento la rivolta scoppiata nella forza aerea. La loro strategia, per il momento, sta nel concentrare tutti gli sforzi nello sterminio dei « sovversivi ». Che in via di principio sono i guerriglieri, ma nel pensiero espresso di non pochi ufficiali sono anche gli attivisti sindacali, gli intellettuali progressisti, qualsiasi critico da sinistra del sistema. Oltre a essere una necessità obiettiva di difesa dell'ordine costituito, la repressione consente ai militari di ristabilire fin d'ora una loro presenza attiva e crescente nella politica nazionale. Per spingersi oltre, essi pretendono la copertura dei parlili politici oppositori. Dai radicali ai comunisti, questi lasciano intendere di essere disposti a fornirla in cambio di precise garanzie, l'inviolabilità del congresso e il rispetto degli impegni elettorali innanzitutto. Ma un eventuale patto di tal genere verrebbe inevitabilmente travolto da un « golpe » aperto e necessariamente cruento, la cui logica porterebbe in prima fila gli esponenti più oltranzisti e meno lungimiranti delle forze armate. Tanto la forza delle armi come il peso di un consenso relativamente vasto appaiono così condizionati dal bisogno di una reciproca mediazione, pos¬ sibile soltanto nell'ambito del gioco istituzionale. Per l'opposizione è indispensabile che il governo si dimetta; abbatterlo può risultare una terapia più pericolosa del male. Per questo molte manovre sono occulte e quelle manifeste si presentano talvolta incomprensibili. Le incessanti trattative, il cui canale principale passa oggi per la Chiesa cattolica, restano così in gran parte segrete. Isabelita, malgrado le pressioni d'ogni genere alle quali è sottoposta, non sembra comunque voler facilitare in nessun modo gli avversari, delle cui contraddizioni approfitta per sostenere il proprio fragile potere. Livio Zanotti Buenos Aires. Il presidente della Repubblica argentimi, Isabelita Perón in un recente discorso (Telefoto « Ap »)

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