Il potere economico in Italia ha cominciato a rinnovarsi di Mario Deaglio

Il potere economico in Italia ha cominciato a rinnovarsi Il potere economico in Italia ha cominciato a rinnovarsi Le teste cadute nel 1975: in crisi la filosofia delPintervento pubblico Per molti anni ai vertici della politica economica italiana non era successo nulla di nuovo. Gli uomini che governavano la nostra economia, che determinavano con le loro scelte l'azione pubblica, che detenevano le leve finanziarie dell'amministrazione pubblica erano, a ben vedere, sempre gli stessi. Insieme con i politici essi formavano, ed in parte non piccola continuano a formare, il gruppo dirigente più cristallizzato e maggiormente invecchiato nel potere di tutta l'Europa, con la sola eccezione dell'Unione Sovietica e della Jugoslavia. Negli ultimi quindici mesi, però, pare essersi avviato un processo di ricambio. Quest'inizio di avvicendamento, dopo un lunghissimo periodo di immobilità, rappresenta certamente la maggiore novità economica del 1975 ed un punto di partenza per qualsiasi previsione sul 1976. La struttura del potere economico comincia a modificarsi. Forse proprio dall'analisi di questo mutamento, al di là degli avvenimenti congiunturali e delle previsioni dei modelli econometrici, è possibile trarre qualche ccnclusione sul futuro del sistema economico italiano. La serie dei cambiamenti al vertice ha inizio nell'autunno del 1974 con le dimissioni di Giorgio Ruffolo dalla segreteria generale della programmazione, una carica che lo stesso Ruffolo aveva occupato pressoché ininterrottamente da quando era stata creata, dodici anni prima. Il mutamento più clamoroso si verifica diversi mesi dopo, con le dimissioni di Guido Carli, il quale nell'agosto del 1975 lascia il governatorato della Banca d'Italia, che deteneva da quattordici anni. Nel frattempo, l'intera scena bancaria e finanziaria italiana appare in movimento. Ferdinando Ventriglia, influente consigliere economico di mini¬ stri democristiani, lascia la presidenza del Banco di Roma per diventare direttore generale del Tesoro. Dopo anni di rinvìi, il problema del rinnovo delle cariche nei maggiori istituti finanziari pubblici, i gangli vitali del potere economico diviene urgen¬ te e la stampa e il Parlamento lo seguono con insolita attenzione. Dalla scena italiana scompare Michele Sindona, ridotto da mago della finanza a conferenziere ambulante in varie università degli Stati Uniti, in attesa che le autorità di quel Paese ne per- mettano l'estradizione in Italia dove deve rispondere di vari reati. Si è ridotto grandemente, quando non è cessato del tutto, il ruolo dei «finanzieri d'assalto» che negli anni passati movimentavano le nostre Borse. Nell'industria pubblica, poi, si verifica un vero e proprio terremoto. In giugno si dimette Mario Einaudi, presidente dell'Egam, a seguito dell'opposizione suscitata dalla spregiudicata espansione del suo ente. In luglio arrivano le dimissioni di Raffaele Girotti dalla presidenza dell'Eni, dopo una serie di violente critiche alla sua politica ed alla segretezza dei suoi bilanci. Scompare nel frattempo, inutilmente inseguito da un mandato di cattura, il senatore Graziano Verzotto, già presidente dell'Ente minerario siciliano. Il «recordman» del potere economico in Italia, Giuseppe Petrilli, da quindici anni presidente dell'Iri, si trova, con il suo ente, al centro di una valanga di critiche e di contestazioni. All'interno dell'In, dimissioni, trasferimenti e siluramenti di alti dirigenti si susseguono con grande rapidità: dall'Alfa Romeo, dove le dimissioni di Giuseppe Luraghi per una controversia manageriale non hanno riportato la pace, alla Rai, dove Ettore Bernabei lascia una consolidata posizione di potere, per assumerne una, molto più incerta, all'Italstat. Nel frattempo, nell'In e nell'Eni si assiste ad un fenomeno nuovo: la contestazione dei dirigenti, che criticano apertamente, con una serie di documenti, l'operato dei loro capi. Che significato si può trarre da tutti questi mutamenti? Nel caso di Ruffolo ed in quello di Carli si assiste al tramonto dell'idea che l'Italia possa essere gestita, sotto la guida di alcuni «grandi commessi» pubblici, mediante una programmazione nazionale di tipo globale e centralizzato, sorretta dal sistema bancario. Questo fallimento, che è poi il fallimento del metodo di azione economica proposto dal centro-sinistra, è stato lucidamente illustrato da Ruffolo nei suoi libri e da Carli, anno dopo anno, nelle sue Relazioni all'assemblea della Banca d'Italia. Le buone intenzioni sono state brutalmente tradite dalla realtà: al posto di una maggior razionalità si deve registrare un incremento del clientelismo e dell'inefficienza. E' un indice della statura morale dei due personaggi che si siano ritirati spontaneamente, senza pressioni e senza scandali, e che abbiano scelto nuove attività assai diverse da quelle precedenti, ritenendosi cosi, implicitamente, sconfitti dai fatti. Nei casi di Girotti, di Einaudi e di Verzotto, pur con sfumature e aspetti alquanto diversi, si è assistito invece ad un fatto senza precedenti n gli ultimi anni. La segretezza e l'arbitrarietà di gestione degli enti economici pubblici non sono certo una novità, ma vi è una nuova insofferenza nei loro confronti, che ha dato origine alla reazione, la quale ha costretto questi tre presidenti di tre potenti enti pubblici ad andarsene. E' troppo presto per affermare che l'epoca dei potentati semi-indipendenti sta tramontando. Ma nel '75 il mondo dei grandi «managers» pubblici si è trovato per la prima volta sulla difensiva, ha subito numerose sconfitte, ha perduto una parte della sua sicurezza e della sua arroganza. Ancora pochi anni fa pareva che l'industria privata fosse in arretrato con i tempi. Ora essa ha per lo meno arrestato il proprio declino, ed è riuscita a stabilire, sia pure in maniera incompleta ed ancora insoddisfacente, un proprio meccanismo di confronto con il mondo politico e con il sindacato, ha messo a punto un insieme di princìpi e di linee d'azione. E' l'impresa pubblica, invece, a trovarsi in gravissima difficoltà: un tempo portatrice di una sua «filosofia» originale, appare oggi disorientata e senza idee. I suoi canali privilegiati con la classe politica sono interrotti, con il sindacato si hanno spesso scontri violenti, mentre nessuno (sindacato in testa), sembra avere una nozione chiara di quel che l'intervento pubblico nel sistema economico deve realizzare. Le fonti preferenziali di finanziamento corrono il rischio di inaridirsi di fronte ad un Parlamento non più disposto ad approvare a scatola chiusa qualsiasi aumento dei fondi di dotazione. Ci si muove, dunque, in un'era di transizione, così come di transizione — pur con varie differenze — si possono definire gli uomini che hanno sostituito i dimissionari: Landriscina alla programmazione, Baffi alla Banca d'Italia, Manuelli all'Egam, Sette all'Eni, non sono certo «uomini nuovi». Siamo in presenza di un grande vuoto di idee, e fino a quando esso non sarà colmato non vi potrà essere una soluzione duratura ai problemi dell'economia italiana. La ricerca di nuove «filosofie» dell'azione pubblica c di nuovi uomini continuerà nel 1976. L'immobilità dei vertici del potere economico è ormai solamente un ricordo del passato. Mario Deaglio Guido Carli Raffaele Girotti Giorgio Ruffolo Mario Einaudi

Luoghi citati: Europa, Italia, Jugoslavia, Stati Uniti, Unione Sovietica