A Norimberga, 10 forche di Giuseppe Mayda

A Norimberga, 10 forche La condanna a morte dei capi del Terzo Reich A Norimberga, 10 forche Fra i gerarchi nazisti che salirono sul patìbolo vi erano Frank, il "boia della Polonia", Streicher, il pornografo antisemita, Kaltenbrunner, l'ultimo capo della Gestapo e i generali Keitel e [odi - Al processo (durato 218 giorni) mancarono i principali imputati: Hitler, Himmler e Goebbels, tutti suicidi col veleno Dalle alte e strette finestre del medioevale Palazzo di Giustizia di Norimberga, la «città dalle cento torri», si scorgono le colline di rossa arenaria, i barconi che scivolano sul Pegnitz, la chiesa di San Sebaldo e il «Ponte dei Macellai», esile e sottile come quello di Rialto. Qui, in quest'aula ove adesso si discute una causa di divorzio fra due coniugi di Furth, trent'anni fa vennero giudicati e condannati a morte il maresciallo del Reich Hermann Goering, il «filosofo» nazista Alfred Rosenberg, autore del «Mito del XX secolo», Joachim Ribbentrop, l'altezzoso ex ministro degli Esteri che, in gioventù, aveva fatto il venditore di champagne, l'avvocato Hans Frank, «boia della Polonia», i generali Wilhelm Keitel e Alfred Todi, rappresentami di quella «spieiata casta militare» ch'era lo Stato Maggiore della Wehrmacht, Julius Streicher, il pornografo antisemita editore dello «Strumer», Fritz Sauckel, feroce dittatore- della manovalanza schiava reclutata con la forza dai nazisti nell'Europa occupata, Wilhelm Frick, l'ex ministro dell'Interno firmatario delle «leggi di Norimberga» contro gli ebrei, Ernst Kaltenbrunner, l'ultimo capo della Gestapo, Arthur Seyss-Inquart, il governatore tedesco dell'Olanda che aveva sulla coscienza anche la deportazione di una bambina chiamata Anna Frank, Martin Bormann, sinistro segretario di Hitler e inventore della poligamia «per il bene del popolo». Il processo — iniziato il 20 novembre 1945 e concluso martedi T ottobre 1946 dopo 218 giorni di dibattito e 407 udienze — era stato chiesto e imposto dalla Conferenza Interalleata di Londra del 13 gennaio 1942; i rappresentanti dei Paesi occupati dai nazisti, dinanzi al ripetersi delle aggressioni e al dilagare delle sopraffazioni e degli eccidi, avevano approvato alla unanimità una risoluzione che affermava come «il preparare, provocare o condurre una guerra di aggressione, o cospirare con altri a tal fine, è un delitto contro la società internazionale, e che il perseguitare, opprimere e fare violenza ad individui o minoranze, per motivi politici, razziali o religiosi connessi cm tale guerra, e sterminare, mettere in schiavitù e deportare le popolazioni civili sono veri e propri crimini internazionali e che gli individui sono responsabili di tali delitti». Stalin, più sbrigativamente, avrebbe voluto che, appena catturati, i criminali di guerra tedeschi venissero giustiziati senza alcun processo: «Dobbiamo farlo con lutti, senza nessuna eccezione — aveva detto a Churchill e a Roosevelt durante un pranzo alla conferenza di Teheran del novembre 1943 —. Saranno, all'inarca, cinquantamila. Brindo alla giustizia dei plotoni di esecuzione». Né Churchill né Roosevelt avevano sollevato il calice ma Stalin, un mese più tardi, aveva sottolineato la sua posizione facendo celebrare a Charkov, il 15 dicembre, il primo processo contro crin.inali di guerra nazisti: tre ufficiali della Wehrmacht erano slati fucilati dopo un interrogatorio pubblico durato ^ette minuti. Le proposte della Conferenza Interalleata si concretarono all'inizio del 1945 e nel luglio di quell'anno, a San Francisco, nel corso della sessione inaugurale delle Nazioni Unite, il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Robert Houghwout Jackson presentò agli alleati un pro¬ getto completo di processo internazionale, da tenersi in Germania, entro l'anno, da una Certe formata dai rappresentanti delle quattro Potenze vincitrici. A Norimberga, però, mancarono i principali imputati previsti da Jackson: Hitler, Himmler e Goebbels si erano tolti la vita col veleno; mancava anche Bormann, scomparso misteriosamente da Berlino nei giorni del crollo finale, e mancava Robert Lcy, il capo del «Front; del Lavoro», che si era ucciso in cella, durante la prigionia, impiccandosi con un asciugamano. All'ultimo momento, poi, il «caso» di Gustav Krupp von Bohlen und Halbach venne stralciato: il settantacinquenne «re dei cannoni», immobilizzato in un letto, fu riconosciuto in condizioni mentali tali che lo rendevano incapace di comprendere il dibattito e di difendersi. I ventidue altissimi dirigenti nazisti, che erano stati catturati dopo «la più formidabile caccia all'uomo della storia, dalla Norvegia alle Alpi bavaresi», ricevettero un capo di imputazione j di 28 mila 350 parole che cónte-' neva quattro accise: 1) Congiu- erate le A i da e ta orael ert aa, nul di nd etoto, ni natnti ati cia orcene j te-' iu- to- dane on ce enrito ni asi onin la er ca, elza do co rre to gli faruobso e sti ndi sui è ue a vaanniito ve di neerna gas dagogli e il la di ne na vian di re, di Le anpo. . ra. Gli accusati hanno elaborato e perseguito un comune piano tendente alla conquista del potere assoluto. Di conseguenza hanno agito di concerto nell'esecuzione dei loro successivi crimini; 2) Delitti contro la pace. Gli accusati hanno, in 64 casi, violato 34 trattati internazionali iniziando guerre di aggressione e provocando un conflitto mondiale; 3) Crimini di guerra. Gli accusati hanno ordinato e tollerato il massacro collettivo su un immenso piano, torture, schiavitù di milioni di lavoratori, ruberie e saccheggi indiscriminati; 4) Crimini contro l'umanità. Gli accusati hanno perseguitato i loro avversari politici come le minoranze razziali e religiose e hanno sterminato intere collettività etniche. Il patrono di Goering, avvocato Stahmer, a nome del collegio di difesa illustrò una mozione preliminare che, se accolta, avrebbe potuto invalidare tutto il processo. Egli sostenne l'antica massima giuridica secondo la quale «nullum crimen, nulla poena sine lege», cioè la punizione di quei delitti era possibile soltanto se la legge che era stata violata esisteva già al tempo in cui era stato commesso l'atto e se la pena conseguente ;ra già stata prevista: poiché né lo statuto della Società delle Nazioni, né il patto Briand-Kellog, in alcun trattato internazionale concluso dopo il 1918 avevano realizzato l'idea di mettere fuori legge le guerre di aggressione, veniva a mancare la base giuridica per procedere nei confronti degli imputati. La Corte si riservò di decidere. Tutti gli accusati, interrogati dal presidente Lawrence, si dichiararono «non colpevoli», e Goering, rivolto agli altri, esclamò: «Vorrei che avessimo il coraggio di condensare la nostra difesa in tre sole parole: me ne frego». Ma quando toccò a lui scagionarsi pronunciò più di 80 mila parole. Udienza per udienza, quarantotto accusatori (23 americani, nove sovietici, nove francesi e sette inglesi) ricostruirono i crimini compiuti dagli imputati durante i dodici anni, tre mesi ed otto giorni del regime nazista. Da Goering a Streicher, da Rosenberg a Frick, tutti si difesero trincerandosi dietro il paravento degli «ordini ricevuti», del «dovere compiuto», dellVobbedienza legata al giuramento di fedeltà». Ogni colpa fu riversata su Hitler, su Himmler, su Goebbels, su Bormann. Ribbentrop disse: «L'unica cosa della quale mi considero colpevole, davanti al mio popolo, non dinanzi a questo Tribunale, è di non essere riuscito nei miei scopi politici». Keitel: «£' tragico che io non abbia potuto vedere quali limiti si dovevano porre al dovere di un soldato. Questo è il mio destino». Kaltenbrunner: «Sono qui dannato; per punire Himmler, che non c'è più, si fanno ricadere su me i suoi delitti». Hess: «Non rimpiango nulla. Se dovessi ricominciare, agirei una volta di più come ho fatto, anche se sapessi di dover alla fine morire appeso a un lampione». Rosenberg: «La mia coscienza è assolutamente monda di tutti questi crimini». Streicher: «Rifiuto la responsabilità dei massacri, come farebbe ogn: onesto e buon tedesco». Speer: «Dopo questo processo la Germania maledirà il suo Fuehrer». Soltanto Hans Frank, davanti a quei film proiettati in aula che mostravano le torture agli ebrei nel ghetto di Varsavia, dinanzi alle voci dei testimoni che rievocavano i campi di sterminio, le mille tragedie dei bimbi, delle donne e dei vecchi uccisi col gas, sterminati negli incendi dei villaggi oppure morti di fame e di sete sui treni piombati verso la deportazione, pianse confessando: «Sì, ho partecipato allo sterminio degli ebrei... Dovranno passare mille anni prima che la Germania riscatti questo delitto, e fra mille anni esso non sarà ancora cancellato!». Al pari di Jackson, anche il procuratore generale inglese, sir Hartley Shawcross, chiese la pena di morte per tutti gli imputati: per Streicher che «da molto tempo ha perduto il diritto alla vita», per Schacht che «diede al nazismo il denaro necessario al riarmo», per Ribbentrop «tronfio e falso diplomatico che è soltanto un volgare assassino», per Goering «architetto di un sistema diabolico», per Rosenberg che «conobbe la distruzione dei ghetti e la "soluzione finale"», per Von Papen «complice di Hitler nell'avvento del nazismo pur sapendo che l'opposizione politica sarebbe stata strangolata, che ebrei e Chiese (compresa la sua, la cattolica) sarebbero stati perseguitati e distrutti» e via via tutti gli altri. La sentenza venne letta nel pomeriggio del 1" ottobre 1946, alle 15; l'aula era stata sgombrata dal pubblico e dai fotografi. Il primo ad entrare fu Goering. Il maresciallo del Reich, quasi barcollante sotto la luce dei riflettori, sedette in una poltrona davanti alla Corte e indossò la cuffia di ricezione: «Accusato Hermann Wilhelm Goering — cominciò il presidente Lawrence — conformemente ai quattro capi di imputazione dei quali è stato riconosciuto colpevole, lei è condannato all'impiccagione», «... to death by hanging». Le voci degli interpreti tradussero in francese, tedesco e russo: «... condamné à la psndaison», «... Tod durch den Strang», «... kazn' cerez povescenie». Calmo, Goering si tolse la cuffia, si voltò di scatto ed uscì a passo fermo dall'aula. Tornò nella sua cella, nei sotterranei del Palazzo di Giustizia, dove lo attendeva lo psicologo americano del carcere, G.M. Gilbert: «La morte, la morte» disse sedendosi sulla branda. Gli tremavano le mani, aveva le lacrime agli occhi. Prese un libro a caso, una «Vita di Beethoven», e cercò di controllarsi. Poi mormorò: «Preferisco rimanere solo». Entrò subito dopo nell'aula Rudolf Hess. Rifiutò di mettere la cuffia e un MP dovette avvertirlo, toccandogli la spalla, quando la lettura della condanna all'ergastolo fu terminata. Giunsero gli altri accusati: Keitel, in piedi e a braccia conserte, ascoltò la condanna a morte; Rosenberg fece sforzi tremendi per apparire tranquillo; Kaltenbrunner, quasi sorridente, si irrigidì alla parola «impiccagione»; Sauckel fu cupo, rabbioso; Jodl ebbe uno scatto e subito si ricompose; Streicher, impassibile, si piantò dinanzi ai giudici a gambe divaricate ignorando la poltrona; Frank sollevò le mani sopra la testa, come in un gesto di difesa; Funk, che forse si aspettava la morte, scoppiò in singhiozzi appena udì la frase «carcere a vita». La lettura dei verdetti durò un'ora e trenta minuti. Goering, Bormann, Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Sauckel, Streicher, Seyss-Inquart e Jodl vennero condannati a morte; Hess. Funk e Raeder all'ergastolo; Vcn Schirach e Speer a vent'anni; Von Neurath a quindici; Doenitz a dieci. Von Papen, Schacht e Fritzsche furono assolti. Giuseppe Mayda Oa sinistra, Frick, Streicher e Funk, nell'aula del tribunale di Norimberga. I primi due furono impiccati, il terzo ebbe l'ergastolo (Foto archivio « La Stampa »)