Intellettuali in "Paradiso,,

Intellettuali in "Paradiso,,Intellettuali in "Paradiso,, Novelle poco note del primo Quattrocento Giovanni Gherardi da Prato: « Il Paradiso degli Alberti », a cura di Antonio Lanza, « I novellieri italiani », Salerno Editrice, pag. LIX-390, lire 12.000. Curiosa opera di transizione fra il modello del Decameron e il vero e proprio romanzo umanistico, quello che ha nell'Hypncrotomachia Poliphili la manifestazione più complessa e caratteristica e anche mostruosa, è // Paradiso degli Alberti, che il letterato, dantista e giudice Giovanni Gherardi da Prato compose nella seconda parte della sua vita, negli anni 1425-26. Vi sono rappresentati come nel Decameron l'incontro, la vita e le conversazioni di un gruppo di persone, nobili, filosofi, letterati, uomini politici, buontemponi, medici, che si ritrovano nella villa detta « Il Paradiso », proprietà di Antonio degli Alberti: ma, mentre nell'opera del Boccaccio la cosiddetta « cornice » è in funzione dell'esercizio del novellare, nel libro del Gherardi le novelle non sono che un momento secondario e abbastanza occasionale nella trama vivace e complessa degli interessi dei personaggi, tutti storicamente ben determinati, che vivono nell'ambiente privilegiato della villa aristocratica come luogo di conversazioni e di discussioni raffinatamente intellettuali. Come nel romanzo umanistico, d'altra parte, c'è nell'opera del Gherardi un grande sfoggio di erudizione, come nel libro primo, che è la descrizione di una specie di viaggio erudito verso l'Oriente, pieno di un gusto dell'antiquaria, che si esalta soprattutto nella descrizione di Cipro isola di Venere e, in Cipro, del teatro, che è una vera e propria invenzione architettonica di rigorosa struttura classica, quali poi abbonderanno neW'Hypnerotomachia (ma il Gherardi ebbe anche ambizioni di architetto, tanto che gareggiò con il Brunelleschi per il progetto di Santa Maria del Fiore). Gran parte nell'opera hanno le discussioni di carattere filosofico, teologico, medico, morale che si tengono nella villa, rese più vive sempre dai ritratti ben delineati dei personaggi che vi partecipano, e che vanno dal teologo Grazia de' Castellani al musico Francesco Landini, dal filosofo Biagio Pelacani al medico Marsilio da Santa Sofia, fino a comprendere anche i due maggiori esponenti del primo umanesimo fiorentino, il Marsili e Coluccio Salutati (la vecchia cultura dell'ultimo trecento con quella nuova, di tipo umanistico, che il Gherardi mette insieme, con un certo gusto del sincretismo). L'edizione che de // Paradiso degli Alberti offre ora Antonio Lanza permette la lettura, ottimamente guidata dalla precisa e lucida introduzione e dall'abbondante apparato di note, di un'opera certamente singolare e suggestiva: quasi un romanzo, sempre che venga letto senza pregiudizi realisti e piuttosto con l'attenzione e l'accettazione della mescolanza del narrare con ampie pause che potremmo chiamare saggistiche e con la descrizione di un'esistenza nobilitata non soltanto dagli agi, ma soprattutto dalla finezza intellettuale e dal gusto della conversazione dotta. Proprio per questo è da dire che le parti più godibili del Paradiso degli Alberti sono quelle che rievocano la società brillante e intellettuale della Firenze dello scorcio del Trecento (il Gherardi, infatti, ambienta la sua opera nel 1389, con un salto nel passato della sua giovinezza che si colora, ai suoi occhi, di rimpianto e di nostalgia): il secondo libro, ad esempio, con la traversata del Casentino e le burle di ser Biagio Sernello e i gruppi di gentiluomini e di gentildonne che fanno corona a Carlo conte di Poppi e che sono ospiti del suo castello, fra argute conversazioni. Non per nulla proprio nel libro secondo è contenuta la novella migliore di tutta l'opera, quella del mago maestro Scotto, che con le sue arti magiche riesce a far credere al giovane cavaliere di Federico II, messer Olfo, di aver fatto viaggi in paesi lontani, di aver conquistato regni, partecipato a battaglie, assistito ad avvenimenti straordinari, mentre, in realtà, non si è mosso da Palermo e non è che trascorso un istr ,e dall'inizio dell'esperimento. Il fatto 6 che il tema dell'illusione, del travestimento, della metamorfosi è quello che più colpisce il Gherardi e fa lievitare il suo altrimenti sempre compassato stile. Ne è prova l'attenzione per la figura di Biagio, che sa assumere le fisionomie più diverse e imitare personaggi di ogni genere, con una vivacità di trovate che si insaporisce soprattutto dall'insistita constatazione che è ogni volta impossibile distinguere il personaggio vero da Biagio che lo contraffa. E' la sublimazione intellettualistica della burla, ben nota alla tradizione novellistica toscana, in armonia con il tono di fondo dell'opera, che è la celebrazione di una splendida società intellettuale. La potenza delle facoltà intellettuali è tale che, nella mente, si possono compiere viaggi vertiginosi che sarebbero impossibili nella realtà: la cultura, l'erudizione, il piacere di conversare dottamente e argutamente sono i valori supremi della vita. L'azione è totalmente assente dal Paradiso degli Alberti: perfino dalle novelle, nelle quali, infatti, hanno gran parte considerazioni, orazioni, problemi di carattere morale e filosofico, che trovano poi riscontro nei dibattiti fra gli ospiti della villa di Antonio degli Alberti. Il Gherardi non terminò la sua opera: scrivendo quasi quarant'anni dopo gli eventi narrati e anche dopo la delusione dell'esonero dall'incarico di lettore di Dante e dopo la prigionia per debiti, dovette avvertire sempre di più l'inattualità del mondo che egli intendeva far rivivere e nel quale egli aveva avuto amici e notorietà. In più, il distacco fra la tradizione trecentesca e le istanze ideologiche del maturo umanesimo non poteva non apparirgli netto, e non più sostenibile, quindi, la posizione conciliativa che egli aveva raffigurato nella sua opera. G. Bàrberi Squarotti

Luoghi citati: Cipro, Firenze, Palermo, Poppi, Prato, Salerno, Santa Sofia