Conoscete Edith Wharton? di Angela Bianchini
Conoscete Edith Wharton? Esce in America una grande e bella biografia Conoscete Edith Wharton? R. W. B. Lewis: «Edith Wharton: a biography », Harpe & Row, New York, pag. 592, dollari 15,00. « La Wharton... (è) un'amica perfetta, una donna completa che assolve il suo mestiere di vivere pagando il giusto tributo alla gioia e al patimento e che, poi, scrive anche dei bellissimi libri. Sono, i suoi libri, come foglie staccate dal suo albero, ed è l'albero che mi piace». Queste parole pronunciate da Bernard Berenson furono riportate da Clotilde Marghieri nel suo libro II segno sul braccio (Vallecchi, 1970): si tratta, credo, dell'unico ritratto di Edith Wharton che esista nella letteratura italiana. Pare che la scrittrice americana fosse piuttosto arcigna, perfino a Tatti, dove era ospite di Berenson, e, alla compagnia di persone più giovani, preferisse, « di molto, un orribile pechinese che prendeva il the nella sua tazza, nei lunghi pomeriggi» trascorsi nella prestigiosa biblioteca berensoniana. Sotto l'apparenza scostante (risultato, ci vien detto, di un equilibrio raggiunto con grande difficoltà) si celava una donna gelosa (n fino al parossismo », disse Berenson), ma sensibile ai tormenti di « quelle giovani donne coinvolte nelle passioni » che aveva « scandagliato con amore profondo ». Per questo, al giudizio un po' ingenuo della Marghieri, che la definì « molto vecchia », Berenson si ribellò con violenza: « Anche i cretini sono giovani: ma per fare "una vecchia" come la Wharton ci vogliono anni e decenni di educazione dello spirito, ci vuole una vita intera di lavoro, d'intelligenza e, quando il tempo incalza, anche coraggio ». Questo schizzo così scarno, così breve, eppur così definitivo, ha trovato oggi la sua migliore conferma nella prima biografia interamente de- dicala alla scrittrice: una grande opera in cui l'autore, R.W.B. Lewis, ha riunito testimonianze inedite, colloqui con amici superstiti, migliaia di manoscritti e di varianti. Ma, in fondo, non ha spostato l'accento che Berenson e la Marghieri avevano così felicemente posto sulla dignità tormentata, sui rovelli nascosti della vecchia signora, sulla grande dame newyorchese esule più o meno volontaria, per lunghi anni, in Europa, dove morì nel 1937. Accolta con grande interesse in America, dove la Wharton non cessa di essere una delle grandi figure del Novecento letterario, questa biografia dovrebbe aver diffusione in Italia per tutt'altra ragione: ad eccezione di Ethan Frome (un piccolo capolavoro di economia e di invenzione narrativa, abile fusione di tecnica da Maupassant con la tragica asperità della Nuova Inghilterra), e di alcune sporadiche versioni di novelle scelte non si sa bene con quale criterio, alla Wharton da noi non si è badato mai. Forse non era abbastanza facile da spiegarsi, non era stagliata e limitata come altre figure di emigrati celebri, o forse, ed è più probabile, era troppo donna e troppo grande dame? Ma adesso c'è, la Wharton, e non è più possibile mettere da parte sia quel suo troppo fertile talento di narratrice sia la sua vita complicata e tragica. La Wharton narratrice fu, in certo senso, la vittima della sua nascita privilegiata. Figl'i dì newyorchesi ricchi e d. stinti (era nata a New York come Edith Jones, nel 1861., trascorse l'infanzia non nelle case prosperose e felpate descritte poi con tanta dovizia, ma in Europa, tra un Palace Hotel e l'altro. Tornata in patria a dieci anni, divise l'esistenza tra Manhattan e Newport. Fu la madre a privarla della lettura dei romanzi e a imporle Dante, Racine e i grandi di quella cultura europea sempre onnipresente nelle famiglie colte dell'America dell'Est. Il padre, malaticcio, morì a Cannes (e la Wharton, anni dopo, si costruì una splendida villa a Hyères, dove Berenson, i Bourget, Henry James e altri famosi intellettuali trascorrevano lunghi periodi) e Edith, corteggiata da due giovanotti altamente desiderabili, entrambi dileguatisi poi all'ultimo momento, si lasciò indurre a sposare « Teddy » Wharton, un prodotto raffinato e banale dell'educazione di Harvard. Il gran le trauma della sua vita fu il divorzio, ottenuto nel 1913, da Wharton. La legge americana glielo concesse, ma la società newyorchese non glielo perdonò mai. O forse fu lei stessa a non perdonarselo, tanto da farne il tema esplicito ed implicito di tanta sua narrativa. E non si tratta di un tema meschino, bensì di una ferita profonda che, travalicando l'atto legale, investe tutta la posizione della donna, la sua solitudine, il bisogno di rispettabilità, e, per contro, l'altrettanto disperato bisogno di uscire dalle strettoie di un impossibile e ingrato connubio. Nella nuova biografia della Wharton il motivo del divorzio si lega, ed è questa la sua scuperta, con l'ossessione dell'incesto, visibile anche questo nella narrativa della scrittrice americana, e tuttavia, mai, prima d'ora, accostato e spiegato da affetti familiari e da due notissime relazioni d'amore. Colei che fu, per anni, considerata soltanto l'amica e la discepola minore di Henry James, prende qui una luce diversa, più sinistra e più tragica: sembra che, a conti fatti, la vecchia signora meticolosa, appassionata soltanto del cane pechinese, celasse un segreto anche più profondo di quanto non immaginassero i suoi amici. Angela Bianchini
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