Gli anticlericali

Gli anticlericali Cent'anni di disegni satirici Gli anticlericali Cento anni di satira anticlericale nei giornali dal 1860 al 1955, a cura di Anna Maria Mojetta, pref. di Adolfo Chiesa, Ed. Sugar, pag. 302, lire 6000. Ricordo che in occasione dell'uscita della prima edizione delle Due Rome, press'a poco due anni fa, un vecchio amico come Guido Gonella, incontrandomi nelle aule del Senato, mi apostrofò, e sia pure in toni affettuosi, dicendomi: « Troppe vignette anticlericali nel tuo libro: essa contraddicono l'obiettività dello storico! ». Ed io, di rimbalzo: « La caricatura anticlericale ritma la storia del cattolicesimo politico, almeno nelle vicende dell'Italia risorgimentale, con una pietas che nasce da un amore tradito, da un'illusione infranta, e come tale è di aiuto alla comprensione dello storico. Quella caricatura è storia essa stessa ». Non posso dire che quel mio giudizio sia confermato dalla affrettata e parziale silloge che viene pubblicata in questi giorni dalle Edizioni Sugar, Cento anni di satira anticlericale. Un'idea eccellènte; una realizzazione monca e per taluni aspetti deformante. L'anticlericalismo italiano, soprattutto nell'ultimo trentennio dell'Ottocento, che è quello che conta, vive in un rapporto dialettico col papato, in un rapporto odioamore, che esige grande discrezione nella scelta, un gusto severo, un senso vigile delle sfu mature e delle contraddizioni per poter essere oggi adegua tamente ricostruito o rievocato. * ★ La scelta di oggi non ci aiuta in un'impresa da storici, che attende ancora di essere com piuta. I curatori della raccolta muovono da una pregiudiziale, che ricorda le cadenze dell'immediato dopoguerra, i toni di un Don Basilio per intenderci Un anticlericalismo massiccio e indiscriminato, volto a illuminare le « malefatte dei preti » dovunque e comunque, che sembra prescindere in tutto e per tutto dalla lezione crociana, dalle cautele dello storicismo. L'anticlericalismo fine a se stesso, e non preciso strumento politico, non parte di un disegno civile, in sostegno della indipendenza e dell'unità italiane, contro la confusione fra sacro e profano, contro la contamina zione fra città di Dio e città degli uomini. Il fermento che culminerà nella bellissima iconografia satirica degli anni in torno al 20 settembre, un'iconografia di cui noi ci siamo in passato largamente ma civilmente serviti. E' vero che la tradizione an ticlericale italiana tese ad esasperare certi « vizi dei preti >i ma in funzione r.on tanto moralizzatrice quanto « politica », di aiuto a una precisa battaglia di civiltà e di progresso. Ecco il principale errore di impostazione del volume: prescindere, o quasi, dai raccordi con la contemporanea storia italiana, cercare ostentatamente le vignette sconce e provocatorie che sono, nella realtà globale della caricatura italiana, un «minimum » rispetto a quelle, di empito popolare-patriottico, che caratterizzarono il periodo del Risorgimento e soprattutto dell'immediato post-Risorgimento. Si pensi a due collezioni emblematiche di Torino e di Firenze, il Fischietto e il Lampione, due testate tanto importanti nella evoluzione del gusto quanto ignorate nel volume attuale. Si pensi a caricaturisti come Matarelli, come Redenti, come Dalsani che nei vari periodi sono assurti ad autentici capiscuola, che hanno impresso un'orma inconfondibile nella parabola della caricatura laica e anticlericale, orma di cui non si avverte neanche la traccia in questi Cento anni. Le insufficienze metodologiche sembrano intimamente connesse alle impostazioni di fondo della raccolta. Non c'è, o quasi, un nome di autore nelle centinaia di vignette riprodotte. Si indica la fonte, il periodico e l'anno, ma si prescinde dalla identificazione, quasi sempre possibile (e noi ne sappiamo qualcosa), degli autori della satira. E' impossibile distinguere Casimiro Teja da Rata Langa. Non solo: ma non si aggiunge nessuna nota chiarificatrice sui personaggi ritratti o adombrati nei vari schizzi. « La bellezza e il senso di queste viglici ? — annota la curatrice — si gustano quando si capisce tutto d'acchito »: ma la verità è che ogni caricatura è legata a un preciso fatto di cronaca, respira in un certo clima e momento storico. Non si può fare d'ogni erba un fascio. Se il pubblico, tanti decenni dopo, deve capire e apprezzare, non basta dire che Albertario e Bonomelli — per citare due personaggi che ritornano nelle pagine del volume — sono due preti e basta, che sono addirittura lo stesso « Pierino ». La storia — diceva Croce — è « senso delle cose complesse e complicate ». Qui tutto è semplificato, fino ai limiti, si scusi il bisticcio, dell'incomprensibile. E una piccola, avara nota di personaggi citati, a pag. 299, non aiuta nessun lettore a penetrare nei significati allegorici o allusivi di satire che per fortuna conservano per conto loro freschezza e vibrazioni attuali, incisività e vigore di segno. Una ultima considerazione. Nella selezione sono state accuratamente scartate vignette che non fossero solo anticlericali, che irridessero, per esempio, ai tentativi di conciliazione o di armistizio fra Chiesa e Stato. Un filone ricchissimo e stimolante, nell'intero cinquantennio delle Guarentigie. Basti pen¬ sare all'età crispina — il tentativo di padre Tosti — o all'età giolittiana. In tutto il volume non esiste una sola caricatura che riproduca Pio X e Giolitti, quando sappiamo che l'Asino e gli altri periodici anticlericali dell'alba del secolo spararono a zero contro gli accordi elettorali del 1904 e del 1909 o contro il patto GentiIoni. Ci torna in mente quella bellissima caricatura di Gaido sul Pasquino, a metà del 1908, che raffigura Pio X mentre si rivolge al suo accigliato segretario di Stato, al cardinale Merry del Val, e punta il dito ammiccante su una cordiale immagine in rosso di Garibaldi appesa alla parete. « O Roma o morte »: si legge nel titolo della caricatura. Le contrapposizioni del Risorgimento si dissolvevano in una smorfia di ironia. Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Firenze, Italia, Roma, Torino