Le due anime di Israele di Igor Man

Le due anime di Israele IL PROBLEMA DEI PALESTINESI PROVOCA SERI CONTRASTI Le due anime di Israele Una è oltranzista, l'altra possibilista - All'ostinazione di chi rifiuta qualsiasi contatto con i palestinesi le "colombe" oppongono la volontà di negoziare direttamente con i gruppi dell'Olp che riconoscano lo Stato ebraico e rinuncino al terrorismo (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, gennaio. Sono, questi, giorni di estrema tensione in Israele. Il 12 di gennaio, a New York, il Consiglio di sicurezza dibatterà il problema del Medio Oriente. Il primo ministro Rabin ha affermato che l'ambasciatore israeliano all'Onu, Herzog, boicotterà la seduta se, com'è probabile, vi parteciperanno i rappresentanti dell'Olp. Il ministro degli Esteri Allon non esclude l'ipotesi contraria, affermando che « di qui al 12 gennaio molte cose potrebbero cambiare ». Gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni su Israele, suggerendo che l'ambasciatore Herzog parli al Consiglio di sicurezza, lasciando eventualmente l'aula solo quando prenderà la parola il rappresentante palestinese (non fosse altro per dar modo a Israele di far intendere le proprie ragio- ni). Il governo ha risposto di no; sennonché Allon è d'accordo con Kissinger. Ra bin ha più volte escluso, ancora nei giorni scorsi possibilità della nascita di uno Stato palestinese fra Israele e la Giordania, asserendo che il problema può essere risolto solo nel contesto di eventuali negoziati con Hussein. Allon si dichiara d'accordo con Rabin, «ma solo per il momento », rifiutandosi in pratica di condividere in futuro il « no » ca- la tegorico del primo ministro a un « terzo Stato ». Rabin e Allon sono ai ferri corti. E sulle posizioni possibiliste del ministro degli Esteri sì trovano 5 mi- nistri (Ofer, laborista; 2 so cialisti di sinistra: ChemTov e Rozen; 2 liberali indipendenti: Kol e Hausner). Essi, sia pure con di verse sfumature, concordano con gli ex ministri Eban e Yariv sulla necessità che Israele si dichiari « pronto a negoziare con qualsiasi organizzazione palestinese disposta a riconoscere l'esistenza di Israele ». Il governo ha deciso, malgrado l'opposizione di Rabin, di affidare la proposta dei cinque ministri allo studio di un sottocomitato. In questo drammatico momento, 'Israele rivela di avere due anime: una oltranzista, l'altra possibilista. Il Paese è diviso fra le istanze di chi, nonostante le pressioni internazionali, vorrebbe ostinarsi a ignorare la realtà palestinese e il buon senso di chi sa che, prima o poi, con codesta realtà bisognerà fare i conti anche in sede politica. Le « colombe » chiedono in definitiva al governo di uscire allo scoperto, di prendere l'iniziativa, non di continuare a subirla. Itzhak Navon, presidente delle commissioni Esteri e Difesa del Parlamento, chiede che Israele affermi pubblicamente la sua volontà di negoziare con « qualsiasi gruppo palestinese che riconosca il diritto di Israele a esistere, accetti le risoluzioni 242 e 338, rinunci al terrorismo. Perché debbo dire con chi non voglio trattare, piuttosto che chiarire con chi e a quali condizioni son disposto a negoziare? ». Pensa il deputato Navon che l'attuale linea dura del governo potrebbe portare a un duro contrasto con gli S.U.? « Temo proprio di sì » (Washington ha infatti detto d'esser disposta a riconoscere qualsiasi gruppo palestinese che a sua volta riconosca Israele e rinunci al terrorismo). Meir Pati, 49 anni, sabra, deputato al Parlamento del Mokked, ex combattente congedato col grado di colonnello dopo la guerra dì ottobre, si autodefinisce un « sionista di sinistra ». « La politica di Rabin, dice, invece di affrontare la realtà e dire al popolo verità anche sgradevoli, preferisce riflettere l'indignazione dell'israeliano medio e lusingare il nostro orgoglio ferito. La nostra tragedia è che Rabin segue l'opinione pubblica — o crede di seguirla, perché la maggioranza silenziosa non riflette certo i sentimenti di Beigin, della destra — invece di guidarla dando prova di capacità di comando, di coraggio ». Pail ritiene che Israele dovrebbe dichiararsi pronto a negoziare coi palestinesi (compresa l'Olp) « ovunque e senza condizioni preliminari ». Occorre essere realisti, sostiene, perché può esserci una correlazione tra gli interessi israeliani e quelli americani, non una perfetta identificazione, « ma non lo vogliono capire! ». L'attuale politica è senza via d'uscita, aggiunge Pail: « Verremo fatalmente sottoposti a pressioni (americane) perché si sgomberi la West Bank, il Golan, senza ricavarne benefici politici. E gli arabi, usando l'Olp, intensificheranno il terrorismo; noi reagiremo e alla lunga si arriverà a una nuova guerra. La vinceremo militarmente ma non politicamente. E allora? Dovremo subire nuove pressioni; è un circolo vizioso... L'unica via per uscirne è togliere l'iniziativa agli arabi, anche perché oggi siamo i più forti, domani non si sa. E' gran tempo che il governo si decida a far politica invece di subire lo sciovinismo della destra reazionaria, di soffrire la miopia del partito laborista ». Tra i "sabra" Samuel Tamir, 52 anni, sabra, avvocato civilista principe, deputato e membro del C.C. del Likud (il blocco di destra), già membro della banda terroristica Irgun Ziueì Leumi, conviene anche lui sulla necessità di passare all'offensiva sul piano politico « ma per giungere a una pace globale » in cambio dei territori che, al contrario, il governo ha cominciato a cedere senza « ricevere nulla in cambio ». Dice che non si può ignorare il problema palestinese ma il vero problema del Medio Oriente, soggiunge, è quello di Israele. Sono disposti 90 milioni di arabi, dall'Atlantico al Golfo, ad accettare nel loro seno lo Stato israeliano? « Questo è il vero problema! », giacché i palestinesi possono risolvere il loro in Giordania. « A noi non importa, dice Tamir, se gli andrà bene Hussein o no. Se ci deve essere una Palestina come Stato sovrano, vorrà dire che la Giordania è "artificiale". Se però è "naturale", una nuova Palestina è artificiale. Voglio dire che due Stati son già troppi per questo piccolo territorio. Un terzo Stato sarebbe assurdo, un'Albania del Medio Oriente, una minaccia permanente per Israele. Certo, occorre risolvere il problema dei palestinesi, ma con giudizio, non a spese nostre: in quanto all'Olp essa rappresenta la massa palestinese così come la mafia assassina rappresenta le masse siciliane! ». Un nuovo Stato Per l'ex deputato Uri Avnery, i palestinesi, invece, non sono degli assassini ma « i miei amici ». Degli amici turbolenti, divisi, difficili da convincere ma coi quali, alla fine, si finirà fatalmente col trovare un'intesa. Occhi grigioazzurri, barba mitteleuropea, Uri Avnery, capo del partito « Forze nuove », promotore del «Fronte della pace coi palestinesi », sembra uscito dalla galleria dei ritratti della famiglia Wittelsbach. « Sporco traditore, cripto-fedayn, sottopancia di Arafat », così lo definiscono i benpensanti e ancora: « Pornografo praticante, politico dilettante », facendo riferimento alla sua rivista Questo mondo, un settimanale assai diffuso che condisce la politica con fotografie da Playmen casareccio. Avnery aveva 9 anni quando arrivò in Palestina dalla Germania. L'autore di Israele senza sionismo, un bestseller mondiale, militò nella Irgun Zwei Leumi, che si dichiarava antisocialista. La sua visione odierna della realtà israeliana non è dunque condizionata né dall'umanismo tolstoiano, nell'accezione ruralpopulista del pioniere ebraico Gordon, né dal marxismo teorizzato da Borochov cui si richiamano tuttora i kibbutzim. Avnery è stato"e rimane nazionalista, ma di un « nazionalismo pensato ». Le due grandi correnti di pensiero che si scontrano nella più larga piattaforma politica israeliana, quella laborista, hanno in comune un dato: possono realizzarsi nel contesto di Eretz Israel (la terra d'Israele), la patria sionista. Avnery e i suoi compagni di strada stabiliscono invece una soluzione di continuità fra il sionismo, prodotto dalla diaspora, e lo Stato d'Israele. Quest'ultimo fa parte di una realtà: il Paese, che nel suo insieme è la patria di due nazioni, ebraica e palestinese. « Oi sono gli arabi e ci sono gli ebrei, ma in Palestina esistono due nazioni la cui unità è indispensabile. L'integrità nazionale dei due popoli del Paese può essere assicurata dall'esistenza di due Stati, lo Stato d'Israele, lo Stato di Palestina ». E tuttavia, poiché non esiste uno Stato-Palestina, « Israele deve incoraggiare la formazione d'uno Stato arabo palestinese sulla riva occidentale del Giordano e nella striscia di Gaza ». Quando, dice Avnery, VII giugno del 1967 scrisse una lettera a Eshkol affermando ch'era il momento giusto per proporre al popolo palestinese l'indipendenza e uno Stato non ebbe risposta: « Erano ubriachi di vittoria ». Allorché, nel 1969, in America, sollevò il problema palestinese con Sisco e Kissinger, « mi risero in faccia. Nel 1970 quando proposi uno Stato palestinese accanto a Israele, quelli dell'Olp mi attaccarono con un libello Avnery e il neo-sionismo, dissero che si trattava di un ennesimo complotto. Adesso, però, tutti son coi poveri palestinesi contro il povero Israele! ». Questo dimostra, a suo avviso, che quando un'idea « è forte, buona », finisce con l'affermarsi. Rabin, col quale Avnery ha parlato tre settimane fa, è un « uomo onesto, intelligente ma afflitto da un blocco mentale ». Per lui, secondo Avnery, l'importante è rimanere al potere, il resto è secondario. E poi non potrebbe prendere decisioni coraggiose perché non r'' ce a prescindere da considerazioni di politica interna. « Solo Ben Gurion poteva ignorare i problemi interni, poiché era un uomo forte, un leader carismatico. Ciò spiega perché le sue decisioni furono sempre sagge ». Ma ammettiamo, osservo, che i palestinesi ottengano un mini-Stato in Cisgiordania e a Gaza. Si contenteranno? Avnery è convinto di sì, ma il governo è di avviso opposto. Sennonché, obietta, i palestinesi potrebbero «non contentarsi» anche il giorno in cui venissero per così dire risolti i loro problemi nel contesto di un accordo con la Giorda¬ nia. Quel che occorre è uno sforzo di fantasia, un atto di coraggio da parte di Israele, in caso contrario « avremo fatalmente una nuova guerra, con conseguenze disastrose». Due volte, negli ultimi tempi, Avnery ha dichiarato alla tv israeliana di « sapere » come i palestinesi si accingano a dichiararsi pronti a riconoscere lo Stato d'Israele. Ne è proprio convinto, e da che cosa nasce questa sua convinzione? « Da contatti, che mantengo in Europa, coi leaders palestinesi », risponde. Certo, aggiunge, gli ultimi bombardamenti sul Libano — « una follia » — non potranno non pesare sulle future decisioni dell'Olp. Ma col tempo tutto si sbloccherà: bisogna lavorare sulle rispettive opinioni pubbliche, quella palestinese, quella israeliana. « Io ripeto sempre ai miei amici palestinesi che certe battaglie — vedi l'Algeria, vedi il Vietnam — si vincono innanzitutto a livello d'opinione pubblica ». Non ci si deve scoraggiare, insiste Avnery, è necessario andare avanti con tenacia, con pazienza perché l'alternativa « è un nuovo massacro ». Se Rabin non è in grado di capire questo, ebbene che se ne vada, conclude Avnery. L'« immobilismo politico » di Rabin comincia a essere condannato anche dal mondo universitario che finora aveva risparmiato e rispettato il primo ministro. Per ripetere le parole del professor Schiomo Avinery, decano della facoltà di Scienze umane all'Università di Gerusalemme, noto per il suo appoggio al governo, è indispensabile impostare una nuova politica palestinese « in nome della realtà e degl'interessi vitali di Israele». Per il prof. Emanuel Sivan, sabra, 37 anni, docente di storia dell'Islam all'Università di Gerusalemme, il problema palestinese non può più essere eluso, ma « si fa la pace con chi si può » e non appare ancora possibile trovare un ter¬ reno di intesa con l'Olp. Il problema palestinese è fan damentale, ma non è il principale, « il problema numero 1 è il rifiuto arabo. E se c'è rifiuto non si può trattare ». Secondo il prof. Sivan, l'America, Kissinger e di conseguenza Israele, hanno compiuto un errore fondamentale: quello di voler trattare a ogni costo con l'Egitto, considerandolo il Paese leader del mondo arabo. « Dopo gli accordi del Sinai, la politica del passo dopo passo è fallita. Perché la Siria e lTJrss, e l'Olp, hanno dimostrato che l'Egitto non guida affatto il mondo arabo. Si può essere leader quando si dipende dagli umori degli altri (Siria, Olp) e dagli Emirati? ». Che fare, allora? Si farà la pace? « Sognare la pace è una utopia, l'avremo forse tra una generazione. Oggi come oggi bisogna puntare su di un negoziato globale ma frazionato che consenta col giuoco delle smilitarizzazioni un lungo periodo di non belligeranza ». Nel negoziato globale va compresa una trattativa con i palestinesi, ma con « garanzie congiunte » delle due superpotenze. Non ci si può illudere, secondo il prof. Sivan, di aver fatto fuori l'Urss dal giuoco mediorientale. Così come non ci si può illudere di ottenere qualcosa in cambio di nulla. Sono necessari sacrifici, « noi non dovremmo temerli, perché nella nostra storia abbiamo condito il pane col sacrificio, sempre» . Insomma, come ha scritto Spinoza, i due grandi nemici dell'uomo sono l'odio e il pentimento. Di tutti i pentimenti « quello storico è il più insensato ». ./Von si piange sulla propria storia ma, se necessario, si cambia rotta. E questo dovrebbe valere non soltanto per Israele, ma anche per gli arabi (e per i palestinesi). Igor Man