Novara: siamo andati a visitare il carcere dei mille misteri di Vincenzo Tessandori

Novara: siamo andati a visitare il carcere dei mille misteri Il nostro inviato è stato dietro le tetre mura grigie Novara: siamo andati a visitare il carcere dei mille misteri Un mondo di rabbia e di disperazione - Come sono le celle, come vivono i detenuti - Le misure "speciali" non hanno impedito le evasioni - Passeggiata (due al giorno) di due ore (Dal nostro inviato speciale) Novara, 30 dicembre. Sono stato nel carcere dei mille misteri. I dannati della terra, qui a Novara, hanno avuto finora un'esistenza tormentata. Si è parlato di percosse ai detenuti, di violenze, di prevaricazioni da parte delle guardie, di tentativi di suicidio dei reclusi, di scioperi della fame, d'inchieste che dovranno stabilire responsabilità, chiarire situazioni, mettere in luce quanto le tetre mura grigie hanno nascosto. E dietro a quelle mura, un mondo di rabbia, di disperazione, talvolta di furore. Aperto da neppure tre anni, il carcere è diventato, dal primo ottobre, «a grande sorveglianza», prescelto dal generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa «per le sue caratteristiche». Eppure, da quella prigione, il 5 maggio 1974, evase Giuseppe Ciulla, uomo d'onore, sospettato dei sequestri di Pietro Torielli junior e Luigi Rossi di Montelera, condannato per rapina. Ed altri se n'erano andati prima dell'«espiazione della pena». Quando poi, nell'autunno 1974, nella prigione venne inviato Renato Curcio, capo storico delle Brigate rosse, la direzione dichiarò di non poter garantire la custodia e chiese il trasferimento del brigatista. Motivo: il carcere non era sicuro. Allora si parlò anche di inferriate alle finestre, così fragili da non resistere neppure un po' all'aggressione di una lima. Scelti a luglio i primi cinque carceri speciali, a Cuneo, Trani, Fossombrone, Favignana e l'Asinara, l'attenzione del generale è caduta su Novara e in fretta sono stati fatti lavori di adattamento. «Questi edifici sono prefabbricati, nati per un carcere normale. E' stato difficile adattarli », mi informa il dott. Antonio Raineri che dal 23 novembre svolge le funzioni di direttore ma che se ne andrà fra tre giorni sostituito da Mauro Ghedini, 50 anni, ragioniere. Dal giorno in cui nella sezione speciale sono giunti i reclusi definiti pericolosi, alla direzione si sono susseguiti il dott. Manes, vicedirettore delle «Nuove» di Torino, e il dott. Francesco Pagano, ex direttore di Regina Coeli, a Roma, e del carcere di Civitavecchia. Manca, poi a Novara, un giudice di sorveglianza di ruolo. Quando, per la prima volta, si diffusero le accuse dei detenuti per il rigore eccessivo, le percosse, le soverchierie degli agenti di custodia, la carica di giudice di sorveglianza era ricoperta da Giuseppe Fava; venti giorni più tardi, al suo posto arrivò il dott. Mariano De Luca Era il 16 novembre. Stamani la carica è ricoperta, coinè «applicato», dal pretore, Antonio Baglivo; a gennaio, fra 24 ore, sarà sostituito da un altro magistrato, anch'esso «applicato», forse il giudice di Verbania, che dovrebbe lasciare dopo due settimane. In una situazione del genere la funzione del magistrato di sorveglianza è svuotata di significato, seguire i detenuti risulta impossibile. Dentro al muro di cinta ci sono tre sezioni. Sulla destra il braccio «ordinario», nel quale oggi c'erano 76 detenuti; attiguo il reparto femminile con otto posti: stamani le donne erano sette; quindi, dal lato opposto, il «carcere a grande sorveglianza», con 94 detenuti. E' una fortezza dentro alla fortezza. Due blocchi a due piani, piuttosto bassi, sul lato destro della cinta, quasi nascosti dai mu¬ ri dell'intercinta in cemento sui quali sono stesi rotoli di filo spinato. Proprio da quella parte, ieri sera hanno sparato, dai campi, contro una sentinella. Un rapporto sull'episodio è alla procura della Repubblica. E' accaduto alle 21. La guardia ha scorto una luce, le è parso un segnale ed ha chiesto, a gran voce: «Chi va là?». In risposta, un colpo di pistola. L'agente allora ha sparato col mitra. Sono accorsi i carabinieri del servizio esterno, fra gli arbusti non c'era più nessuno. «Non è la prima volta però, che accade», mi diceva un agente. Superato il muro dell'intercinta si arriva in un angusto cortiletto sul quale si affaciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiimiimm ciano gli ingressi delle due costruzioni, identiche. Ancora un doppio sbarramento, un cancello e un battente in ferro, dipinti di marrone, l'unico colore che interrompe il bianco ossessionante delle pareti. Ai lati di lunghi corridoi, le porte delle celle: sessantotto singole, 24 a tre letti. La chiusura è doppia, cancello e battente in ferro sul quale si apre uno spioncino, sempre chiuso di quindici centimetri per venti. Per ventuno ore al giorno, dopo la decisione di aumentare di un'ora il passeggio, da oggi per venti, il recluso vive da solo in una stanzetta di otto passi per tre. L'arredamento è essenziale: la branda murata a terra, un tavolinetto, armadio a mensola, il televisore, un panchetto in plastica, rotondo. Dice una guardia: «Sono stati sostituiti, prima avevano le gambe in metallo, ma qualche settimana fa con quelle un detenuto ha sfasciato la cella. Trecentomila lire di danni, lo abbiamo denunciato». Perché lo ha fatto? «Non lo so». Sulla porta, una grata protegge due lampade. Di notte, una rimane accesa, secondo la regola applicata nei carceri «a grande sorveglianza». I reclusi la definiscono uno strumento di tortura. La finestra non è ampissima ma non si tratta neppure di una feritoia, l'inferriata è però divisa a metà da due elementi in cemento che ne riducono la luce. I servizi, lavabo e water, sono separati. Il passeggio, due volte al giorno: la mattina alle 8,30, per un'ora e mezzo, altrettanto nel pomeriggio; adesso i periodi che i carcerati potranno trascorrere all'aria saranno di due ore. A gruppi di otto o nove i reclusi vengono condotti nei quattro cortili, che con i muri in cemento e non grandi, ricordano i box. I mutamenti anche minimi nella regola adottata, mi diceva un agente, rischiano di far saltare l'intero meccanismo. Mancano le guardie, sembra oltre un centinaio e quelle che ci sono lamentano la pe-santezza del servizio. Proprio lo scarso numero di agenti, mi è stato detto, renderà problematica l'attuazione anche di pochi colloqui senza il cristallo. La sala degli incontri è in una costruzione bassa, dopo il terzo cancello: un locale lugubre. Sei posti, dalla parte dei detenuti un microfono incorporato nel bancone diviso dal vetro che arriva al soffitto, dall'altra parte tre cornette: perfino ovvio pensare al carcere tedesco di Stammheim. Vincenzo Tessandori