I tempi della Costituzione di Massimo Caprara

I tempi della Costituzione ENTRO IN VIGORE IL PRIMO GENNAIO 1948 I tempi della Costituzione Il 2 gennaio 1948, dopo una « vacanza » di diciotto mesi, quanto, all'incirca, erano durati i lavori di stesura della nuova Costituzione, venne riaperto il portone del Quirinale. Dell'edificio prese possesso, alle cinque del pomeriggio, un plotone di granatieri in uniforme di parata assieme al quale si schierò, nel cortile interno sotto la torre dell'orologio, un reparto di guardie presidenziali, che nessuno osava, allora, chiamare all'antica con il termine proprio, ma in quel momento importuno, di corazzieri. Nell'ex reggia non risiedettero né Alcide De Gasperi, Capo dello Stato per dodici giorni dal 12 al 25 giugno '46, né Enrico De Nicola primo Presidente della Repubblica, in carica con l'entrata in vigore della Costituzione, il quale preferì l'ufficio più sobrio e meno indiziato di «continuità» di Palazzo Giustiniani dove gli venne consegnato il testo della nuova Carta. Aveva salutato l'evento il campanone per secoli inoperoso di Montecitorio mentre partigiani garibaldini, ammessi nelle tribune del palazzo, applaudivano ed inneggiavano, qualcuno salutando con il pugno chiuso, con gesto che apparve subito anacronistico ed un poco arcaico. Su tutti sovrastava l'inno unitario e nazionale di Mameli, intonato a gran voce dai deputati, compresi i comunisti che lo cantavano con vistose imperfezioni. Un mese prima De Nicola aveva compiuto settant'anni e due giorni prima del voto finale della Costituzione italiana ne aveva compiuti sessantanove Stalin, al quale era giunto un telegramma caloroso di auguri firmato da Togliatti che lo definiva « presidio i della pace e della libertà ». In ottobre, in una località imprecisata della Polonia, si era radunata la conferenza di alcuni partiti comunisti ai quali Andrei Zdanov, passando dagli interventi sull'ideologia a quelli sulla pratica degli schieramenti, illustrò il « piano americano di asservimento dell'Europa » e concluse sbrigativamente: « Per i popoli d'Europa è soltanto questione di mostrarsi pronti alla resistenza e di avere volontà di resistere. L'Urss impiegherà tutte le sue forze affinché questo piano non sia realizzato ». Il 18 dicembre, alla Camera, durante una seduta fra le più agitate, Togliatti aveva anticipato una fraseologia di stampo maoista ed accusato il « cancelliere di carta », Alcide « von Gasperi », di essere strumento di un « governo clerico-americano » e di attentare cinicamente all'indipendenza del Paese. L'articolo 7 che introduce il Concordato nella Costituzione, votato anche dal pei, era ancora fresco di stampa. Quasi negli stessi giorni, a Robiano di Mediglia, in Lombardia, un bracciante « bergamino », ossia mungitore di stalla, era stato assassinato in un violento scontro fra disoccupati e proprietari terrieri. Uno di essi, ritenuto responsabile della sanguinosa aggressione, si barricò nella cascina e dall'ultimo piano cominciò a sparare sulla folla. L'andito e le scale vennero invase. « Dieci, cento mani, afferrarono l'assassino », scrive l'Unità, « e lo scaraventarono già dalle scale. Fu la sua fine ». A Cerignola, in Puglia, avvenne un episodio analogo con violenze di carabinieri che spararono, uccidendo, su gruppi di braccianti che protestavano contro la discriminazione anticomunista nell'avviamento al lavoro. «Sbirro borbonico », accusò l'Unità impegnata parallelamente anche nella difesa della libertà di espressione. « C'è un giovane sottosegretario democristiano dal ferrato cervello che taglia e cuce i film italiani colpendo accuratamente quelli antifascisti ». Il « minculpop è tuttora al lavoro », recita la didascalia sotto una sua foto che lo designa « gran censore del cancellierato », perché la commissione^di appello presso l'ufficio centrale cinematografico ha bocciato il film di Germi Gioventù bruciata. Il nome dell'allora « sbirro » è Giulio Andreotti. Il contesto internazionale ed interno entro il quale viene incardinata la nuova Costituzione era, allora, fra i più esasperati. Nulla s'intende del compromesso e dello stacco contraddittorio fra la prima parte precettiva e la seconda organizzativa del testo costituzionale, « figlio della storia » di cui Togliatti parla al VI congresso del pei, proprio nel gennaio '48, se a quel contesto non si fa di continuo riferimento ed alle « reali condizioni di quegli anni brevi », come ha scritto Andreotti, non si ritorna. La « Costituzione suppone una innovazione profonda, di base, nella struttura sociale del paese e si presenta come lo strumen'o aggiornato di questo rinnovamento », aveva scritto sul Popolo l'onorevole cattolico Giorgio La Pira, membro della sottocommissione che, con Lelio Basso, segretario socialista, aveva elaborato i « principii sociali », mentre Togliatti e Roberto Lucifero, monarchico, poi segretario del partito liberale, avevano presentato i testi sui « diritti dei cittadini ». « E' la sostanza della nuova Carta costituzionale che vi dispiace? », chiedeva Pie¬ tro Ingrao su l'Unità del 24 dicembre '47 citando La Pira come « maschera santa che copre il corpo diabolico del partilo democristiano » e contrapponendolo ai « neo-papisti » come Saragat. In effetti, per i comunisti di vertice, più che di « innovazione », si trattava, meno enfaticamente, di « processo aperto sul nuovo », secondo Togliatti tutto ancora « da ricercare, inventare, sperimentare», ma già tale non da far esplodere la santabarbara dei desideri proletari ma neppure archiviarli, anzi legittimandoli come padri non disconosciuti della patria. « Né rivoluzione, né restaurazione, rinnovamento e democrazia progressiva», spiegava Renzo Laconi, assieme a Nilde Jotti primo segretario del gruppo comunista, membro della commissione dei 75 che prepararono il progetto definitivo ed uno dei più lucidi fra i suoi estensori di sinistra. La debolezza del nuovo testo non stava, e non risiede, in questo esplicito e reciproco spirito mediatore fra le parti contraenti maggiori, in contrasto sul terreno quotidiano ma appaiate su quello strategico. La debolezza sta più a monte, nei recessi dell'ideologia, su due tornanti decisivi. Il primo è costituito dall'accordo, sanzionato con il decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946 che, con l'articolo 3, delega il potere di far leggi al governo, ovvero, in quella fase, ai partiti del Comitato di Liberazione. Essi venivano protetti e svincolati dal controllo dell'assemblea in tal misura che Umberto Terracini, prima di diventare il presidente comunista, propose a titolo personale, non privo di un certo distacco polemico, la creazione di una « commissione per gli affari politici » cui demandare, a Montecitorio, il controllo sull'esecutivo. Proprio mentre si restaurava il Parlamento, proprio all'istituzione rappresentativa veniva inferta una battuta di svuotamento, archetipo materiale dal quale deriveranno gli ulteriori, massicci episodi di sottrazione e trasferimento di poteri fuori dall'aula elettiva. La seconda stortura accomuna comunisti e cattolici e si realizza in una sorta di acciacchi comuni: l'impreparazione e l'assenza di alternative di fronte a tutta la teoria tradizionale dell'autorità dello Stato e del governo pubblico dell'economia. Al di là dall'incerta sperimentazione, di segno scarsamente riformatore, dei consigli di gestione nelle fabbriche, a sinistra non si è andati. Anzi, tutta intera la dottrina marxista dello Stato ieri, nel '47, ed ancor oggi, a trent'anni, appare sostanzialmente in panne al punto da consentire che si chieda se davvero sia vitale, perciò in crescita. Da parte democristiana, al problema sono state offerte risposte diverse. Al convegno di San Pellegrino del settembre '61, Achille Ardigò scelse, fra le molte giustificazioni, quella, tuttora emergente, del contrasto tra « la conservazione di buona parte della base sociologica dell'elettorato de e lo stato della socializzazione, della grande politica di sviluppo industriale ». Una specie di non possumus dettata dalla base. Quali che siano i giudizi, è assodato un punto. Per dirla con il Marx del diciotto brumaio, a proposito del vecchio Stato, «tutti i rivolgimenti politici non fecero che sostanziare questa macchina invece di spezzarla ». Oggi, è lecita un'aggiunta: senza peraltro frenarne la crisi. Massimo Caprara Da battagliero a moderato

Luoghi citati: Cerignola, Europa, Lombardia, Mediglia, Polonia, Puglia, Urss