Missione segreta di Dayan dopo il vertice di Ismailia di Vittorio Zucconi

Missione segreta di Dayan dopo il vertice di Ismailia Inquietudine in Israele, esame dei risultati Missione segreta di Dayan dopo il vertice di Ismailia Il ministro degli Esteri non ha partecipato al Consiglio dei ministri -1 dissensi emersi nei colloqui tra Begin e Sadat potrebbero coprire punti di accordo ancora segreti? (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, 27 dicembre. L'analisi dello «strano vertice» di Natale ad Ismailia, concluso con un aperto dissenso (sulla Palestina) probabilmente per nascondere un coperto consenso (sul Sinai e i rapporti israelo-egiziani) si orienta ormai a ventiquattr'ore dal ritorno di Begin in patria verso una valutazione cauta ma non pessimistica. Conclusa la fase, forse, spettacolare o sensazionalistica degli incontri al vertice è cominciata quella delle trattative politiche. In essa, sia Sadat che Begin devono preoccuparsi più delle loro concessioni concrete che della gestualità, ormai consumata da troppi avvenimenti «storici». E, ciascuno, pensare a coprirsi le spalle sforzandosi, Sadat, di non allargare i solchi tra arabi concedendo, a nome di altri, territori che non gli appartengono; Begin a portare dolcemente un governo di destra, un partito oltranzista e un paese spaventato verso le inevitabili amputazioni territoriali e di retorica espansionista che la pace comporterà. Ma lo studio astratto del dopo vertice è stato turbato oggi da una misteriosa notizia che ha come protagonista uno degli uomini più famosi di Israele: Moshe Dayan, l'ex generale, og!»i ministro degli Esteri e secondo solo a Begin nella gerarchia dell'importanza nazionale, non si è presentato alla riunione del Consiglio dei ministri convocata per discutere i colloqui di Ismailia. La ragione, secondo funzionari di modestissimo rango nel ministero, è «la stanchezza». «Il generale si è preso un giorno di vacanza perché non si sentiva bene» dicevano gli impiegati lasciati a rispondere alle domande dei giornalisti. Ma il portavoce del governo, Naor, al termine del Consiglio, ha ammesso di «sapere dove sta Dayan, e perché, ma di non poterlo dire». L'assenza del generale da un consiglio ministeriale di tanta importanza, e la frase oscura del portavoce di Begin hanno immediatamente concentrato l'attenzione del Paese, dei diplomatici e dei giornalisti. Poiché nessuno crede all'improvvisa malattia del ministro (che sull'aereo che ci riportava ieri a Tel Aviv dal Cairo ho visto in apparente ottima salute) le interpretazioni correnti non vedono che due possibilità: o un gesto clamoroso, deliberato di dissenso da Begin, preludio ad uno scontro chiarificatore in seno al vertice israeliano, o, più probabile, una missione segreta per incontrare un esponente arabo fuori da Israele. La prima interpretazione, è stimolata anche dalla nota abilità auto-pubblicitaria di Dayan, e si alimenta facilmente nella nozione dei contrasti che da tempo dividono il vincitore del Sinai dal primo ministro. In un'intervista data alla Jerusalem Post stamani, Dayan esprimeva opinioni profondamente pessimistiche, all'opposto radicale dell'ottimismo dimostrato da Begin. Dicendosi «molto preoccupato per la situazione dopo Ismailia» egli aveva sottolineato tutti i notevoli e numerosi punti di disaccordo con l'Egitto, incluso il Sinai, sul quale «esistono ancora moltissime divergenze». Il problema, aveva detto Dayan che si era collocato nella valutazione del dopo vertice dalla parte dei più pessimisti, «è come evitare che il negoziato ritorni all'ora zero o si infili in un vicolo cieco». Queste parole Jure, dette mentre Begin esaltava il successo del suo incontro con Sadat, suonano espressione di una critica profonda alla linea Begin sul negoziato e potrebbero preludere ad una crisi all'interno della coalizione su cui il primo ministro si regge. Ma i lettori dei geroglifici della politica israeliana avvertono che Dayan parla quasi sempre a rovescio, dicendo il contrario di ciò che pensa. L'altra interpretazione, stimolata da quel «so dove è», detta dal portavoce Naor, vede Dayan impegnato in una rapida missione segreta «alla Kissinger» fuori dai confini d'Israele, un fatto al quale il generale non è nuovo. E' stata fatta, fra altre teorie più fantasiose e meno credibili, l'ipotesi di un incontro con Hussein (la capitale giordana Amman dista da Tel Aviv pochi minuti in volo) alla vigilia della partenza del re giordano per Teheran, dove, sabato e domenica prossimi, egli vedrà il presidente americano Jimmy Carter di passaggio in visita ufficiale in Iran. Poiché al sovrano viene attribuita ancora l'intenzione di unirsi alla trattativa israelo-egiziana purché ciò possa essere fatto in sicurezza, senza rischiare prestigio e trono, un colloquio con Dayan gli avrebbe dato elementi da discuterò Si tratta naturalmente di ipotesi, ma non è credibile che Dayan, irraggiungibile tutto il giorno, cosi come i suoi collaboratori più vicini, si stia davvero godendo un giorno di riposo dopo le fatiche del vertice; la stanchezza è un alibi davvero ben povero per mancare un consiglio ministeriale in un momento tanto importante. Lo scatenamento della curiosità intorno all'assenza del ministro alla riunione di governo è di per sé un elemento assai interessante per giudicare le reazioni di Israele al vertice. Il nervosismo è certamente grande e giustificato di fronte alla terapia d'urto che gli avvenimenti stanno somministran¬ do quasi quotidianamente alla popolazione di questo Paese. Al timore di una «escalation» di concessioni nate dal viaggio di Begin negli Stati Uniti e dall'ottimismo della vigilia di Natale, ha fatto seguito oggi il raffreddamento dell'atmosfera, generato, dalla ammissione del dissenso venuta da Ismailia. Vittorio Zucconi