L'abbraccio del popolo egiziano agli "ex nemici,, israeliani di Vittorio Zucconi
L'abbraccio del popolo egiziano agli "ex nemici,, israeliani L'abbraccio del popolo egiziano agli "ex nemici,, israeliani (Dal nostro inviato speciale) Di ritorno da Ismailia, 26 dicembre. Quando ho lasciato l'Egitto, con il Boeing 707 messo dalla El Al a disposizione di Begin, i gesti di entusiasmo dei contadini egiziani lungo il Canale fino a quattro anni fa presidiato dai soldati di Israele, e la commozione degli israeliani salutati come amici benvenuti da uomini che avevano finora incontrato solo dietro i mirini delle loro armi, mi restavano negli occhi quasi come il vero «ver¬ tice di Natale», mentre le carte diplomatiche sembravano pura finzione, quasi un corollario al «summit» popolare. Mancavano pochi minuti alle tredici del giorno che i cristiani dedicano a Santo Stefano quando l'aereo di Begin, levatosi dalla base militare egiziana di Abu Suer, ha sorvolato Il Cairo, prima di puntare definitivamente verso casa. Dai finestrini di sinistra, annunciava il pilota, si possono vedere le piramidi. «Le hanno costruite i nostri antenati, ma siamo generosi e non vogliamo i salari arretrati», ha detto Menahem Begin in una battuta immancabilmente biblica. Nei posti accanto a lui, le facce premute sui finestrini, Dayan, il ministro degli Esteri, e Weizman, il ministro della Difesa, davano sfogo senza vergogna alla loro curiosità, additandosi l'un l'altro, come turisti «tutto compreso», le meraviglie che ci scorrevano sotto. L'entusiasmo, nonostante l'apparente freddezza della conclusione del vertice, era nell'aereo grande, accentuato dalla confusione delle telecamere, dei giornalisti, delle hostesses. Forse, ha davvero ragione Begin quando mi ha detto, nel brevissimo scambio di cortesia tra un'aggressione e l'altra delle televisioni americane: «Tutto andrà a finire bene». Eravamo partiti alle prime luci del 25 dicembre, giorno di Natale per me e i pochi altri «miscredenti» sull'aereo ebraico. In cinque minuti di volo sulla costa di Israele, quando l'ultimo lembo verde degli aranceti di Gaza (occupata da Israele) cede alla sabbia e agli acquitrini della costiera del Sinai, il pilota aveva annunciato con eccitazione di aver stabilito «contatto» con radio Cairo, per la prima volta nella sua vita. In meno di venti minuti, mezz'ora soltanto divide il centro di Tel Aviv dal Cairo, l'aereo si abbassava sulla base di Abu Suer. Chilometri di piste nella sabbia scivolano sotto il carrello del 707 israeliano, decine di hangar di cemento e di piazzole nascoste per missili antiaerei, elicotteri e radar, tutto costruito e installato al solo scopo di scovare e abbattere velivoli con il simbolo che noi portavamo sul timone di coda, la stella di Israele. Begin era sceso in un silenzio gelido, voluto dalle autorità egiziane che avevano tenuto lontano la folla nel terrore di un attentato. Poiché soldati e giornalisti non applaudono mai in servizio, il solo tocco di calore era stato affidato ad un bimbo di sette anni in divisa da generale, un ovvio significato simbolico, che ha offerto a Begin e alla moglie una scatola di orchidee. Centinaia di soldati a piedi, guardie presidenziali, punteggiavano la base nel tentativo di darle un aspetto marziale, fissi nell'attenti egiziano, che è un po' meno rigido di quello tedesco e consente sorrisi ai fotografi, spostamenti, segni di insofferenza e occhiate curiose. L'Egitto vero ci aspettava fuòri dai recinti di Abu Suer. Piccole folle sui bordi della Vittorio Zucconi (Continua a pagina 2 in ottava colonna)
Persone citate: Begin, Dayan, Menahem Begin, Weizman
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