Nelle stampe i tempi della Bastiglia di Guido Ceronetti

Nelle stampe i tempi della Bastiglia RABBIOSO BISOGNO IN FRANCIA D'IMMAGINI IMMEDIATE Nelle stampe i tempi della Bastiglia Negli anni della Rivoluzione, in Francia, il rabbioso bisogno popolare d'immagini immediate dei fatti, di commento figurativo, fu saziato dalla frenetica attività degl'incisori. A volte la stampa circolava, in centinaia di copie, quando 2'événement era ancora bollente. La Bastiglia fumante, Marat pugnalato al cuore, gli spari sulle scale di casa a Collot d'Herbois, le fucilate, le lanterne, i massacri, la Festa della Federazione, il ritorno da Varennes: c'era un'angosciosa presa diretta coi punti caldi della città rivoluzionaria per trasmettere l'immagine il più velocemente possibile. Chi non era sceso nelle strade, voleva 1 remare di pietà e di paura dietro la porta chiusa; spettatori e attori erano avidi della testimonianza- «Ero proprio lì, dietro quella fila dì soldati, quando tagliavano la testa al re!». Il Robert Capa di questi incisori fu Janinet, che fermava la cronaca i;. una sua scarna luce epica. Ma l'allegoria e il fantastico illustrino con più giustizia l'evento, approfondendor : il senso. Sono creazioni di visio7.ari coscienti, che usano la personificazione di enti astratti all'interno di schemi convenuti, la Liberta, la Repubblica, i Diritti dell'Uomo, l'occhio triangolato dell'Ente Supremo. Il bizzarro è raro, perché l'ex voto è ripetitivo; tuttavia nella stampa allegorica il fatto trova la sua adeguata cornice e proiezione metafisica, i. termini fissati dalla Filosofia e graditi al Popolo Sovrano, e gesti e caratteri umani che non aspiravano alla cronaca ma al mito s'illuminano di grande e strano. Dopo la rivoluzione La Rivoluzione fu una colata e un ì rto di messianismo geometrico e fatale, con grandiose novità liturgiche e speranze che non si possono, al di là della glaciazìjne storica che le chiude, r' oncepire; perciò gli artisti che hanno raccolto le impronte rivoluzionarie nei cerchi angelici e infernali, visto i personaggi come simboli del Bene e del Male, attori di sacra rappresentazione, enti della favola, hanno meglio capito il senso dell'epoca, la sua inuguagliabile commozione. La stampa allegorica è utile per dubitare della realtà della Rivoluzione e per indovinarne l'essenza, per scoprirne la verità che conta, cioè il valore mitologico — come la Scrittura striando d'ombre la realtà materiale di quegli antichi Semiti, ci dà la storia veridica d'una lotta tra l'uomo e Dio. Ma anche le stampe realistiche trasmettono sog.io, il sogno d'un'insuperata Rivoluzione, e appena ne vedi — tricorni, coccarde, baionette — Il vel fuggente biancheggiar fra i mirti. Fortunati i curiosi! Da giugno a novembre, il Museo Carnavalet di Parigi ha esposto nelle sue sale alcune centinaia di stampe della Rivoluzione fL'Art de l'Estampe et la Revolution Francaise, mostra e catalogo a cura di Pascal de la Vaissière) quasi tutte provenienti dalle sue meravigliose collezioni. Ho passato ore piacevoli e struggenti in quel piccolo paradiso dell'Insolito. Avendo rotto la montatura degli occhiali, durante la prima visita al Carnavalet ero costretto a una notevole fatica ottica, però il rapporto con l'immagine — lenti come tibie che ballano, naso sul vetro — era più stretto: le folle sembravano animarsi, i cuori palpitare; un ulteriore avvicinamento al mistero del Tempo. Navigavo su un mare di gesti. Si possono studiare queste immagini come pura fissazione nella luce d'una serie sterminata di gesti umani. Certi uomini decisivi emersi dal nulla (anche dall'inferno) sulla scena rivoluzionaria non sono stati, in fondo, che qualche geòlo, o un unico gesto. Altri, espulsi violentemente dalla gioia nell'espiazione e nella tenebra, hanno impresso nell'aria tind'umano il loro indelebile congedo. Si potrebbe vedere tutta quanta questa Rivoluzione — la più importante, la più contagiosa di tutte — come il Sogghigno del Gatto senza il gatto nella favola di Lewis Carroll, un impressionante uragano di gesti che si sono svuotati dell'uomo che li ha compiuti o nati e rimasti gesti senza neppure uomo. Fu teatro, del grande, enigmatico teatro tragico, che si ripercuote in noi coi gesti potenti e disperati attraverso le sue storie clas- siche e queste immagini mu- te, di grido ammutolito. Sono gesti anche le sue architetture visionarie, i de- ! c-eti, le parole che furono scritte. Leggi Chénier o SaintJust, ti resta in bocca un sapore di gesto e sopra ogni albero è il Sogghigno del Gatto. Una delle parole più usate era égorger; la trovi dappertutto, nei proclami, nelle tirate, nei versi, nella j Marsigliese; sadismo non più dei castelli, ma dell'oratoria e dei giornali. Per gli scannameli veri si usava piuttosto massacrer: l'uso di égorger è quasi esclusivamente figurato. E' una parola-gesto, un gesto sonoro: scomposto nei farneticanti, fermo e sublime nei giusti. Le vitti1. e degli scannamenti metaforici potevano essere la Libertà, la Patria, la Nazione, la Felicità, il Genere Umano, tutti i soggetti di allegoria figurativa. Dalle bocche e dai torchi, un volo di gesti che vorticano. Messianismo e Teatro: il pendolo della Rivoluzione. Nel sacrilegio e nel vilipendio universale, restava forte, o rinasceva di continuo, il senso dell'Invisibile e dei Modelli. L'immortalità dell'anima era dogma di Stato della Repubblica. L'idea di giustizia non appare mai sep< ata dalla sua divinità. Montesquieu aveva insegnato che la Giustizia è eterna e non dipende dalle convenzioni umane: questa Giustizia celeste osservava con dolore, nei due anni del Terrore, i crimini della giustizia rivoluzionaria, esercitata da mostri, da imbecilli e da pavidi, mentre a lei andava un I ininterrotto culto segreto. e e a e à a i . o e a Quaggiù la triviale boucherie trionfa, ma l'eterna Giustizia scaccerà l'orribile notte. Grandezza e miseria si bilanciano nella Rivoluzione; ma tutta la sua grandezza consiste nella fede non per- duta nell'eternità della Giu¬ stizia. Aver visto una Giustizia che soffre, come una Virtù che piange, le passioni e la salvezza degli archetipi, ha protetto gli uomini di allora dalla disperazione, dallo squallore mentale. Oggi, sembra un'idea accettata da tutti, quella d'una giustizia dipendente dalle contingenze timone; questo ci devasta più d'una vecchia pestilenza. Proconsole ad Arras Parlerò d'una delle più significative di queste stampe, Le Forme Acerbe (n. 2S3 del catalogo) che l'incisore Nor- mand ricavò da un disegno di Laffitte. Un artista della giustizia antitetica a quella eterna di Montesquieu e degli uomini giusti, Joseph Lebon, proconsole giacobino ad Arras, aveva installato un tribunale ri voluzionario fatto di parenti e di amici suoi, al quale gli accusati arrivavano dopo una specie di giudizio di primo grado, a base di urla e d'insulti, delle Società Patriottiche. Lebon aveva collocato la ghigliottina davanti al teatro municipale e la faceva funzionare di sera, a ora fissa. tra le marce della banda militare e i balli dei patrioti, facendo discorsi dal balcone d ' teatro. Alla Convenzione, Barère giustificò i crimini di Lebon con questo fiore di rei torica: «Certe forme un po' acerbe sono state messe in stato d'accusa, ma queste forme hanno distrutto le trappole dell'aristocrazia...». Nella stampa, l'Ironia diede la sua versione vendicatrice delle Forme Acerbe. Lebon è un orrido bruto seminudo che si abbevera di sangue in coppe fumanti tra le ghigliottine di Arras e di Cambraì da lui istituite, in piedi su una catasta di vittime a cui due megere — le custodi Lemaire e Lallart delle prigioni di Arras — insieme ad altre belve, fanno più nero il supplizio. Sul lato sinistro il popolo di Arras alza le braccia invocando la salvezza dal cielo, un cielo perfettamente rivoluzionario, perché occupato dalla Verità (naturalmente nuda) che denuncia i crimini di Lebon alla Giustizia (eterna) e alla Convenzione (anche lei ritenuta eterna) che s'appoggia alla Tavola dei Diritti dell'Uomo. Dopo Termidoro, Lebon fu consegnato al boia dalla Convenzione, finalmente stanca di forme acerbe. La Convenzione, essendo parte del pleroma celeste, sotto l'Ente Supremo e il Popolo Sovrano, è giustamente supplicata come una divinità (femminile, sotto due maschili). Vista con un buon cannocchiale scettico e faccia per faccia, questa divinità appare come un serraglio di passioni tremende, e « ■ una peue con luue ie Vlaccne \ | zoniano della miseria umana, quando sono più accese. Ma, nel suo insieme, ha qualcosa di una meteora infuocata e il suo nome resta indissociabile da un'idea dì grandezza sovrumana. C'è l'Himalaya e c'è la Convenzione... Victor Hugo gli applica i suoi chiaroscuri più iperbolici, adora spaventato l'idolo vociante. Spiando dalle finestre, non vedo facce che mi piacciano. Chi mi piace non è tra i banchi: Carlotta, Chénier... Quanti gesti! Certo, una forza smisurata e arcana ha emanata di là; ma crederei soltanto a un giudizio man- Un contatto più acuto con una follia onnipotente e una pena non placata, qualche scheggia di luce strana nel subbuglio di tante morbosità e novità umane: questi i doni delle stampe esposte al Carnavalet. Nella voragine del tempo, quei gesti non hanno e non danno pace, perché la Rivoluzione è ancora nel rumine del mondo, produttrice d'insolubile. I volti sembrano recalcitrare alla rigidità, tentare ancora, con sudore e lacrime, di dirci qualcosa. Guido Ceronetti i iit i ibli ilii lli d A Cbi i repressione impazzita: i tribunali rivoluzionari gemelli ad Arras e Cambiai »

Luoghi citati: Francia, Parigi