Scricchiola il vecchio palcoscenico di Giorgio Manacorda

Scricchiola il vecchio palcoscenico IL TEATRO ITALIANO CERCA NUOVO SPAZIO NELLE REGIONI Scricchiola il vecchio palcoscenico Come cambia il teatro italiano? Le novità non sono artistiche, ma istituzionali. Tra la fine degli Anni Sessanta e l'inizio degli Anni Settanta esplode l'avanguardia. Bastavano una cantina, un po' di ingegno e quattro riflettori, e con un pizzico di fortuna si poteva anche diventare famosi e rivoluzionare qualche cosa. Poi si è fatto un gran parlare di « territorio » e, quindi, di recupero delle culture subalterne. Così i teatranti, in prevalenza cooperative, si sono « decentrati » andando a fecondare teatralmente anche i più sperduti paesini dell'entroterra lucano. Comunque è stata una bella spallata 3l teatro tradizionale concepito solo per gli spazi architettonici del teatro all'italiana in funzione del bel profilo del noto attore: oramai, nel bene e nel male, tutti fanno teatro (ragazzine di buona famiglia malate di bohème, giovani immigrati meridionali caduto il miraggio del posto al ministero, studenti fuori corso e in corso, casalinghe, giovani madri incente e... insomma proprio tutti) e lo fanno dovunque: palestre, aule scolastiche, piazze, cantine, circoli culturali, cinema smessi, chiese sconsacrate. Se fare teatro una volta era un po' eccezionale (i teatranti erano un po' « diversi») adesso è assolutamente normale. Non è detto che la qualità ne esca molto rafforzata, per il momento. Ma la situazione è fluida e domani chissà cosa può succedere. Se il momento non sembra offrire grandi novità artistiche, le novità dove sono, una volta acquisita la fluidità sociologica del settore? Associazioni, consorzi La struttura tradizionale del teatro italiano comincia a scricchiolare, non è in grado di canalizzare tutto ciò che ribolle sul territorio nazionale. Ormai la partecipazione sta diventando un fatto reale. La regionalizzazione del nostro Stato, con il nuoi vo ruolo degli enti locali che ne deriva, ha provocato la I nascita di associazioni e con< sorzi di comuni che preten' dono di gestire in proprio le ] attività culturali in genere e ] teatrali in particolare. A Chieti, il 10 e l'il dicembre, si è tenuto il primo convegno nazionale delle associazioni teatrali regionali. Per la prima volta, quindi, si incontrano le realtà emergenti del teatro italiano e si con¬ figura quella che, in un futuro non lontano, potrebbe essere la sua nuova struttura. E' chiaro che un collegamento nazionale (un comitato di coordinamento o una segreteria) dei teatri regionali finirebbe con l'assumere le. funzioni che attualmente ! svolge l'Ente teatrale italiano. Si tratterebbe di sostituire una struttura centralizzata di tipo burocratico con una struttura democratica i che nasce dalla periferia e riconduce le scelte di politica teatrale nelle mani degli utenti, essendo gli enti locali i diretti rappresentanti della popolazione. Il tema del convegno di Chi2ti era « Teatro e distribuzione ». Ma è stato fatto j immediatamente notare coI me il binomio produzione-dij stribuzione sia inscindibile. Infatti chi non produce non I esiste culturalmente e, quinI di, rimane in una condizione j subalterna. Non si tratta solo ' di aumentare il numero delle « piazze » teatrali, ma di I decidere che cosa in queste I « piazze » si deve rappresentare in collegamento, anche, con la loro collocazione storico-geografica. Non bisogna concepire i circuiti regionali come autostrade su cui solo gli altri metteranno le loro automobili. Ruolo fondamentale di un teatro regionale è di contribuire a far sì che finalmente la cultura del nostro Paese superi l'unità fittizia e tutta calata dall'alto che ha dominato finora sulle culture delle molte « Italie » regionali. Un po' trionfalisticamente si può forse sperare che sia arrivato il momento in cui si riuscirà a fare (addirittura) l'unità culturale dell'Italia, ma partendo dalla periferia, dalla realtà concreta delle culture emarginate. Le strutture regionali devono essere in grado di riscoprire e rilanciare un'immagine culturale reale del nostro Paese, si deve arrivare, quindi, anche ad un decentramen to produttivo. Quando e come questo sarà possibile, senza cadere in quella nuova forma di provincialismo che è la mistica dell'emarginazione, dipende dall'abilità dei teatranti e degli uomini politici locali, ma soprattutto dalla tanto attesa legge di riforma delle attività teatrali (che dovrebbe essere promulgata entro il 31 dicembre 1979) la quale dovrebbe demandare alle Regioni il com- pito di legiferare in materia : teatrale nel modo che riter- ranno più conforme alle loro esigenze. Intanto, come dimostrano le presenze al convegno di Chieti, le cose vanno avanti. Al di là dell'Emilia Romagna e della Toscana, in cui esistono già da tempo organizzazioni regionali solide e ottimamente operanti, le associazioni regionali si diffondono soprattutto nell'Italia centro-meridionale: Marche, Umbria, Puglia, Calabria e Abruzzo. Maschera dimenticata Nelle Marche opera l'Amelac (Associazione marchigiana enti locali per le attività culturali). Si tratta di un'associazione di 40 comuni, che non si occupa solo di teatro, ma anche di educazione musicale. Me ne parla Velia Papa, una ragazza timida e decisa, mi dice che l'anno scorso hanno fatto 68 repliche di vari spettacoli distribuiti in 15 comuni. Alla domanda su come finanziano l'attività risponde rivelando la sostanziale fragilità dell'associazione: i comuni pagano venti lire ad abitante e le province dieci lire. Ma quello che conta è il momento di organizzazione della distribuzione, con ciò che comporta al livello della selettività. Si tratta di far sì che gli enti locali spendano denaro pubblico per spettacoli che abbiano una funzione culturale e non per incentivare il semplice consumo: per vedere dal vivo l'attore visto la sera prima in televisione. In Umbria opera l'Audac (Associazione umbra per il decentramento artistico e culturale). L'attività teatrale consiste in una stagione che tocca venti comuni, di cui otto in collaborazione con l'Eti. L'Audac sostiene anche attività produttive autonome con un contributo del trenta per cento nell'allestimento degli spettacoli di due gruppi, Il teatro movimento e Fonte maggiore. Sono anche in atto tre esperienze di «radicamento» nel territorio: Quartucci tiene un laboratorio a Spoleto, Corsini ad Amelia e la cooperativa Spazio zero (Natoli) a Perugia. In Abruzzo esiste l'Atam (Associazione teatrale abruzzese-molisana) che è una filiazione del Teatro Stabile dell'Aquila. L'Atam organizza dodici comuni e programma la sua stagione in collabora¬ zione con l'Eti. In Puglia c'è una situazione anomala: il Consorzio teatro pubblico pugliese (70 enti locali) è costituito ma non operante. Esattamente il contrario di quello che sta succedendo in Calabria, il cui Consorzio teatrale regionale, pur non essendo ancora legalmente costituito, è al suo secondo anno di attività ed è passato dai sei comuni dell'anno scorso agli attuali venti. E' questo l'unico caso (a parte l'Emilia Romagna e la Toscana) in cui produzione e distribuzione vanno di pari passo. L'anno scorso è stato prodotto uno spettacolo su una affascinante figura di scrittore prete e rivoluzionario calabrese. Vincenzo Padula, per la regìa di Sandro Giupponi, che è anche il motore organizzativo di questa nuova realtà teatrale calabrese. « Quest'anno, mi dice stanchissimo ed eccitato; ha la barba lunga di chi non ha tempo e i capelli ricci e scomposti, quest'anno metteremo in scena una nostra scoperta, una dimenticata maschera della commedia dell'arte calabrese: Giangurgolo ». Giorgio Manacorda

Persone citate: Corsini, Natoli, Quartucci, Sandro Giupponi, Vincenzo Padula