La Garrone ha chiesto integrazione per 200

La Garrone ha chiesto integrazione per 200 Problemi della raffineria di Genova La Garrone ha chiesto integrazione per 200 Colloqui con consiglio di fabbrica e sindacati (Dal nostro corrispondente) Genova, 9 dicembre. La tormentata vicenda delle raffinerie in Valpolcevera, nota ormai come «il caso Garrone» è giunta oggi — ma il fatto era prevedibile — ad una svolta cruciale. Il presidente ed amministratore delegato della società, Riccardo Garrone, 43 anni, figlio del fondatore dell'azienda, ha iniziato oggi, dandone comunicato aiia stampa, una serie di incontri con i rappresentanti del consiglio di fabbrica e del sindacato di categoria, per affrontare il problema del ridimensionamento degli organici. La parola «cassa integrazione» non è stata pronunciata, ma la proposta della società è chiara: circa 200 dipendenti dovrebbero, per necessità di cose, essere collocati in cassa integrazione per un periodo che può variare dai tre ai sei mesi. Questo provvedimento, secondo fonti molto vicine all' azienda e all'Associazione industriali, sarebbe «in ritardo» perché da due anni a questa parte la «Garrone», che ha circa 900 dipendenti, lavora al 50 per cento del suo potenziale. La raffineria risente d'un certo invecchiamento dei suoi impianti, che necessiterebbero d'una ristrutturazione e d'un ammodernamento, ma soprattutto della crisi dell'energia. La vicenda della «Garrone» è nota: nel 1969 Riccardo Garrone chiese al comune di Genova la licenza di poter ampliare l'area su cui sorgeva la sua azienda, avendo prospettive di sviluppo. Gli fu risposto, dalla giunta di centrosinistra, prima «sì», poi «no». Si giunse poi, nel 1972, ad una delibera con la quale si decideva di allontanare entro il 1980 tutta l'attività di raffinazione dalla Valpolcevera, per due ordini di motivi. Il primo ecologico e di sicurezza (le raffinerie vicine all'abitato); il secondo economico, cioè per recuperare quell'area ad attività industriali a maggior livello occupazionale. La «Garrone» replicava che il problema ecologico era legato soltanto agli «odori», ma che le misure di sicurezza antiscoppio e antinquinamento erano rispettate e che, per la verità, la «Garrone» s'era ampliata, nel corso degli anni, proprio sulle aree di aziende un tempo ad alto livello occupazionale (le fonderie «Bruzzo», la «Lo Faro» ecc.), chiuse o fallite. Ora proprio sulla base della situazione generale italiana, siamo ad un vicolo stretto: se nel 1980 la «Garrone» per ottemperare all'ordinanza del Comune dovrà essere chiusa, ben difficilmente la società aprirà una nuova raffineria. Quindi l'allontanamento dell'industria petrolifera significherà la perdita secca di 900 posti di lavoro per una città che ha già migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Esiste una via d'uscita? La direzione della «Garrone» va ripetendo da tempo che si può uscire dal vicolo cieco se esiste da parte delle autorità cittadine la «volontà di trattare». E' quanto, però, ripete anche il sindaco di Genova, Fulvio Cerofolini. Tra Comune e azienda c'è poi la posizione dei sindacati, estremamente cauta: da una parte viene sostenuto il principio di razionalizzare la vai Polcevera, una zona della città dove vivono circa 200 mila genovesi e che è urbanisticamente dissestata, dall'altra non si nascondono le preoccupazioni per i livelli occupazionali. La crisi della «Garrone» è un fatto palese: interi reparti da due anni sono praticamente fermi. Quindi l'annunzio della più che probabile collocazione in cassa integrazione dei primi 200 operai, potrebbe anche preludere a licenziamenti e addirittura alla chiusura della raffineria. A questi provvedimenti manca soltanto la «data certa». Che cosa significa? Forse Riccardo Garrone è dispcnibile a rimettere tutto in discussione e a rinunciare a questo proposito se otterrà dal Comune una garanzia di poter restare ancora, p. 1.

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