Brindisi: l'inchiesta per io scoppio nel "cuore,, della Montedison di Liliana Madeo

Brindisi: l'inchiesta per io scoppio nel "cuore,, della Montedison Tutta la città ai funerali dei tre operai morti nell'incendio Brindisi: l'inchiesta per io scoppio nel "cuore,, della Montedison Proposta la costituzione di una commissione d'indagine aperta a tutte le forze democratiche (Dal nostro inviato speciale) Brindisi, 9 dicembre. Ancora prima di arrivare allo stabilimento della Montedison, a sei chilometri dalla città, c'è animazione e silenzio: file di auto, parcheggi disordinati, autopullman, studenti con i libri sotto il braccio, gruppi di donne con i grembiuli neri. Ogni attività, a Brindisi, s'è fermata, in segno di lutto per la morte dei tre lavoratori uccisi, nella notte fra mercoledì e giovedì, da una fuga di propilene, sprigionatosi dal reparto « P.2 T », che è il cuore stesso del complesso Montedison. Nel primo piazzale dello stabilimento, subito dietro i cancelli, la folla cresce di ora in ora. In fon do allo slargo si allestisce una sorta di altare, per la celebrazione del rito funebre che verrà officiato alle 11, dal'arcivescovo della cit- tà, Todisco. In uno dei ca-pannoni che erano adibiti ad ufficio, sono allineate le bare dei tre operai. I resti carbonizzati — per due di loro ci sono volute ore prima di arrivare all'identificazione — sono meta di un pietoso pellegrinaggio, che dura ininterrotto da ieri. Ci sono i familiari, straziati. Ci sono i compagni di lavoro, con gli occhi febbrili per la lunga veglia, iniziatasi al primo boato dell'altra notte e protrattasi davanti ai cancelli dello stabilimento isolato dal fumo e dalle fiamme, col cuore in gola per la sorte degli operai rimasti intrappolati in quell'inferno di fuoco, in bilico fra il sollievo e il panico ogni volta che le squadre speciali facevano uscire i feriti, e li vedevano contusi, sotto choc, che vomitavano per l'intossicazione. Un membro del Consiglio di fabbrica precisa: « Da una prima ricostruzione tecnica possiamo dire che i nostri compagni sono morti nell'estremo tentativo di bloccare l'impianto, e in parte sono riusciti ad impedire che la fuga di gas, e l'esplosione conseguente, si propagassero. Tutti i lavoratori in quel momento presenti nel reparto, non hanno perso la testa. Sono scappati dopo che erano suonate le sirene d'allarme e dopo che erano riusciti a far scattare gli impianti di emergenza. Se ciò non fosse successo, non saremmo qui, ora, a raccontare l'accaduto, né noi né tutta la popolazione di Brindisi. E' noto infatti che, se il vento, l'altra notte, soffiava verso la città anziché verso il mare, il disastro era totale: di Brindisi non rimaneva che il ricordo ». Nel piazzale continua ad affluire altra gente. Dal mare arrivano folate d'aria fredda. Ogni tanto qualche scroscio di pioggia. Luccicano i caschi bianchi e gialli degli operai in tuta blu. Con aria indaffarata, i visi impenetrabili e le spalle strette nei cappotti, passano gruppi di dirigenti della Montedison. Giungono sempre nuove corone di fiori, che ormai costituiscono una fitta siepe colorata. Appaiono nel piazzale bandiere rosse e striscioni delle organizzazioni sindacali. Più in là, inavvicinabile, c'è il «P.2 T», che la Magistratura ha posto sotto sequestro. Alcuni vigili del fuoco, che smontano dopo un turno di lavoro, dicono: « Di tanto in tanto si sprigionano focolai d'incendio. Il pericolo è tutt'altro che cessato. Intorno permangono materiali combustibili. Impossibile fare supposizioni su quello che resta in piedi dei macchinari e dello stato di quelli esistenti ». Le autorità tacciono. Nel piazzale circola una voce: secondo alcuni operai, la fuga di gas sarebbe incominciata nel pomeriggio, ma dall'alto sarebbe giunto l'ordine di continuare a lavorare e di non dare l'allarme. La voce fa ondeggiare gli animi: si capisce che lo stabilimento che dà lavoro a migliaia di persone, è anche un ordigno mortale, retto da regole che non pongono affatto al primo posto la salute, o addirittura la vita umana. Si formula una proposta: la costituzione di una commissione di indagine aperta a tutte le forze democratiche, per accertare le responsabilità dell'azienda. Il consiglio di fabbrica, che ha già aperto una inchiesta, fa una prima dichiarazione: « Escludiamo il dolo, l'opera di sabotaggio, come qualcuno — sconsideratamente — ha fatto balenare ». Dicono alcuni rappresentanti: « Da quattro-cinque anni abbiamo posto all'azienda il problema dell'infortunistica e dei macchinari pericolosi, delle ore di esposizione dei lavoratori agli impianti nocivi e delle malattie professio¬ nali, come intossicazioni lente, sordità, disturbi per mercurio, cancro da " cvm ". La Montedison ha sempre evitato questi discorsi ». Dopo una lunga gestazione, sollecitata soprattutto dal basso, si è aperta una vertenza che doveva esaminare anche queste questioni. Alcuni sindacalisti ammettono apertamente che la vertenza si è « impantanata ». Alle richieste dei lavoratori l'azienda avrebbe dato queste risposte: deterioramento degli impianti, abbas- li"ztavnfginMndloqsasamento dei livelli di manu-1 ftenzione preventiva, chiusura di alcuni reparti, trascuratezza per tutti i settori, ristrutturazione della fabbrica per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, che si è risolta in cumulo delle mansioni e polivalenza per i lavoratori, riduzione dei livelli occupazionali nelle ditte appaltatrici cui è affidata la manutenzione Contemporaneamente, la Montedison ha portato avanti il progetto di installare uno stabilimento, già rifiutato da Marghera, per la lavorazione del « mdi », sostanza fra le più nocive: duemila le assunzioni previste, settanta i posti di lavoro che realmente si verranno a creare, cinquanta i miliardi di investimento previsti; la lavorazione inizierà nel marzo '78. Il problema della salute e dei dispositivi di sicurezza preventiva torna ad affacciarsi, impellente. Per i sindaca- lis«lpntbplegnmsveinGMnDbdIst listi, « la manutenzione del "P.2T" era previsto nel marzo '77, poi è stata fatta slittare a giugno, quindi a novembre; l'attuazione è avvenuta, quindi, in maniera affrettata, su cui occorre indagare: l'incidente si inserisce in un uso particolare che la Montedison fa da qualche anno di questo stabilimento ». Si parla di grossi deficit, di una « disaffezione » del colosso petrolchimico verso questo insediamento, di un suo interesse piuttosto per altri investimenti. Quale il futuro possibile dello stabi- limento di Brindisi? Il consiglio di fabbrica è secco: « Non si può speculare sull'accaduto. Lo stabilimento può tranquillamente continuare a produrre. In passato, anche se per periodi più brevi, si fermarono gli impianti di produzione dell'etilene: ce lo fornì Porto Marghera ». La cerimonia funebre è finita. I cancelli dello stabilimento si aprono per far passare, per l'ultima volta, Giovanni Palizzotto, nato nel '53 e assunto nel '76, « tecnico in addestramento »; Carlo Greco, 47 anni, e Giuseppe Marnili, del '43, che lavoravano alla Montedison dal 1962. Dietro di loro, un interminabile corteo, inframmezzato da corone e striscioni rossi. In silenzio, migliaia di persone attraversano tutta la città di Brindisi. Liliana Madeo

Persone citate: Carlo Greco, Giovanni Palizzotto, Giuseppe Marnili, Todisco

Luoghi citati: Brindisi, Porto Marghera