Un fantasma accusa l'«uomo in blu» di avere ucciso Christn Wanninger
Un fantasma accusa l'«uomo in blu» di avere ucciso Christn Wanninger Roma: oggi il processo dopo quattordici anni e mezzo Un fantasma accusa l'«uomo in blu» di avere ucciso Christn Wanninger Imputato è il pittore Guido Pierri - Scagionato una prima volta, è stato di nuovo sospettato dopo le indagini di un maresciallo dei carabinieri, morto in un incidente Roma, 9 dicembre. Delitto di un maniaco, uccisione feroce di una vittima innocente, «giallo» con intervento dei servizi segreti, spionaggio: qual è la vera storia della morte di Christa Wanninger, 23 anni, tedesca, colpita da dodici coltellate, alle 14,30 del 2 maggio '63, mentre siava andando a trovare Gerda Hoddap, un'amica tedesca? Dopo quattordici anni e mezzo il processo si aprirà domani. Imputato è Guido Pierri, pittore, 44 anni, magro e nervoso, grandi occhi neri, da sempre accusato del delitto, arrestato una prima volta, scagionato, di nuovo arrestato alla vigilia di Natale 1976. Gli ingredienti per un «processone» vecchio stile ci sono tutti: lei, bellissima e giovane, aspirante attrice, fotomodella, con tanti amici influenti; lui, tenebroso ed enigmatico, da sempre professatosi innocente. Poi c'è la supertestimone che vide fuggire l'«uomo in blu» (così fu chiamato l'assassino) e, come piatto succulento, i diari del Pierri in cui si annotano particolari di un delitto perfetto. Ma la verità sul caso — ed i giudici saranno chiamati a dipanare la matassa — sarà mai appurata? Guido Pierri è il personaggio centrale della vicenda. All'epoca del delitto, era segretario di un istituto scolastico privato. Nel marzo del '64, quando sembrava impossibile agli investigatori risalire all'autore dell'omicidio, fu proprio Pierri ad entrare di sua iniziativa in scena. Telefonò, da una cabina di piazza San Silvestro, ad un giornale promettendo rivelazioni clamorose ed esclusive sull'uccisione di Christa Wanninger. In cambio voleva soldi. Mentre telefonava i carabinieri lo arrestarono (chi li avvertì?). Somigliava in modo impressionante all'«identikit» dell'omicida, fatto sulla base delle testimonianze di chi aveva visto l'iiuomo in blu». A casa del Pierri furono trovati sei diari dettagliati che si fermavano al giorno del delitto per riprendere molto tempo dopo. E c'era anche, appeso ad una stampella in un armadio, il completo «blu». Gli scriti del Pierri furono letti e riletti con estrema attenzione. Sopra queste pagine fu fatta una perizia psichiatrica che parlò (ma ci furono pareri contra- stanti fra i periti) di «tendenza schizofrenica». Il pittore sosteneva, fra l'altro, che un uomo diventa grande solo se compie un gesto eclatante, come un delitto, e narrava precisi particolari di una uccisione, che poteva essere quella di Christa. Le prove sembrarono schiaccianti. Oltretutto Guido Pierri, quando telefonò al giornale, si lasciò sfuggire, per essere convincente, particolari nuovi che nessuno poteva sapere. Per esempio che la Wanninger era stata uccisa nell'ascensore e non sul pianerottolo dove fu trovata. E nell'ascensore fu trovata un'un¬ gntaasmcscnlpr ghia finta, persa dalla giovane mentre — si pensa — lottava contro il suo assassino. Guido Pierri, che era stato arrestato per tentata truffa (ai danni del giornale) e poi accusato d'omicidio, fu prosciolto da ogni accusa dai magistrati Dorè e Zarabuda che archiviarono il caso, lasciando in bianco il nome del colpevole. Il pittore rientrò nell'ombra dell'anonimato, an che se continuarono le polemiche, le rivelazioni scandalistiche. Era un mondo, un'epoca, molto lontana dalla realtà di oggi. Pierri tornò a dipingere e si trasferì in Liguria. Ma chi non aveva mollato neppure un giorno le indagini era Renzo Mambrini, maresciallo dei carabinieri in pensione. Nel maggio del '74 terminata la sua autonoma fatica, Mambrini consegnò alla procura della Repubblica un rapporto, sollecitando, in base alla sua inchiesta, la riapertura delle indagini. E l'autorità giudiziaria si convinse a rivedere gli atti: forse Pierri non era il mitomane che, per soddisfare la sua distorta personalità, si era immedesimato nella parte dell'assassino della Wanninger. L'inchiesta, nuova versione, arriva sul tavolo del giudice istruttore Michele Gallucci. Dopo una serie di accertamenti il magistrato decide di arrestare il Pierri. I carabinieri lo trovano al solito indirizzo, a Marinella di Sarzana, provincia di La Spezia. Colpevole o innocente? Pierri ha sempre negato tutto. Ha sempre sostenuto che le pagine dei suoi diari, tra una citazione di Nietzsche e l'esaltazione del «superuomo», non erano altro che «esercitazioni letterarie» su un ipotetico caso di delitto perfetto, anzi di più delitti. Pierri non è mai scappato; ha sempre continuato a lavorare. Il fratello sostiene che sia vittima di un colossale abbaglio giudiziario. E qui si apre il «giallo» con la storia delle spie e degli agenti segreti. Perché? Per via dell'ipotesi che Christa, amica di uomini potenti (e qui la parola «amica» fa nascere equivoci torbidi che fanno parte degli ingredienti del caso), fosse stata uccisa perché aveva saputo cose che non doveva sapere. Che cosa? Segreti politici, militari, industriali? C'è il buio pesto. E c'è anche chi ha collegato il nome della giovane tedesca a quello di Bruno Riffeser, genero del petroliere Attilio Monti, suicidatosi l'anno scorso sulla Costa Azzurra. In ultimo c'è un altro «mistero»: la morte del maresciallo dei carabinieri Renzo Mambrini, deceduto in un incidente stradale definito «strano». Mambrini, il più convinto di tutti della colpevolezza di Pierri, non sarà così in aula ad accusarlo. Un giallo dosato a pennello che domani entrerà in un'aula di tribunale, per l'ultimo capii tolo. f. c. Roma. Christa Wanninger uccisa il 2 maggio del '63 (Ansa)
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