Monti: lezione dal carcere di Giorgio Calcagno

Monti: lezione dal carcere Monti: lezione dal carcere C'era la scuola di Augusto Monti, l'altra sera al Circolo della stampa; con il famoso gruppo del D'Azeglio, la « confraternita » descritta da Massimo Mila, mescolata ai compagni e alle compagne degli Anni Venti, i capelli ingrigiti, la lezione del maestro ancora viva e chiara. E c'era lui, il professore, evocato dalle pagine delle lettere che Norberto Bobbio leggeva con voce netta, staccante, quasi a voler riprodurre il tono delle letture ascoltate tante volte dall'autore dei « Sanssóssi ». E' stata una serata di sguardo all'indietro, ma non per uno sterile ricordo, e meno che mai per amore di nostalgia. Non sarebbe stato nello stile di Monti, e dell'insegnamento da lui lasciato agli allievi. L'occasione — l'uscita delle « Lettere a Luisotta », per la Einaudi — era propizia per cercare di rileggere il passato con l'occhio ben fermo al presente. Nelle lettere dal carcere, che lo stesso scrittore ordinò, nel dopoguerra, e che la figlia Luisa ha curato ora per la pubblicazione, è racchiuso il ritratto di un uomo consapevole e fiducioso, ottimista malgrado tutto, certo della propria non imprigionabile ragione. Il fascismo, che lo aveva condannato a cinque anni e un me¬ se, poteva togliergli tutto, anche il diritto di scrivere la parola « libertà » nelle lettere ai familiari. Ma non poteva impedirgli di mantenere la propria fede nella vita, e in una società diversa da costruire. Non si cerchi in queste lettere, ha avvertito Massimo Mila, una lezione di politica o di ideologia. Si tenga presente, per valutarne tutte le sfumature, le condizioni in cui furono scritte. Monti doveva sfidare giorno per giorno la doppia censura a cui era sottoposto, ricorreva a tutte le sottigliezze della sua cultura classica per trasmettere anche una semplice notizia: come quando, volendo far sapere che aveva festeggiato con due compagni di cella l'uscita dal carcere di Leone Ginzburg, citava i cori del Purgatorio, esultanti perché un'anima va in Paradiso. Sapeva che la figlia avrebbe capito. C'è molta tranquillità in queste lettere. C'è un continuo richiamo alla natura, fra georgico e esiodeo, come Mila ha sottolineato: anche comprensibile per chi è chiuso dietro una inferriata, e delle stagioni che volgono può cogliere soltanto pochissimi aspetti. Ma non inganni la veste letteraria, ha ammonito l'ex allievo di Monti, ohe aveva preceduto in ce'la il maestro, per gli stessi reati di pensiero, e vi sarebbe rimasto più a lungo di lui. Il carcere fascista, anche per i « politici », fu un carcere severo, assai più pesante di quello riservato oggi ai detenuti comuni. Monti, in quell'ambiente, mantenne la propria serenità. Non volle scrivere, lesse pochi libri. E cercò di scrutare, senza stancarsi, l'umanità che gli stava intorno. Il suo libro vero, il solo di quegli anni, è la raccolta delle lettere. Invitato da Mila a cercare in queste pagine i tanti richiami letterari, Arpino ha preferito individuare, all'opposto, una spoliazione di linguaggio, quasi in senso contrario alla letteratura: « una straordinaria modestia lessicale, voluta », che sottolinea ancora meglio « la eccezionale forza virile» della sua testimonianza. Ma, sotto quella veste dimessa, colloquiale, sotto quel linguaggio in apparenza rasserenante, quale pienezza espressiva, quale capacità di scansione, anche nella parola. Norberto Bobbio, che ricordava i « Sanssóssi » nella lettura diretta dell'autore, ha ritrovato in queste lettere gli stessi ritmi, con i tagli, le spezzature, il grande parlato del romanziere. « Monti era un lettore eccezionale di se stesso, perché scriveva come parlava. E quando io ho avuto davanti queste pagine, mi sono accorto che io non le leggevo: mi pareva di ascoltarle, dalla sua voce ». Bobbio ha provato a leggerne alcune in pubblico, cercandovi lo spirito del maestro, così severo e fermo nella dizione, sempre attento a trattenere ogni fuga sentimentale. Era solo una scelta letteraria? Bobbio ha ricordato che Monti andò in carcere « volontario », così come era andato volontario in guerra: per tenere fede ai propri princìpi, per amore di libertà. La sua lezione va ben al di là della letteratura. La confusione è venuta da una ex allieva del D'Azeglio, fi a il pubblico. Ha ricordato che nessuna lezione di Augusto Monti è stata per lei importante come questo libro; e in particolare come l'ultima pagina, con la fotografìa del professore a Regina Coeli « Quando io ho visto il mio maestro, quello che ci leggeva Dante, con la casacca del carcerato, ho sentito come uno schiaffo. E allora mi sono detta: teniamoci questa sgangherata democrazia, difendiamola: perché non capiti mai più che un uomo vada in carcere per le proprie idee ». Il suo professore non avrebbe potuto che approvarla. Giorgio Calcagno

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