Il Living Theatre trasloca a Roma di Giulia Massari

Il Living Theatre trasloca a Roma Il Living Theatre trasloca a Roma Roma, dicembre. In un appartamento dalle parti della stazione Termini, in una Roma irreale dove marocchini e giapponesi divorano metri di pizza e i bus scaricano notte e giorno turisti e pendolari, Julian Beck recita Julian Beck e Judith Malina recita Judith Malina. Lei beve lentamente, continuamente, caffè e muove le mani come disegnando, limitando spazi. Lui fìssa un punto del tavolo, fra lapis, carte, pastiglie, scatole e scatolette, quaderni e libri, poi si china, alto, magro, i capelli svolazzanti sulle spalle, e afferra qualcosa che delicatamente posa fuori della finestra. Una formica. « Siamo vegetariani. Difendiamo tulli gli animali », dice Judith. Il luogo dell'azione è una stanza ampia con un materasso per terra, una bottiglia con una candela dentro, un'altra piena di marsala all'uovo, una pipa e una sveglia su una cassetta capovolta, e su un vecchio tavolino un volume sugli anarchici spagnoli e un fascicoletto con uno studio sugli anarchici nel medio evo. Tutto attorno, alle pareti, per terra, cartelle, libri, stoffe ricamate o luccicanti, scialli, pezze di velluto, garze, manifesti. Lei ha una gonna lunga di velluto e una collana brasiliana. lui una camicetta ricamata. Parlano insieme, cercando parole italiane difficili e magari inesistenti, come « coartizzazionc ». « Abbiamo appena centotré anni, dicono. E il Livìng Theatre ne ha trenta, essendo nato nel 1947, quando ci siamo incontrati ». Tutti e due americani ed ebrei, tutti e due pazzi per il teatro, cominciarono appunto dal '47 a cercare di realizzare il loro sogno, che era inventare una nuova maniera di recitazione, in cui il realismo fosse salvo, ma difesa ed esaltata la poesia delle parole. Living Theatre, Teatro Vivente, chiamarono il loro teatro, e i maligni dissero che quel nome veniva dal fatto che i primi tempi recitavano nel loro appartamento, nella living room. Cosa furono i vari esperimenti, Cherry Lane, The Studio, la sede, una casa di legno oggi fatiscente di Fourteenth Street, insomma tutto quel chu accadde fino al 1964, quando l'International Revenue Service, cioè l'ufficio delle imposte, sequestrò tutto, e ne venne fuori un processo che costrinse la coppia a espatriare dall'America e il gruppo a disperdersi, è noto. Se ne racconta la storia, fra l'altro, in un bellissimo libro di Pierre Biner. Quanto alle imprese europee, noi italiani ricordiamo soprattutto una serata che fece scandalo, alla Scala di Milano, quando gli attori, chiamati a far teatro, rimasero immobili, muti, sul palcoscenico per un'ora, per protestare contro quella che chiamarono «atmosfera da party». «Noi facevamo teatro politico, teatro totale, teatro libero... Con la nostra immobilità, col nostro silenzio, suscitammo più reazioni che con qualsiasi gesto », ricordano, di quel periodo. Ora Julian e Judith, dopo l'America sempre vaganti, in Europa come nelle favelas del Brasile e fra gli indios, hanno scelto l'Italia come sede stabile. Pochi giovani sono con loro, altri se ne aggiungeranno. Per le strade, nelle piazze, continuano a rappresentare quelle Sette meditazioni sul sadomasochismo politico che hanno già dato un po' dappertutto, ma che in Germania gli han valso un'accusa di « diffamazione contro lo Stato ». A Monaco, i Beck avevano aggiunto al loro spettacolo una parte nuova in cui si parlava della « tortura bianca », la luce che strazia, la parete sempre eguale, l'isolamento totale, supplizio non meno crudele di altri. Saranno processati, e probabilmente, dice Julian Beck, condannati a una multa e cacciati per sempre dalla Germania. E' per protestare contro la Germania che ora hanno scel¬ to l'Italia: « Lì si respira un'atmosfera di terrore, di intimidazione, lì non c'è una sola voce libera che possa sollevarsi a difenderti, dice Beck. In Italia ci sono giornali di ogni tendenza, ci sono scioperi e manifestazioni di ogni tipo. F.' l'unico posto in cui si possa vivere, lo abbiamo capito in tutti questi anni che siamo andati girando per l'Europa. Perché un paese, la Germania, ha paura, ma in Francia, in Olanda, in Belgio, c'è una reazione anche più meschina: quella di chi pensa che la vita è troppo ben organizzata, con i suoi piccoli piaceri, con i suoi piccoli lussi, per metterla in pericolo. Non c'è che l'Italia. O anche la Spagna, dove abbiamo visto in funzione ciò che noi sogniamo, un comunismo libertario... ». II discorso, con i due creatori del Living, dal teatro passa sempre alla politica. « Siamo una comunità unarchica pacifista », dicono di se stessi, e non « un gruppo teatrale ». E si spie-1 ga: prima di essi, non si faceva politica, in teatro. Ma non se ! ne fa troppa, adesso? « // teatro rispondono, deve essere utilizzato per aiutare le scelte libertarie. E' l'unica maniera di concepirlo ». Se si parla con Julian, spesso risponde o interviene Judith, e viceversa. « Io ho molte, troppe idee, confessa lui, ma lei riesce sempre a metterle a fuoco. Così ci compensiamo. La scelta italiana l'abbiamo fatta insieme. Abbiamo naturalmente avuto dei dubbi. E' un paese dove oggi regna la violenza, ci dicevano: ma noi rispondiamo che c'è però sempre la salvezza della .sensibilità italiana, quella sensibilità che ha dato l'umanesimo». Un„. gruppo anarchico ha messo a disposizione dei Beck un locale, il circolo Malatesta, in via dei Piceni. Lì essi lavoreranno. Il nuovo progetto è di un Prometeo ispirato a Eschilo e al Prometeo liberato che Shelley ambientò nelle Terme di Caracalla. Il discorso è sempre quello del potere, della trasformazione della società dopo i grandi periodi. Il testo, lo stanno preparando Judith e Julian, e tutti gli altri, col solito lavoro collettivo. Sarà pronto, forse, in primavera. Qui a Roma, conducono una vita piuttosto solitaria. « Non abbiamo tempo di fare nLitte, si lamenta Beck. La nostra vita è passata sempre alla ricerca del denaro, e spostando mobili, libri, suppellettili. Ora bisognerà prendere i contatti con qualcuno ». Cioè, con gente del cinema, del teatro? I Beck hanno lavorato con Bertolucci, anni fa, e hanno conosciuto Carmelo Bene e gli altri. Lui è stato anche Tiresia, per Pasolini. « Telefonerò a Bertolucci, dice Beck. Una volta venne a vedere i nostri Mysteries e disse che voleva farne qualcosa, poi non trovò il denaro... così disse... Carmelo Bene non so, è inscatolato, ingabbiato. Come Andy Warhol in America, come altri ». « La verità è che è difficile sfuggire alla magia del potere, interviene Judith Malina, e noi del resto non ce la sentiamo di giudicare gli altri, noi pensiamo che sia sempre questione di "gradi di libertà", non di libertà vera e propria... Perché, allora, anche noi viviamo in questa società basata sulle leggi dell'economia, e ne facciamo parte, e ce ne serviamo... ». « Ma difendendoci come possiamo, conclude Julian Beck. Appena pensiamo di avere troppo successo, cambiamo tutto. Capitò ai tempi di Paradise now... Speriamo capiti ancora». Giulia Massari