Torino, una città violenta? di Clemente Granata

Torino, una città violenta? INCHIESTA TRA LA GENTE DELLA PERIFERIA Torino, una città violenta? Cronaca dalla sezione "Ferriere" del pei - "Un obiettivo del terrorismo è gettare fango addosso alla classe operaia" Nel '69 si scendeva in corteo in piazza San Cario e i commercianti abbassavano le saracinesche. Brutto segno. Avevano paura degli operai. Poi hanno visto che non siamo vandali e i negozi si sono riaperti al nostro passaggio. Adesso si torna al clima del '69. Ce ne siamo accorti alla mani/estazione di novembre per to sciopero dell'industria. Di \ nuovo le serrande giù. E la nostra partecipazione è inferiore alle altre volte. Torna la sfiducia nei confronti degli operai e del sindacato. E allora per me, per tutti noi è chiaro. Uno degli obiettivi del terrorismo è la classe operaia. Vogliono buttarle fango addosso. Farla apparire per quello che non è e non sarà mai: violenta. Novelli dice giusto: "Rinsaldiamo i rapporti umani". Certo, noi lavoria- mo per rinsaldarli. Ma con quello che succede è duro e c'è il rischio che i rapporti si sfascino ». Così parla Lentia, operaio della Fiat Ferriere, ed ha un amaro sorriso. Com'è Torino oggi? Stremata da nefandi delitti? Prigioniera di paure e di sospetti? Assuefatta alle «molotov », alle pallottole in fac¬ eia e al dilagare della cri minalità comune? Indifferente e rinchiusa in quegli egoismi, che anticipano la giungla? O ha capacità, energie, vitalità, mezzi per resistere e riaffermare la preminenza dei valori civili, che costituiscono parte integrante della sua storia? Questo è un viaggio per parlare con la gerite e cercare una risposta. Soprattutto per ascoltare. Incomincia alla Madonna di Campagna tra le ciminiere della fabbrica e il grigio desolante dell'asfalto e del cemento. In un cantinato di via Orvieto c'è la sezione « Ferriere » del pei, 419 iscritti, le bandiere rosse e gli striscioni arrotolati in un angolo, due tavoli, alcuni scaffali addossati alle pareti con manifesti, volantini, libri. Siamo una quindicina e si parla di questa città, che con la catena dei suoi delitti e l'ultima morte, quella di Casalegno, sembra voglia mostrare il suo volto più atroce. E l'operaio Lentia con toni misurati e accenti sinceri smussa gli spigoli dei precedenti interventi dei suoi compagni e centra la questione, che sta loro più a cuore: il pericolo che si possano stabilire artificiose equazioni tra movimento operaio, estremismo e peggio (« perché allora la democrazia è finita») e la necessità di salvaguardare il volto umano della città. Già, il volto umano della città e il rischio che si decomponga in modo irrimediabile. Qual è il primo passo per evitarlo? Risponde Coccato, giovane compagno di Lentia: « L'effettivo funzionamento dei comitati di quartiere, la partecipazione, la creazione di momenti organizzativi e politici, che consentano il confronto ». Ma la strada della partecipazione, aggiunge, è difficile. « Troppa gente è abituata alla delega, troppa gente è chiusa in sé stessa ». Egoismo? Maccaluso non vuol sentire parlare di egoismo e insiste sulla diffusa abitudine alla delega. E' un fatto di educazione, sostiene, il frutto del comportamento di chi assieme al potere ha avuto « l'interesse al disinteresse della gente». Poi precisa: « La generazione del '68 ha cercato forme di vita alternativa. Certe lotte non hanno pagato e sono venute le delusioni. La generazione d'oggi vive sotto il peso di quelle delusioni e della crisi economica. E allora ci si dispera e dalla disperazione può nascere II gesto violento ». Fiumara non è d'accordo: « Questo non è il momento d'insistere sull'emarginazione. Il punto è un altro. C'è chi vuole strumentalizzare e creare il caos ». O, come dice Coccato: « Si vuole colpire la democrazia politica. Il terrorismo provoca paura, la paura sospetti e si finisce con lo scaricare la colpa sull'atteggiamento critico degli operai. E allora si lega mentalmente la pallottola al picchettaggio, le "molotov" alla manifestazione. I terroristi colpiscono qui a Torino perché c'è la classe operaia più orga- ! nizzata. Inutile dire che le \ Br sono il nostro peggiore nemico ». Anche certi gruppi dell'ultrasinistra, dicono in via Orvieto, se ne rendono conto e fanno l'autocritica. Domando: « Ma non è tardiva? Non ci sono stati troppi ammiccamenti? ». La risposta di Maccaluso non dissipa tutti i dubbi. Egli parla di « ambiguità » di quei gruppi, ma aggiunge: « Non cerchiamo i colpevoli ideologici, certi fatti sarebbero capitati lo stesso con o senza la condanna ». Imperiale è più preciso: « La loro responsabilità consiste nel fatto che j per molto tempo non sono riusciti ad individuare il terreno fondamentale della lotta politica: la difesa della democrazia ». Ora si parla di delinquenza comune. Maccaluso incalza: a Guardiamoli tutti gli aspetti della criminalità e della violenza. Che spettacolo offre lo Stato con le sue degenerazioni, ì suoi scandali, i legami con la mafia, i ritardi dei processi? Non è violenza anche quella? ». Coccato afferma: « Se non c'è Pinochet è anche merito nostro ». Poi parla l'operaio Di Gioia, che dice: « Cerchiamo di fare le nostre analisi da onesti cittadini. Ma ciò che manca per capire di più e meglio è la scuola. E' quella che dovrebbe funzionare. E poi c'è anche la Costituzione che bisognerebbe attuare tutta». Vado dalla parte opposta della città, in via Richelmy, sede della sesta sezione de. Qui poco tempo fa gettarono « molotov ». Ci sono ancora i segni dell'incendio. Non è l'unica sezione de colpita. Tartara, il segretario, mostra una mappa della città. Là. nella sezione San Paolo, scagliarono per due volte bombe incendiarie, a Mirafiori Nord spararono, a Vanchiglia spararono, dopo ti furono i colpi nelle gambe di Puddu e Cocozzello. « E anche il pei — ricorda Tartara — ha avuto i suoi danni e i suoi feriti ». Tartara, circondato da una ventina d'iscritti parla con toni accorati. Ci sono alcune cause di fondo, dice, che o si eliminano o da questa crisi non si esce. Ricorda la decadenza dei valori morali, della famiglia, della scuola, della società in generale. Allora, dice, è necessario riscoprire qualcosa della nostra umanità, certi beni sepolti, come quell'«impegno alla tolleranza» di cui parlava don Mazzolari, e respingere ogni forma di violenza, anche la propaganda violenta. Tutti fanno Conni d'assenso. Interviene con forza Ardizzone: « Torino è colpita dal terrorismo perché è un "test" valido per il Paese: fu città cardine durante la Liberazione, dovrebbe esserlo, nei disegni dei terroristi, anche per la distruzione del sistema. Certo che alcune propagande danno i loro frutti. Sulla violenza, soprattutto gli extraparlamentari hanno fatto troppi "distinguo": il tal delitto non va bene, il talaltro sì. Adesso assistiamo alle retromarce, miserande e inutili. La semina è stata abbondante. Le Br, che molto probabilmente lavorano per la reazione, hanno trovato il terreno pronto ». Il tema della violenza è molto vasto. C'è anche chi coinvòlge il sindacato. Per esempio D'Annunzio, idraulico: « Non è violenza il picchettaggio? Non è una forma dì fascismo? E chi l'ha mai denunciato questo? ». Ardizzone: « Noi abbiamo un'esperienza dolorosa. La Cisl ha accolto a braccia aperte gli extraparlamentari con la loro carica di estremismo ideologico ed è stata svuotata del contenuto ideale di Pastore e trascinata su quelle posizioni che conosciamo. E poi ti si meraviglia che crescono ì sindacati autonomi ». Merlo, un bancario, torna sulla crisi dei valori tradizionali e chiama in causa anche la tumultuosa industrializzazione del Paese ini! ziatasi verso ta metà degli \ Anni 50. « La società agrico- la — dice — pur con i suoi difetti aveva una carica di vitalità. Il rapporto uomomacchina è diverso, freddo». L'impiegato Chiara parte anche lui di lontano, ma con prospettive diverse. Sostie¬ ne: « C'è stata per troppo tempo una critica sistematica dell' "istituzione" e il pei ha la sua parte di colpa. Ogni discorso sull'ordine e sulla difesa dell'"istituzione" è stato affrettatamente bollato come fascista. Adesso si corre al recupero ed è logico perché la salvaguardia dell'ordine e dell' "istituzione" costituisce il presupposto di ogni società civile. Ma è fatalmente una rincorsa affannosa». Aggiunge: «E' vero, non sempre quell'ordine e quell'istituzione hanno offerto immagini allettanti. Ma il potere logora e corrompe. Non per nulla una democrazia perfetta vuole l'alternanza. Ma quale alternanza era possibile da noi? Quella senza via di ritorno? ». Ardizzone: « Dopo tutto per 30 anni la libertà è stata difesa ». Ma Chiara aggiunge anche un'altra cosa, più immediata: è necessario dare senza indugi forma, significato, vita al quartiere. Le città sono ingovernabili? Il quartiere può costituire uno stimolo al recupero, alla partecipazione, alla responsabilità. Pur nella diversità, talora radicale, degli interventi, queste non sono anche parole ascoltate in via Orvieto? Torna alla fine di ogni discorso il tema del « volto umano » della città. Dove il vicino non ti sia estraneo, il quartiere dove abiti non ti si riveli ostile. Un volto da rimodellare. Con umiltà, ma anche con tenacia: con la consapevolezza dei propri limiti, ma con ostinazione. E con la coscienza che forse è l'unica àncora di salvezza. Clemente Granata Una manifestazione di metalmeccanici (Foto U. Lucas)

Luoghi citati: San Paolo, Torino