Neutralità della scienza

Neutralità della scienza Neutralità della scienza (La conoscenza non è né borghese né marxista) Batti c ribatti, ed il chiodo entrerà: a questo venerabile principio paiono ispirarsi i marxisti nostrani delle più varie confessioni, che da oltre un anno, con ostinata insistenza, continuano a mettere in discussione la neutralità della scienza, cioè la sua capacità di trascendere i contrasti ideologici e le scelte politiche. Il senso comune è convinto che solo la scienza offra agli uomini qualche risultato di valore intersoggettivo ed oggettivo. Ed è proprio questa convinzione che si vuole scacciare continuando a battere sul chiodo della non neutralità. Cominciò un gruppo di fisici marxisti (Ciccotti, Cini, De Maria, Jona-Lasinio), pubblicando nel 76, presso Feltrinelli, L'ape e l'architetto, un volumetto in cui si riprendevano e si sviluppavano, a proposito della scienza, alcuni slogans tipici della propaganda ideologica del '68. Ebbe allora un'indubbia efficacia nello scardinare la « serietà » degli studi il dire ed il ripetere che « chi decide della verità delle teorie scientifiche è il Pentagono », o il ridurre la presunta razionalità scientifica alla « logica irrazionale del capitalismo ». Una sapiente orchestrazione pubblicitaria, con dibattiti ed interviste su giornali e settimanali appropriati, fece sì che L'ape e l'architetto fosse per alcuni mesi un « caso » nella cultura nazionale. Si deploravano magari certe esagerazioni dei suoi autori, ma intanto si rinverdiva il dubbio che c'era qualcosa di fondato nella critica alla presunta neutralità scientifica. Non ci fu esponente piccolo o grosso della cultura marxista che non venisse in quel periodo invitato a dire la sua su questo tema, ancor oggi sfruttato da qualche intervistatore a corto d'argomenti. Quando le acque stavano placandosi, l'attualità del tema fu poi rinnovata dalla comparsa di altri libri. E' della primavera di quest'anno un volume di Bonfantini e Macciò (Ed. Mazzotta), con un titolo che è già di per sé un programma: La neutralità impossibile. Subito dopo, del resto, l'editore De Donato pubblicò Scienza al bivio, che contiene la traduzione degli interventi dei delegati sovietici al Congresso internazionale di Storia della Scienza e della Tecnologia tenuto a Londra nel 1931. La molla non è certo l'interesse erudito per quei delegati (tra cui Bucharin ed Hessen), dei quali molti scomparvero nelle purghe staliniane, bensì ancora la connessione con il problema della non neutralità della scienza e dei suoi rapporti con la società. Quelle vecchie pagine sono un richiamo ai sacri ed originari testi della contrapposizione tra scienza «borghese» e scienza «proletaria». Non bastava, tuttavia, il dibattito tramite la carta stampata. Per giungere a sradicare anche nelle masse la convinzione circa l'oggettività della scienza bisogna pure valersi della più popolare televisione. Chi ha assistito alle puntate della recente trasmissione «Uomini della scienza», organizzata da Lucio Lombardo Radice, ha potuto rendersi conto del modo in cui si è riusciti a sceneggiare l'idea di fondo: combattere la scienza, vista come espressione della società borghese, in nome dell'ideologia comunista, che renderà la scienza adeguata e non più mistificante. I mezzi di cui si è valso l'organizzatore sono spiaciuti a molti, tra cui Norberto Bobbio, che in una pubblica lettera a Paolo Grassi ha lamentato l'« inganno » tesogli nella sua veste di presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino: ma l'uso di tali mezzi prova, machiavellicamente, l'importanza del fine. In attesa della nuova imprevedibile mossa pubblicitaria dei fautori della non neutralità, è forse opportuno chiedersi quali sono le basi su cui poggia la loro tesi: non c'è, infatti, propaganda che non abbia qualche fondamento reale, sia pur travisato. Se per non neutralità della scienza si intendesse il carattere storico, alla pari di tutte le altre attività umane, anche dell'attività in cui consiste la ricerca scientifica, sarebbe difficile non riconoscere la fondatezza di tale tesi. Ma si potrebbe in tal caso, nondimeno, ancora obiettare che è equivoco parlare di non neutralità anziché semplicemente di storicità della scienza. E' infatti intrinseco al suo carattere storico che la ricerca scientifica risenta del condizionamento del potere politico ed economico. Ciò è avvenuto ed avviene sotto ogni forma di regime, ma è particolarmente percepibile oggi, quando i costi della ricerca di base ed applicata sono enormemente aumentati. Se Galileo, per studiare il moto naturalmente accelerato, poteva prepararsi da solo il piano inclinato, scavandovi un canaletto «drittissimo», in cui incollava « una carta pecora zannata e lustrata al possibile », dopo averlo « ben polito e liscio », il fisico odierno non è certo in grado di costruirsi a proprie spese un ciclotrone o un sincrotrone. E chi paga può utilizzare la ricerca verso i fini che preferisce e utilizzarne i risultati per scopi che esulano dalla scienza stessa e dipendono dalla scelta dei valori di fondo. Tale scelta è fondamentale per la vita dell'uomo: ma essa concerne l'uso e non i risultati conoscitivi della scienza. Quale che sia l'uso che si vuol fare di tali risultati, essi devono essere veri, perché altrimenti sarebbe impossibile servirsene utilmente. Non può dunque essere la dipendenza del ricercatore dal « potere » che fa perdere alla scienza la sua neutralità. Bisogna indagare altri aspetti della storicità di essa. Si è pensato che siano state la stessa storia della scienza e l'epistemologia, che ne tiene conto, ad aver messo in questi ultimi tempi in crisi il concetto di oggettività scientifica. Gli storici, nelle loro ricostruzioni, hanno infatti mostrato che anche le grandi figure della scienza non sono estranee all'ambiente ed alla cultura del loro tempo; men¬ tre gli epistemologi, da parte loro, hanno chiarito sempre più che le teorie scientifiche non sono ricavate solo induttivamente dai « fatti », ma risentono delle idee filosofiche, religiose e morali di un'epoca. Diventa facile per un marxista tradurre tutto ciò nella propria terminologia e fare della scienza una espressione ideologica, cioè soprastruttura di una struttura economica. Vi è chi fa dipendere direttamente il pensiero scientifico dalla pratica sociale e dalla lotta di classe; altri, con più raffinatezza, vede il rapporto mediato dalle ideologie filosofiche, sicché sarebbero queste a risentire della lotta delle classi e poi a riverberarla nelle teorie scientifiche. Ma, in ogni caso, è su questa presunta dipendenza radicale delle sovrastrutture dalla struttura che viene poggiata la negazione della neutralità della scienza. Ciò che è gratuito ed arbitrario, tuttavia, è proprio il salto dalla storicità alla non neutralità. Si prescinde di proposito da un altro insegnamento della moderna epistemologia, la quale ci fa vedere sì la connessione delle teorie scientifiche con l'intera trama del pensiero umano, ma pone anche in luce la distinzione che quelle teorie pretendono per sé sullo sfondo di tale trama. L'uomo in tutti i suoi ten- i fativi di conoscenza e sempre | spinto da un bisogno di veri-1 tà; ma i tentativi assumono il I carattere di scienza solo quando il bisogno viene soddisfatto attraverso controlli sperimentali rigorosi. Qui si radica l'oggettività della scienza come insieme di conoscenze che germinano nella storia, ma hanno un valore indipendente dai condizionamenti di essa sul ricercatore. Così non è scalfito il senso comune che ritiene la scienza o neutrale o fallita. Le conoscenze non sono né borghesi né proletarie, sebbene tali siano eventualmente i ricercatori o gli usi che si possono fare di esse. Che tutto ciò sia ovvio appare anche dal fatto non banale che i Paesi ove è fiorita la cosiddetta « scienza proletaria » hanno attinto a piene mani e con tutti i mezzi, in questo secondo dopoguerra, alla cosiddetta « scienza borghese ». I risultati, neutri, sono dunque interscambiabili. Perché, allora, il gusto dell'andare contro l'ovvio? Il dubbio malizioso è che l'insistenza dei marxisti sulla tesi della non neutralità della scienza sia una mossa difensiva contro le sempre più numerose critiche al marxismo di essere più un'utopia di impronta religioso-gnostica che una teoria scientifica. Sarebbe rasserenante, per i marxisti, poter pensare che non vi è da nessuna parte una scienza oggettiva nel momento in cui crolla la pretesa a scienza del u£ scientifico » Francesco Barone

Luoghi citati: Londra, Torino