Fantasia politica di Franco Lucentini

Fantasia politica L'AGENDA DI F. & L. Fantasia politica Il più antico testo di fantapolitica che ci sia capitato fra le mani è un romanzo inglese del 1932, Public Faces, di Harold Nicolson (Popular Library). In opere precedenti, di ^Vells, di Venie e dei loro numerosi imitatori, comparivano beninteso ministri, re, presidenti e altre figure dotate di poteri decisionali; ma sempre col minimo spessore individuale possibile e solo nei punti dove c'era bisogno della loro autorità per facilitare 0 complicare l'intreccio. Nel romanzo di Nicolson l'intreccio è invece secondario. Grazie a un minerale scoperto in un isolotto del Golfo Persico sotto protettorato britannico, l'Inghilterra si trova a poter costruire una flotta di aerorazzi che le darebbe il dominio assoluto dei del', nonché (la cosa era già nell'aria nel 1932) la bomba atomica. Ne nasce una gravissima crisi internazionale, i cui tragicomici sviluppi l'autore ci fa seguire (è questo che gl'interessa) da dietro le quinte. Harold Nicolson — marito di Vita Sackville-West, legato attraverso di lei a Virginia Woolf e agli altri del « gruppo di Bloomsbury » — era infatti diplomatico di carriera, e i suoi ritrattini di ministri, ambasciatori, uscieri, funzionari del Foreign Office e del Quai d'Orsay e altre « facce pubbliche » sono splendidamente e maliziosamente di prima mano. Il blando premier Furnivall è immaginario, ma tra i suoi ministri ci sono, ti agiscono, i « veri » Hore Belisha, Noel Baker, Aneurin Bevan; all'opposizione c'è un già leonino Winston Churchill; e sono Francois Poncet, Massigli, Léger, a tirare le fila, come nella realtà, della politica estera francese. Immettere in un contesto fitto di riferimenti autentici una trama di variabile plausibilità ma comunque inventata, è un procedimento analogo a quello che è alla base del romanzo storico. La differenza sta nel fatto che la fantapolitica utilizza, in luogo della storia passata, quella contemporanea, e Public Faces ne costituisce un esempio molto consapevole e sofisticato. Ma come mai, dal 1932, ci vollero trent'anni perché questo schema narrativo entrasse a vele spiegate nel circolo della letteratura popolare? Fra tutte quelle possibili si può tentare di scegliere una spiegazione ottimistica del lungo intervallo. Nel 1932 la grande crisi di Wall Street era tutt'altro che finita, di minacce all'orizzonte ce n'erano quante se ne volevano e una minoranza di veggenti non dormiva la notte pensando a ciò che poteva succedere, e che poi successe; tuttavia in Occidente la situazione del mondo doveva essere percepita come discretamente stabile, passabilmente assestata. La Società delle Nazioni sembrava bene o male funzionare, la Germania era pur sempre una repubblica democratica, la Russia sembrava ormai uscita dalle peggiori convulsioni rivoluzionarie, Mussolini stava tranquillo, l'Asia era lontana. Nicolson, che conosceva a fondo 1 retroscena della vita politica e diplomatica ad alto livello e non si faceva nessuna illusione sui reggitori dell'epoca, giudicò tuttavia che lo stato delle cose non fosse incompatibile con lo scherzo, l'esercizio della satira non gli sembrò frivolo, inattuale, addirittura colpevole rispetto ai tempi. Si può supporre che un anno dopo non avrebbe scritto lo stesso libro; che non avrebbe, anzi, scritto nessun libro. Dal 1933, con l'arrivo di Hitler al potere, la realtà cominciò ad acquistare una schiacciante superiorità sull'immaginazione, e nessuno scrittore ragionevole si mette a competere con la Storia quando questa è in vena d'avventure e colpi di scena. Il grande thriller andò avanti un capitolo dopo l'altro fino alla fine degli Anni Cinquanta, e solo quando fu chiaro che la guerra fredda non sarebbe diventata calda, c'ie la coesistenza non era uno slogan ma un obbligo, che il mondo s'era di nuovo più o meno assestato, solo allora riapparve la fantapolitica. Dopo il 1960, una serie di film e romanzi americani intensamente drammatici o saicastid misero in scena presidenti pazzi, corgiure di generali, rischi di olocausto nucleare evitati per miracolo, e altre agghiaccianti macchinazioni. Si disse che erano segni di profonda inquietudine, sintomi d'angoscia collettiva, ecc.; come se la prospettiva di una guerra vicinissima e totale, l'intima certezza dell'armageddon, potessero davvero spingere le folle verso questi trattenimenti di carattere tutto sommato ameno. A noi sembra che opere del genere avrebbero ben scarso successo se il pubblico fosse spaventato sul serio, e proprio per questo ci rallegriamo vedendo oggi la fantapolitica diffondersi nel nostro dissestato e nervoso paese. La variante italica è certo molto diversa, non ha le ironiche squisitezze di Nicolson né le forti tinte realistiche degli americani (e ciò per la semplice ragio- ne che l'Italia non è un paese con poteri internazionali di pace e di guerra; da Roma potrebbe verosimilmente partire una crisi fatale, ma al terzo capitolo la palla sarebbe già passata a Washington e Mosca). Da noi, lo sfruttamento della « materia prima » politica per usi fantastici prospera dunque sotto il segno generale del comico, con una gamma di prodotti che vanno da un apologo feroce come « Cadaveri eccellenti », al pamphlet di « Berlinguer e il professore », alle fantacronache spicciole che Stefano Reggiani viene scrivendo su queste colonne, alla impietosa mistificazione delle false lettere di Berlinguer (per le quali ringraziamo l'ignoto autore, che ce ne ha inviato una copia in una falsa busta Einaudi), a contaminazioni francamente umoristiche come « Elementare signor presidente » di Grimaldi e Tropea, e alla pura satira politica come « La tribù di Moro Seduto » di Stefano Benni. A proposito di questo genere di letteratura si usano spesso gli aggettivi « dissacrante », « irriverente », « iconoclastico » e simili. Ma ogni dissacrazione è tale solo la prima volta. Il primo pomodoro che abbatte il primo cilindro sul palco delle autorità, gode di tutti i vantaggi della sorpresa e dello scandalo; i lanciatori successivi devono ingegnarsi a variare, a migliorare una formula ormai priva di pericoli ma anche di clamorosa novità. E' in sostanza la formula adottata dai falegnami della cosiddetta « arte povera ». Si ritagliano figurine già bell'e fatte e colorate, e s'incollano in mille combinazioni e con gradevoli effetti sul pesante comò politico. «Elementare signor presidente» (edito da Mondadori) accosta spiritosamente due diversi ordini di figurine, capi di Stato e famosi deteclives, postulando che Breznev, Giscard d'Estaing, Leone, Pinochet, Castro, Arnin ecc., chiamino presso di sé, per risolvere misteriosi enigmi, Sherlock Holmes, Maigret, Poirot, Perry Mason e altri sommi dell'universo poliziesco. Va da sé che i di¬ versi casi e le relative soluzioni (maliziose, qualche volta maligne) sono in subordine rispetto alla trovata-madre. La maniera dei diversi autori, puntigliosamente parodiata, dà luogo a scintillanti contrasti: Perry Mason dispiega le sue cavillose procedure in uno stadio cubano gremito di barbudos e sotto la loquace presidenza del compagno Fidei; Maigret fuma sonnolento la pipa mentre Mitterrand, travestito da minatore, bacia la mano a Giscard, travestito da vedova; quando è ora di andare a tavola, Nero Wolfe mette implacabilmente alla porta Jimmy Carter; e così via. Sebbene il profilo di ogni uomo politico sia inequivocabile, e i suoi tratti e cliché distintivi vengano messi alla berlina, non c'è animosità personale in questi sberleffi. L'effetto generale finisce anzi per essere astratto, come se si trattasse di personaggi di una comica di Chaplin, il grassone, il poliziotto, il damerino, la balia, il cameriere. E ancora più netta è tale impressione di accelerata comicità in bianco e nero nel libro di Benni (Mondadori) che predilige due strumenti tradizionali dell'umorismo; la fulminea associazione d'idee e il gioco tra il significato letterale e quello metaforico di certe frasi o parole. Il cognome multiplo di una famiglia nobile, per esempio, viene cosi deformato in una parodia di cronaca mondana: « Vista la contessa Elvina Pallavicini Torlonia, e il cugino Falcone Pallavicini - Rospigliosi Torlonia - Cuccureddu - Scirea Ruspoli - Causio - Boncompagni - Ludovisi - Antognoni - Bettega ». Il cane di Angelo Rizzoli, che è stato addestrato ad andare a comprare il giornale, torna dal padrone recando in bocca varie testate di quotidiani di provincia e perfino il capocronista del « Giorno ». Benni tiene la sua rubrica su « il manifesto », giornale politico strettamente di sinistra, e spesso accusato di essere strettamente elitario. Ma queste estrose noticine che commentano via via la cronaca italiana non hanno niente di astruso, né la loro necessaria faziosità impedisce al più fiero conservatore di godersele, se non addirittura di vederle come un segno dell'egemonia culturale borghese, operante anche tra coloro che s'immaginano di non volerla più. In realtà, in quel complicatissimo sistema ecologico che è la cultura, dove felci fanatiche, muffe parassitarie, primule conformiste e spore ideologiche minacciano ad ogni istante l'equilibrio generale, l'umorismo politico ci appare oggi come un elemento sano, l'unico che si può introdurre nella mischia senza pericoli per nessuno. Coloro che lo praticano vanno incoraggiati e applauditi, poiché se smettessero di occuparsi con apparente frivolezza delie attuali « facce pubbliche », vorrebbe dire che il 1932 è scaduto e che un nuovo 1933 è alle porte. Carlo Frutterò Franco Lucentini Winston Churchill

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