Stato e Chiesa: la via polacca al compromesso

Stato e Chiesa: la via polacca al compromesso Stato e Chiesa: la via polacca al compromesso di Giovanni Spadolini Nell'aprile 1967, il capo dello Stato polacco, Ochab, si recò in visita in Italia. Lo ricordo nelle stanze del Quirinale, ospite del presidente Saragat: un volto aperto, una grande cordialità e bonomia, una sottolineatura ostentala, ed anche sincera, dei rapporti di amicizia con l'Italia, qualche richiamo, d'obbligo, alle comuni tradizioni risorgimentali dei due Paesi, soprattutto in chiave mazziniana e garibaldina. «Un solo argomento conviene non toccare con Ochab: il Vaticano, le relazioni col mondo cattolico». Era il suggerimento discreto, ma preciso, degli alti funzionari delia presidenza della Repubblica. Capo di uno Stato a grandissima maggioranza cattolica, Ochab non varcò le soglie dei palazzi apostolici, evitò ogni gesto che potesse suonare apertura o mano tesa verso il Vaticano. Pochi mesi prima, in Polonia, era stato ritirato il passaporto al primate, il cardinale Wyszynski; il primo ministro, Cyrankiewicz, aveva accusato pubblicamente la Chiesa di voler diventare uno Stato nello Stato; gli accenni ripetuti del Papa a recarsi in PoIonia, per le celebrazioni del millennio del santuario di Czestochowa, erano caduti nel nulla, neanche raccolti dall'orgoglioso governo della Polonia, ormai lontano dall'idillio del '56, dalla svolta liberalizzatrice di Comulka. Appena dieci anni dopo, il quadro è completamente cambiato. Il successore di Gomulka, il segretario del Partito operaio unificato polacco, Gierek, è stato ricevuto in Vaticano col protocollo dei capi di Stato; il colloquio ha superato, per ampiezza e calore, i limiti previsti dal protocollo; il tono dei due discorsi, quello del Pontefice non meno dell'indirizzo del leader comunista polacco, hanno confermato un disgelo che era in atto da anni ma che solo oggi riceve una consacrazione solenne e formale. Siamo alla vigilia di un Concordato fra Santa Sede e Polonia? La «via polacca», da tempo evocata anche nella polemica politica italiana, potrebbe adombrare un nuovo corso nelle relazioni fra potere religioso e poteri civili negli Stati dell'Est? Procediamo con ordine. La prospettiva concordataria non sembra imminente, né di facile realizzazione, nella Polonia comunista, travagliata da una crisi che ha messo a dura prova la stessa stabilità del regime di Gierek. Da anni si lavora piuttosto intorno alla elaborazione di un modus vivendi, di un accordo nei fatti prima ancora che nelle parole di un difficile protocollo definitivo. E' un capitolo iniziato nel '71, e pazientemente sviluppato fino ad oggi: capitolo che si potrebbe identificare con la linea Casaroli, con quella che è stata definita la Ostpolitik vaticana. Rimuovere i contrasti più grossi, disinnescare le micce più esplosive. Prima normalizzata, dopo anni di duri contrasti, la questione delle diocesi ex-tedesche nell'Oder-Neisse: accolte, pressoché integralmente, ma con la necessaria prudenza vaticana, le richieste inseparabili dell'orgoglio nazionale, circa la nomina di titolari polacchi. In cambio: restituita alla Chiesa cattolica, e alle altre Chiese, la proprietà dei beni ecclesiastici; varata la esenzione dalle imposte sui beni di culto. Intorno al '74, istituiti contatti permanenti di lavoro fra Vaticano e Repubblica polacca: una forma di relazioni diplomatiche di fatto, data la difficoltà, neanche superata nei colloqui di questi giorni, di realizzare uno scambio di regolari rappresentanze diplomatiche. Comincia quella che si potrebbe definire la via del «Concordato indiretto». Tutti i contatti necessari, ma all'ombra di una riservatezza discreta e quasi guardinga. Fine delle persecuzioni più aspre, che avevano caratterizzato il decennio precedente; ma senza rinunciare a talune pesanti «discriminazioni», che continuano a colpire i cattolici come tali nell'accesso alle alte cariche del partito o del governo, perfino nell'ingresso ai pubblici servizi. Mai ripristinato l'insegnamento religioso nelle scuole come, solo per un anno, fra il '56 e il '57, nel clima dell'armistizio Gomulka-Wyszynski, si era avviato; ottenuta soltanto l'apertura di migliaia di «punti catechistici» (una formula di ipocrisia) per consentire ai giovani polacchi di studiare la religione, ma fuori dalla scuola pubblica, all'ombra delle chiese e delle famiglie. Concessa qualche agevolazione alla stampa cattolica e diocesana, ma solo nei confini di un rigido apostolato religioso, senza sconfinamenti nella sfera civile (qualcosa di simile ai rapporti fra cattolici e fascismo, negli anni successivi al '31: le libertà indirette di cui il laicato cattolico godette, e fece uso crescente dopo il 1956). E' la via che ha portato all'incontro fra Paolo VI e Gierek, con l'omaggio, così inconsueto nella bocca di un esponente comunista polacco, di vecchia formazione ortodossa e quasi staliniana, alla «grandezza del Pontefice». Ma non senza passare attraverso un momento non meno significativo: l'incontro fra Gierek e il primate polacco, a fine ottobre, proprio alla vigilia della partenza del segretario comunista per il vertice di Mosca. Un incontro, in certo modo storico, perché per la prima volta il cardinale di Varsavia ha reso omaggio, nel comunicato congiunto, alle «esigenze della ragion di Stato polacca»: formula che adombra i futuri, e forse imminenti, sviluppi di un regime di convivenza quasi concordataria, anche senza i timbri o le etichette di un vero e proprio Concordato. Sotto questo profilo c'è un'obiettiva confluenza fra gli interessi del regime comunista e quelli della Chiesa polacca. Le gravi repressioni antioperaie del luglio '76 hanno messo in luce, per la gerarchia comunista di Varsavia, la necessità assoluta di disporre dell'appoggio operante della Chiesa polacca per contenere il malcontento e le inquietudini delle masse popolari pel acche, ancora legate al cattolicesimo come al solo titolo di identità della nazione, sopravvissuto u'traverso secoli di dispersioni e di frantumazioni territoriali e nazionali. L'aperto aiuto dell'episcopato polacco agli operai incarcerati, con accenti e toni di classico «socialismo cristiano», è stato sufficiente a indurre il regime di Gierek a più miti consigli, in tutta l'area, ancora vasta, delle questioni aperte nel contenzioso fra il regime e l'episcopato. Di qui una marcia di avvicinamento, che si è conclusa nel colloquio diretto col tradizionale e coraggioso antagonista del Giovanni Spadolini (Continua a pagina 2 in seconda colonna)

Luoghi citati: Italia, Mosca, Polonia, Varsavia, Vaticano