Il "business,, Usa spara su Carter di Fabio Galvano

Il "business,, Usa spara su Carter Sono giustificati i timori per il futuro dell'economia? Il "business,, Usa spara su Carter A un anno dal successo elettorale e a dieci mesi dal suo ingresso alla Casa Bianca, il presidente Carter rimane un enigma non solo per la comunità internazionale, sorpresa e talora confusa da certi atteggiamenti di Washington, ma soprattutto per il mondo degli affari americano, che in vari momenti ha visto Carter promettere e poi non mantenere, o addirittura contrastare apertamente alcuni programmi economici ad ampio raggio, o ancora dare l'impressione di prendere a cuore qualsiasi problema tranne quelli di economia interna. E la storia insegna che i problemi interni, più di quelli internazionali, sono stati in passato la fortuna o la rovina di numerosi presidenti. Un recente sondaggio svolto dal New York Times e dalla rete televisiva Cbs indica che l'approvazione di Carter e del suo lavoro da parte dell'elettorato americano è scesa dal 62 per cento di luglio al 55 per cento di fine ottobre. Altri sondaggi esprimono dati ancora più preoccupanti: la California Poli ha rivelato che soltanto il 29 per cento delle persone intervistate riteneva adeguata l'opera presidenziale di Carter; per la Harris Poli soltanto il 26 per cento era soddisfatto dell'operato economico del presidente (lo stesso sondaggio aveva espresso il 46 per cento in maggio). Inoltre il 54 per cento degli americani ritiene, secondo questo sondaggio, che gli Stati Uniti siano di fronte a una nuova recessione, contrariamente a quanto ritengono gli specialisti. Ma il dato più preoccupante è l'indice di Wall Street, che valutando in cifre gli umori del mercato azionario dà un ampio voto di sfiducia a Carter: dall'inizio dell'anno è sceso di quasi duecento punti, avvicinandosi alla «quota 800» che rappresenta psicologicamente il campanello d'allarme dell'economia americana. Sondaggi e indice di Borsa sembrano quindi dare ragione alle «cassandre» del mondo economico e imprenditoriale; eppure contrastano nettamente con i dati attuali dell'economia americana. Sebbene nelle ultime settimane taluni dei cosiddetti «indicatori economici», cioè proiezioni a breve e medio termine di alcuni settori-chiave, abbiano assunto un tono più dimesso, sebbene la riduzione della disoccupazione si sia arrestata, sebbene il tasso d'inflazione stia subendo una leggera spinta all'insù, i dieci mesi della presidenza Carter possono essere considerati buoni da un punto di vista economico. Di fatto, non si è arrestata la ripresa iniziatasi all'inizio del 1975. Quest'anno, secondo un'analisi del settimanale Time, il prodotto nazionale lordo dovrebbe aumentare del 5 per cento in termini reali, raggiungendo quindi un livello totale del 15 per cento dalla fase più acuta della recessione. Nello stesso periodo la disoccupazione è passata dal 9 al 7 per cento, l'inflazione è passata dal 12,2 per cento del 1974 al 4,2 per cento regi¬ sngufuzdlincMcr1anr1cdtratpd strato, su proiezione annuale, nel periodo luglio-settembre. C'è di più: il mercato all'ingrosso ha registrato in ottobre un vistoso balzo in avanti del fatturato, che lascia presagire un «boom» delle vendite natalizie. L'industria automobilistica, da sempre considerata attendibile «termometro» dell'industria in generale, è in netta espansione. Thomas Murphy e John Riccardo, presidenti della General Motors e della Chrysler, sono concordi nell'indicare per il periodo ottobre 1977-settembre 1978 la vendita di 15 milioni fra auto e veicoli industriali: un nuovo record, nettamente superiore ai 14 milioni registrati nel 1973, alla vigilia della grande crisi. Ma allora, viene spontaneo domandarsi, perché tanti timori, tanti incubi di nubi nere all'orizzonte? Seno sufficienti vaghe accuse a Carter, sovente da parte di personaggi di diversa fede politica, di essere «confuso» e di guidare un'amministrazione «senza timone» , o addirittura di essere «incompetente» ? Op-1 tpure quella di non avere mai ! leavuto una chiara politica ccono mica? E' sufficiente la battuta d'arresto nella riduzione dei disoccupati, l'aumento dello 0,8 per cento del costo della vita in ottobre, i freni applicati dalla Riserva Federale alla disponibilità di denaro (una misura che, a causa del previsto deficit commerciale di 30 miliardi di dollari — soprattutto a causa delle importazioni petrolifere — non è valsa a impedire un leggero cedimento del dollaro sui mercati valutari)? Ci troviamo di fronte a una crisi di fiducia più che alla condanna in termini obiettivi di una gestione? Sta di fatto che, secondo un'indagine svolta dalla McGraw-Hill, gli investimenti industriali previsti per l'anno prossimo sono, in termini reali (cioè tenendo in dovuto conto il tasso d'inflazione), di appena il 3 per cento, contro l'8 per cento di quest'anno e contro un incremento fra l'JB e il 10 per cento auspicato per il '78 dall'amministrazione Carter per garantire un aumento della produzione, ridurre la disoccupazione, mantenere il ritmo della ripresa. Si riscontra, fra molti, un senso d'abbandono da parte del governo. Molti temono una stasi produttiva nella seconda metà dell'anno prossimo, proprio quando cominceranno a farsi sentire le nuove tasse sull'ener- j già e sui servizi sociali, che Car-, ter ha in animo. La verità è, forse, che Carter ha programmi e idee, ma che questi sono contra-, ri a programmi e idee espressi dal mondo imprenditoriale e finanziario. 11 progiamma per l'e-l nergia, che lo ha addirittura indotto a rinunciare al suo «superviaggio» in Asia, Africa ed Europa per potere meglio affrontare la battaglia con il Congresso, è un esempio. E poi c'è la riforma fiscale di cui si parla da prima che Carter diventasse presidente, da quando era sol- vfcmmncpmplsmenltlmencg tanto uno dei tanti candidati a le elezioni j , , l In origine Carter intendeva varare un programma di sgravi fiscali per stimolare l'economia, compensandolo con l'inasprimento delle tasse sugli incrementi di capitale e l'eliminazione di certe deduzioni ora concesse (le «colazioni di lavoro», per esempio). L'opposizione del mondo degli affari sulle misure più restrittive è stata violenta, e lo stesso Congresso si è dimostrato restìo a varare una riforma fiscale proprio in anno di elezioni per il suo parziale rinnovo. Su quali misure ripiegherà al lora il presidente? Secondo l'autorevole Time, che osserva fra l'altro come Carter da oltre un mese non si occupi di problemi economici a parte quello dell'energia, il presidente sarà forse costretto a sdoppiare il suo prò gramma. In un primo tempo, l'anno prossimo, annuncerà probabilmente una riduzione fiscale ma anche l'eliminazione delle deduzioni per le tasse sui prodotti petroliferi, per bilanciare l'effetto delle nuove imposte energetiche e per i servizi sociali. Poi, nel '79, potrebbe tentare di ottenere l'approvazione delle misure che danno maggiormente fastidio ai «boss» della finanza. Il mondo degli affari vorrebbe soprattutto che Carter affrontasse e debellasse il pericolo dell'inflazione. Su questo punto il presidente americano ha forse sbagliato tattica urtandosi con il presidente della Riserva Federale, Arthur Burns, riconosciuto «campione» della lotta contro l'inflazione. A gennaio scade il mandato di Burns, e spetta a Carter confermarlo in carica o nominare un suo successore. Da quella decisione, probabilmente, dipenderanno i nuovi umori del business americano alle prese con un presidente così poco «accomodante». Fabio Galvano Il presidente Carter

Persone citate: Arthur Burns, Burns, Harris Poli, John Riccardo, Thomas Murphy

Luoghi citati: Africa, Asia, California, Europa, Stati Uniti, Usa, Washington