Come amava la vita con curiosità e ironia

Come amava la vita con curiosità e ironia Come amava la vita con curiosità e ironia di Giovanni Arpino , u a e : i o i i o i. rno abe aoia ni oo o oe oa. o, ri¬ Una vertigine disperata ci assale, una voragine nullificante ci risucchia: ma sento che bisogna guardare in volto Carlo Casalegno, quel volto che prima di venire spappolato da quattro pallottole omicide era ilare, sapiente, disegnato secondo i sorrisi, le occhiate, le ritrosie che solo rari gentiluomini sanno esprimere. Ogni giorno, per dieci anni, ho colloquiato un'ora o mezz'ora con quel volto, nel suo studio a La Stampa. Parlando di tutto: di politica c di romanzi, di un museo marinaio olandese c dei ragazzi d'oggi, del suo prediletto Salgari c della rubrica « 11 nostro Stato », che talvolta mi faceva leggere per trovare, insieme, il titolo più incisivo. E' quel volto, quel volto, quel volto, è quel sorriso di alta ironia, tolleranza, comprensione, che non dimenticheremo. Oltre alle pagine scritte, alla dirittura morale, al dovere inteso come impegno quotidiano totale, resta la figura di Carlo, il professore. Fumavamo insieme, tra una telefonata e l'altra, cercando di aiutarci a capire come e dove si annoda questa vita, e perché. Due giorni prima d'essere ferito a morte, mi aveva ammonito: hai percezioni delle Crisi degli uomini, devi scrivere di più c di questo. E a una domanda sua, sempre pertinente, avevo cercato di spiegargli (ma lui capiva «prima»): troppi stanno gustando il boccone velenoso della congiura, è una tentazione animale eterna, ed è un gioco che prolunga l'infanzia, che viene giocato per allontanare gli esami imposti dalla maturità. Aveva assentito, con dolore: perché lui proprio maturità pretendeva in lutti. Amava qualsiasi luogo, qualsiasi libro, un angolo rivisto o sconosciuto, una spiaggia anche orribile. Si divertiva a scoprire piccole cose, onorava le virtù civili alla pari dei minuti tratti d'educazione. Sapeva giudicare un uomo da come beve il caffè, sapeva ricomporre le incrinature dei grandi problemi con acume. Ed improvvisamente era in grado di ribaltare il discorso, accennando alla mossa d'una attrice, alla corsa di un calciatore. La infinita vena dell'ironia piemontese — che si obbliga a scherzare su se stessa prima ancora che sugli altri — scaturiva da lui con affetto e scintille. Amava la vita, tutta la vita, in ogni forma. E non temeva la morte. Se ne accennava sovente, tra noi, e l'idea della morte usciva dalle sue parole in toni da antico latino. Il dolore, la tortura fisica, la deturpazione, 10 strazio di ossa e muscoli e vertebre, questo temeva: e ha dovuto attraversarlo. Credeva nelle istituzioni e nel dovere-diritto di difenderle: ma le sue (le nostre) istituzioni, non gli apparivano come una struttura astratta, bensì come i muri casalinghi, qua deve funzionare 11 lavandino, là deve rispondere un certo pulsante. Mai manicheo, mai fanatico (parola aberrante, per lui), mai disponibile all'ira, versava gocce di ragione ovunque e su ogni argomento. Scrivemmo insieme — nello stesso giorno, nelle stesse ore — due articoli per la scomparsa di Marziano Bernardi. Ce li leggemmo a vicenda e quando io gli dissi: regalami la tua copia vergata a mano, se non ti spiace, ci tengo; lui restò sconcertato dietro l'eterna sigaretta poi mi mandò un bigliettino commosso, stupito, sapendomi così alieno da certi gesti. Amava le storie di alcuni papi, di alcuni imperatori. Conosceva i periodi paragonabili al nostro, anche in piccole, micidiali, esemplari sfumature. E la sua passione per la storia nu¬ tradcmgpinQntpscmlsSzrfipatdttsrtslrdsuvcmz triva ogni dialogo: ovunque e andato, dalla Carinzia a Roma, dalla Camarguc ad Amsterdam, cercava le stimmate, gli insegnamenti della storia. Ogni museo gli era familiare come una propria casa. Teneva sigarette ammucchiate in un vano della sua scrivania. Quando lo coglievano emicranie atroci, era pronto a iniettarsi un farmaco, prima a casa poi al giornale: il medico dice solo una volta al giorno — mi confidava con un sorriso in quei momenti così tirato — ma per lavorare devo disobbedirgli. E scendeva nell'infermeria de La Stampa con la scatola delle iniezioni. Subito dopo gli toccava rispondere a mille e una telefonata, frivola o importuna o importante, e sempre trovava la parola giusta, talora calcando un accento piemontese per puri motivi di scherzo, di voluto « cedimento » nei confronti dell'interlocutore. Allontanava il lato drammatico: per questioni di stile, di sapienza umana, di intima e ferrigna fedeltà — ancora una volta — alla storia. Crear drammi, sottolineare traumi — personali, sociali, ideologici — gli pareva un errore, politico oltreché di gusto. La ricerca della misura era tutto, e lo sforzo verso un equilibrio: per questo ha dovuto andarsene da un mondo che e smisurato nella sua disumanità. Lo rivedo mentre scherza con Dedy che sta allineando fossili su uno scadale del suo salotto. Dedy gli risponde fingendo impertinenza, Carlo le offre l'occasione d'una successiva battuta fingendo ulteriore ignoranza per quelle pietre. Era un uomo che in ogni atto della sua vita ha onorato l'idea stessa dell'amicizia, dell'alleanza tra onesti. Muore perché ha « servito », una parola superbamente cara al suo Voltaire. Tutti noi abbiamo sperato per giorni e giorni: anche di commentare, con lui, la raccolta delle pagine dei giornali che avevano raccontato la bestiale aggressione. Chissà cosa avrebbe detto, tra ritegno e ironie fulminanti, Carlo Casalegno, leggendole. Ed invece: il Nulla, l'addio, la consapevolezza che deve, deve, deve farci asciugare ogni lacrima. L'esempio, il « servizio » di Carlo Casalegno continuano in noi. Questo solo oggi possiamo dirgli-

Persone citate: Carlo Casalegno, Giovanni Arpino, Marziano Bernardi, Salgari

Luoghi citati: Amsterdam, Roma