Il processo di Catanzaro di Guido Guidi

Il processo di Catanzaro Il processo di Catanzaro (Segue dalla 1* pagina) di studi giuridici, Miceli si arruolò nei bersaglieri ed andò in Africa orientale. Non sono stati mai amici, ma neanche nemici. «Ci siamo incontrati a Roma — dice Miceli — soltanto qualche volta. Ma è inutile adesso che cerchi di mettere in dubbio la mia attendibilità insinuando che io abbia cercato di indurre alcuni ufficiali a dire il falso: sono giochetti da ragazzo che non servono a nulla. Chissà che cosa gli è stato promesso...... Poi, in grande fretta, è tornato a Roma: al di là di ogni apparenza, sono giorni duri anche per lui. Quattro giorni di pausa, dunque. Non tutti erano d'accordo, in verità: il pubblico ministero, per esempio, il quale voleva che si andasse avanti subito; i difensori di Valpreda (non in aula perché in questo processo, ovviamente, non hanno alcun ruolo) anche. Gli avvocati Calvi, Tarsitano e Nadia Alecci hanno avuto parole severe per la concessione fatta dalla Corte ai nuovi difensori di Malizia: «Il rinvio è senza giustificazione. Nel nostro Paese quando viene giudicato un generale gli si trova sempre un ospedale dove ricoverarlo e gli si concedono facoltà che la legge non consente. E' necessario, comunque, che siano accertate subito le responsabilità anche politiche sulla "copertura" offerta a Giannettini e sulla strategia della tensione». Questo accertamento, purtroppo, non sembra facile: sono venticinque udienze (dalla metà di settembre) che i giudici stanno procedendo nella indagine e sinora non hanno raccolto che sospetti seppure gravi. Il generale Malizia, forse, sembrava in possesso della chiave per arrivare alla verità: ma s'è chiuso in una versione che blocca ogni strada, anche a costo di pagare il silenzio con una condanna. Per comprendere il problema è necessario tornare indietro a due concetti espressi dai magistrati calabresi in istruttoria: 1) «E' da escludere che Giannettini abbia tenuto gli ambienti politici e non politici con i quali era in contatto all'oscuro dei suoi rapporti con gli esponenti della cellula eversiva veneta» e cioè Freda e Ventura; 2) «Giannettini non si sarebbe avventurato in una impresa se non avesse avuto la consapevolezza che vi erano forze complici pronte a canalizzare nel senso da lui auspicato le reazioni della opinione pubblica alla tragica catena di attentati ». Giannettini, cioè, sarebbe — secondo la tesi dell'accusa — il perno di tutto: fu inserito da «qualcuno» nel gruppo di Freda e Ventura per realizzare quella «strategia della tensione» che culminò poi dopo gli attentati ai treni nella strage di piazza Fontana. La prova? Questa non esiste: ma esiste il sospetto determinato, si dice, dalla iniziativa assunta dal Sid di proteggere Giannettini prima aiutandolo a fuggire in Francia, poi a negare qualsiasi notizia su di lui quando il giudice istruttore di Milano si rivolse al Sid, infine a proteggerlo ancora quando venne incriminato per la strage. Il servizio segreto, e per lui il generale Miceli, assicura che il rifiuto opposto con il pretesto del segreto militare alle richieste del magistrato fu deciso a palazzo Barachini, ma avallato dal ministro della Difesa e dal presidente del Consiglio. Miceli aggiunge: «Ho avvertito l'ammiraglio Henke, capo di stato maggiore della Difesa, che ha approvato la decisione con una sua sigla sulla bozza della risposta data al magistrato. Ho avvertito Tanassi, ministro della Difesa, ed ho annotato questo suo avallo sulla stessa bozza. Ho saputo dal generale Malizia, consulente giuridico del ministero della Difesa, che anche il presidente del Consiglio era d'accordo nel rifiutare qualsiasi notizia su Giannettini» . Gli uomini politici (Andreotti, Tanassi e Rumor) negano invece di avere mai saputo qualcosa sull'argomento. Andreotti sostiene di avere subito rivelato che Giannettini era un agente del Sid quando ne fu a conoscenza e cioè nel giugno 1974; Rumor giura di essere stato sempre all'oscuro di tutto; Tanassi assicura che non ha mai parlato dell'argomento con il generale Miceli. Questo contrasto (i militari, da una parte e cioè Miceli, Maletti, Alemanno, Terzani, Castaldo ed Henke; i politici, dall'altra, e cioè Rumor e Tanassi ai quali si aggiungono il generale Malizia e l'attuale capo del Sid, ammiraglio Casardi per cui il Servizio segreto, e cioè Miceli, non aveva alcuna necessità di avere l'avallo del potere politico per dare la «copertura» a Giannettini), questo contrasto, dicevamo, invece di diminuire aumenta i sospetti che tutti cerchino di nascondere un terribile segreto. La Corte, in sostanza, intende avere una risposta a questi interrogativi: 1) sapere se anche i politici sono coinvolti in questa storia; 2) una volta accertata eventualmente la estraneità dei politici, per quale motivo i militari cercano di dimostrare che nel dare una copertura a Giannettini ebbero l'avallo dei ministri. Non sono interrogativi da poco ed è per questo che da oltre due mesi, la Corte è ferma sull'argomento. Guido Guidi ndMasumdsnn

Luoghi citati: Catanzaro, Francia, Milano, Roma