Chi fece rapire De Martino

Chi fece rapire De Martino I GREGARI IN GIUDIZIO, I CAPI RESTANO IGNOTI Chi fece rapire De Martino Dietro la delinquenza comune, uno sterminato retroterra di collusioni tra potere economico e politico Nel famoso processo Cuocolo che si celebrò a Napoli nel 1903, la malavita napoletana fu a suo modo soggetto di storia, nel senso che essa venne messa tutta alla sbarra e riconosciuta interamente colpevole: colpevoli i capi, colpevoli i gregari. Nel processo contro i rapitori di Guido De Martino che comincia oggi, la malavita napoletana è invece oggetto di non-storia, nel senso che i sedici personaggi che compariranno nella decima sezione penale del Tribunale non sono che una misera controfigura della nuova malavita o camorra di Napoli. Nel processo Cuocolo, comparve in Tribunale tutta l'alta camorra. Paradossalmente, sembrava essa l'Accusa, e i giudici gli accusati. Dietro le sbarre, i Grandi Capi posavano alteri e sprezzanti. Nel processo contro i rapitori di De Martino, grandi capi non ce ne sono. E comprimari nemmeno. Soltanto insignificanti, smarrite comparse. Assurde ipotesi I Grandi Capi stanno altrove, se ne ignorano i nomi. S'ignorano anche i loro «luoghi» sociali. Pure, essi appartengono o alla mappa politica o alla mappa della delinquenza comune. Ma vi è anche chi pensa a un unico « luogo », in cui l'una e l'altra si sarebbero felicemente, o malamente, incontrate. E con esiti assai grossolani. Lo stesso «mistero», o «giallo», che circonda ancora l'intera vicenda, e su cui forse non sarà mai possibile far luce completa, ha colori « sporchi », come vengono chiamati in pittura quei colori che, anziché illuminare la tela, volutamente la spengono. Guido De Martino, giocane professore di filosofia e segretario provinciale del psi, viene rapito la sera del 5 aprile scorso, un po' pri¬ ma della mezzanotte, dopo aver partecipato a una riunione di quadri in vista del congresso provinciale del suo partito. Ventiquattr'ore prima, ha consegnato a Matteo Cosenza, direttore del quindicinale La voce della Campania, un editoriale sul clima di violenze e provocazioni che Napoli sta vivendo. In quell'articolo, De Martino scrive fra l'altro: « E' ovvio affermare che questi fenomeni non sono destinati a esaurirsi ma ad espandersi, e -a creare altri turbamenti e sconvolgimenti e nuovi problemi ai partiti, ai sindacati, alle amministrazioni ». Parole che hanno quasi il sapore di un drammatico presentimento. Il rapimento è avvenuto sotto la casa della famiglia De Martino, in via Aniello Falcone. E' una palazzina di stile umbertino; Guido abita al primo piano, suo padre al terzo. La vicinanza non è casuale, la loro è una famiglia assai unita. Francesco De Martino è un padre apprensivo. Quando uno dei suoi cinque figli si trova all'estero, è capace di telefonargli anche due volte al giorno. Una famiglia tradizionale; del resto, il padre è di Somma Vesuviana, un paese di forte cultura contadina. « Mi dispiace che abbiano preso Guido e non me », egli ha detto subito dopo il rapimento. Fra pochi giorni, verrà «sospettato» anche lui. Chissà che non sia proprio Francesco De Martino l'ideatore del rapimento. E perché? Ma perché aspira a diventare presidente della Repubblica, e gli potrà essere utile il clij ma emotivo che l'episodio ha creato. Una voce fra le tante. Affiora sempre, da certi strati — i più depressi — dell'opinione pubblica, una strana demenzialità o paranoica propensione a quei colori « sporchi », cui si accennava pocanzi. L'immaginazione sociolo¬ gica, o sociale, diviene immaginazione deviata, assonnato sortilegio della ragione. A Napoli, può succedere. E in modo più rovente che altrove. Forse perché qui la storia, il verum factum, è stata sempre non-storia. E la fantasìa, frenetica fantasticheria. Così può anche succedere che i quattordici milioni che, assieme ai libri, costituiscono tutta la « ricchezza » messa su da Francesco De Martino in tanti anni di lavoro, diventino trenta miliardi, e depositati per giunta in non si sa bene quale banca svizzera. Ma la banda raccogliticcia non stenta a crederci. Anche perché la « Napoli milionaria » di Eduardo, in questi ultimi tempi è diventata una Napoli miliardaria. Ma non per tutti, soltanto per i grandi ladri impuniti della speculazione edilizia, per i loro protettori politici, per i campioni del sottogoverno e del clientelismo, per la mafia politica, per i grossi usurai che coprono i traffici dell'usura con i prestanomi degli istituti di credito e con varie camuffature aziendali. Subito dopo il rapimento di Guido, le indagini. Due giorni dopo, il 7, sembra confermata la radice politica del colpo. I Nap: « Siamo stati noi ». Centinaia di telefonate di sciacalli e mitomani. Assieme alla pista rossa, sì segue anche la nera. Quattro ore di sciopero generale, e vertici di inquirenti. In prefettura, i più alti magistrati, il capo dell'antiterro- rismo Santillo, il generale dei carabinieri De Sena, il questore Colombo, fratello dell'on. Emilio. Bettino Craxi si chiede: « Quale disegno si nasconde dietro questo sequestro? ». Nenni sviene sulla soglia di casa De Martino, sarà necessario un massaggio cardiaco per rianimarlo. Dice: «Ho l'impressione che il metodo che fino a oggi riguardava i miliardari, si stia ora spostando verso i politici per realizzare uno scambio di ostaggi ». Nenni parla piano, affaticato. Lunghi anni di lotte e dolori hanno segnato questo viso straordinario. Diceva Thomas Mann che la faccia degli italiani rivela, di solito, una totale mancanza di coscienza. Forse non aveva mai visto il viso di Nenni. Uno dei pochi italiani, Nenni, a essere una «persona». Mai personaggio. Al giornalisti che gli chiedono come ha trovato Francesco De Martino, risponde: « L'ho trovato come si può trovare un padre in queste circostanze ». Giungono le prime richieste per Guido, ma nessuna è attendibile. Dopo i Nap. « Ordine nero ». Il capo dell'antiterrorismo Santillo: « I terroristi potrebbero anche non chiedere una contropartita ma accontentarsi di tutto questo clamore ». Gli inquirenti propendono per i Nap, ma qualcuno nutre dubbi sulla matrice politica dei rapitori. A Roma, intanto, esplode una bomba contro lo studio di Cossiga; a Karlsruhe, viene uccìso a raffiche di mitra il procuratore generale Buback. In Italia, niente più telefonate; silenzio da parte dei rapitori di Guido; gli inquirenti ammettono di non aver più alcun elemento concreto su cui lavorare. « La prima mossa deve venire da loro», dice Santillo. Il 9 aprile, giunge un messaggio: otto terroristi in cambio di De Martino, autorizzazione all'atterraggio a Linate, per il giorno 20, di un aereo per i terroristi detenuti, distribuzioni di viveri per cinque miliardi a Milano, Bologna, Napoli, Messina, Cagliari, e, infine, il rilascio di Guido due giorni dopo. A Napoli, « cordone di sicurezza ». Ma, subito dopo il Diktat, Nap e Brigate rosse smentiscono, le indagini sono ancora al punto dì partenza, l'incertezza per Guido si fa angosciosa. Ora gli inquirenti chiedono «prove, non messaggi»; res, non verba. Ma il silenzio continua. Viene chiesto l'allentamento della vigilanza, per favorire i contatti con i rapitori, intanto si susseguono « riunioni febbrili», mentre Craxi vola con un aereo militare da Milano a Roma a Napoli, s'incontra con Cossiga, dialoga con gli inquirenti. Nel momento in cui il governo si dichiara favorevole alla « lira pesante », giunge finalmente una richiesta ì cinque miliardi per il ricatto di Guido. I socialisti ono pronti a tassarsi, ma i amiliari di Guido, magistrai e funzionari di polizia afermano che si tratta di un also allarme. Il giorno 13, si parla di rattative in corso tra la famiglia di Guido e i rapitori. Antonino De Martino, il fraello gemello di Guido, ammette improvvisamente che a telefonata con la richiesta dei cinque miliardi è davveo arrivata, ma in casa di mici. « Però, soggiunge, non stata data alcuna prova, orse si tratta dei soliti sciaalli ». Di lì a poco, gli inquireni confermano che la telefoata dei cinque miliardi c'è tata: « Ma il momento è difficile», espongono. Si ricade nel buio, la sola cosa certa è che il governo ha conceso un prestito di 150 miliardi alla città di Napoli. A dieci giorni dal sequestro, Francesco De Martino dichiara che il contatto con i rapitori c'è stato. « Se sfuma anche questo ricatto, dicono gli inquirenti, siamo al punto di partenza ». Poi con rapido intuito: « E' una situazione difficilissima ». Aldo Moro arriva in visita a casa dell'on. De Martino, a Roma si parla di un compromesso politico per la Montedison, a Castellammare di Stabia le elezioni amministrative registrano un aumento per la de e una flessione del pei, da Napoli partono in quindicimila per ncoraggiare la squadra di calcio che corre a Bruxelles per battere l'Anderlecht ma viene eliminata dalla Coppa delle Coppe, a Roma viene rapita la nipotina del capo della Criminalpol. Ostaggio svenduto A Torino assassinano il presidente degli avvocati, a Roma rapiscono il preside di Giurisprudenza, salta il processo ai brigatisti. Montale e Sciascia invocano il diritto alla paura, Amendola il dovere del coraggio, e finalmente dopo quaranta giorni di prigionia Guido viene rilasciato all'improvviso a pochi chilometri da Napoli, nei pressi di Casoria. Il riscatto è costato un miliardo. E tutti confermano che il sequestro è d'indubbia matrice politica. Nello scorso ottobre, in una zona dell'Alta Irpinia viene scoperto un cascinale dove per lunghissimi quaranta giorni Guido è stato rinchiuso. Il padrone del cascinale si chiama Angelo Di Vino: è il primo nome della lunga catena, che aggancia altri quindici imputati. Fra loro, un ex sindacalista, espulso dalla Cgil, Vincenzo Tene, che si è sempre mosso, con ambigua agilità, negli ambienti del porto. Egli si autodenuncia al procuratore Lancuba: conferma la natura politica del rapimento, fa i nomi di alti personaggi, confessa di aver fatto da tramite fra costoro e gli esecutori materiali del sequestro, ha sedotto questi ultimi con la prospettiva di poter mettere le mani su una cifra di trenta miliardi depositati dalla famiglia De Martino in una banca svizzera; chiede infine di essere imprigionato e protetto nel carcere di Poggioreale. Anche il professor Tammaro Di Martino, egli rivela, è stato ucciso nel luglio scorso. Come, uccìso? Ma se il professore Tammaro, vicesindaco di Boscoreale, dirigente provinciale della de, è morto di meningite. No, eliminato, ribatte Vincenzo Tene: era stato uno dei mandanti del rapimento. Si attendono ora i risultati dell'autopsia eseguita sulle spoglie del defunto professore. I personaggi che compariranno nella decima sezione penale del Tribunale di Napoli sono, come già detto, banda raccogliticcia, manovalanza di scarto, sottoproletariato della malavita. Quando andarono a riciclare il miliardo del riscatto, ne ebbero soltanto il quaranta per cento. Invece le bande organiche non « svendono » il frutto delle loro rapine. I rapitori di Guido De Martino lo hanno « svenduto », da infimi e sprovveduti braccianti, perché non li ha assistiti la Grande Mente che voleva la distruzione politica di Francesco De Martino, sollevando uno di quei polveroni in cui tutto può perdere credito e onore. Almeno così pensava, la Grande Mente: che si celerebbe — viva la fantapolitica — all'interno dello stesso psi. Ora, se i sedici imputati saranno processati per direttissima, assai lunga al contrario sarà l'inchiesta per arrivare fino alla Mente. E sarà come camminare attraverso intricati sotterranei e cunicoli, verso uno sterminato retroterra d'implicazioni politiche, di oscure collusioni fra potere politico e potere economico. Un viaggio senza fine, fra quei colori «sporchi» che volutamente spengono la tela, anziché illuminarla. Luigi Compagnone L,fd