Sì all'espansione ma ben guidata di Mario Deaglio

Sì all'espansione ma ben guidata Sì all'espansione ma ben guidata Attorno al bilancio di previsione dello Stato per il 1978, e in preparazione del «vertice economico» di sabato si sta compiendo un grande e sotterraneo lavorio di calcoli e di cifre. Le indiscrezioni che emergono all'esterno danno l'impressione che ci auguriamo errata, di un'enorme confusione. Come una fisarmonica, il deficit previsto per il settore pubblico si allunga o si accorcia di migliaia di miliardi a seconda dell'interlocutore del momento; circolano voci diverse e spesso contraddittorie circa nuove imposte, la riforma delle pensioni, modifiche nel campo della sanità, aumenti di tariffe pubbliche. In realtà, il margine di manovra della politica economica italiana è in questo momento condizionato dal saldo di due grandi conti nazionali. Il primo è il conto delle entrate e delle spese dell'amministrazione pubblica, tradizionalmente in deficit. Questo deficit non si può comprimere al disotto di certi limiti senza rischiare una grande «crisi di rigetto» sociale. Non si può parlare troppo disinvoltamente di aumento delle entrate fiscali e tariffarie senza prendere in considerazione l'eventualità del rifiuto degli italiani di pagare, mediante evasioni fiscali e «autoriduzioni» di tariffe; né si possono programmare riduzioni troppo sensibili delle spese senza contemplare la possibilità di agitazioni di vario tipo da parte dei milioni di italiani che in un modo o nell'altro di tali spese beneficiano. Ogni miglioramento del saldo dei conti pubblici implica un maggior grado di austerità e probabilmente un aumento della tensione sociale. Il secondo conto è la bilancia dei pagamenti. Non è possibile andare impunemente in deficit con l'estero, perché l'estero, con grande rapidità, è in grado di rendere difficili o addirittura di bloccare gli acquisti di prodotti e materie prime indispensabili facendo cadere il valore della lira. L'anno passato entrambi questi conti erano in forte passivo, e, dovendo per forza dar la precedenza al risanamento dei conti con l'estero, fummo costretti ad un ddccdgmrpss e o . i r n duro contenimento del deficit dell'amministrazione pubblica, oltre che del credito all'economia. Gli italiani obbedientemente pagarono maggiori imposte, accettarono aumenti tariffari, nonché una riduzione dei meccanismi protettivi dei loro salari. Questo portò con sé una «frenata» che sta mostrando in questi mesi tutte le sue conseguenze: si sono verificati, nel giro di poco più di sei mesi, un miglioramento insperato nei conti con l'estero, anche se la loro struttura rimane fragile, ed un rallentamento superiore alle previsioni nella produzione all'interno, che è all'origine di un deterioramento del clima sociale. Dunque, invece di due deficit ne abbiamo ora uno solo. Il problema quantitativo della politica economica consiste ora nell'individuare il livello del deficit pubblico che può essere raggiunto nel 1978 senza che i conti con l'estero finiscano in rosso. E' difficile, a questo proposito, indicare delle cifre. Si può ritenere, però che, grazie anche agli sviluppi valutari degli ultimi mesi, (ed a condizioni internazionali che, in questo momento, non favoriscono il deflusso dall'Italia di capitali speculativi), il «tetto» di diciannovemila miliardi di lire di deficit pubblico, concordato a suo tempo con il Fondo Monetario Internazionale, possa essere superato, anche sensibilmente, senza grandi pregiudizi per la li ra. Il problema, però, non è solo quantitativo. Non è sufficiente sollevare il «tetto» del disavanzo. Ripetute esperienze passate insegnano che dare una semplice licenza di spesa all'amministrazione pubblica mette, sì, in giro risorse monetarie, ma genera più inflazione che sviluppo. Occorre invece immettere queste risorse in punti particolari del sistema, un po' come, per far scorrere un meccanismo, occorre oliarne le giunture. Le «giunture» da oliare sono state ripetutamente indicate in questi anni dagli economisti. Si chiamano edilizia, agricoltura, riconversioni industriali. Certo più ancora che sulla quantità della spesa pubblica è quindi sulla sua pszotps qualità che andrà misurato il bilancio dello Stato; e un discorso qualitativo implica un minimo di scelte, di strategie, di programmazione. Il metro con cui valutare le misure che il governo si appresta a varare non è quindi solo quello della loro coerenza contabile, ma quello della coerenza economica. A questo proposito occorre osservare che il rallentamento produttivo superiore al previsto e la situazione valutaria migliore del previsto impongono comunque di ridiscutere la linea governativa di uno sviluppo limitato al 3 per cento nel 1978 a causa dei vincoli esterni. L'attenuazione di questi vincoli, e il contemporaneo acuirsi di tensioni sociali, autorizzano il governo e, al tempo stesso, gli impongono, di spingersi, sia pure cautamente, al di là di quel limite, ma di farlo, in maniera ordinata e metodica, con un preciso «ruolino di marcia». Dal vertice economico il Paese si attende proprio questo: la dimostrazione che l'azione del governo è guidata da una strategia e non si limita ad un affannoso «tappabuchi» dell'ultima ora per fare, a qualsiasi costo, quadrare i conti. Mario Deaglio

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