"Il Selvaggio,, a Torino di Mino Maccari

"Il Selvaggio,, a Torino OGGI MINO MACCARI COMPIE 79 ANNI "Il Selvaggio,, a Torino Mino Maccari oggi compie 79 anni. A lui e agli anni torinesi del Selvaggio dedichiamo questo articolo di Italo Cremona. E' tempo di consuntivi culturali approfonditi, attente ricognizioni hanno illuminato aspetti negletti od oscuri della nostra città « tra le due guerre », a grandi linee certe verità si sono consolidate e qualche leggenda è stata ridimensionata. Resta tuttavia da colmare una breve lacuna: quella relativa alla dimora che II Selvaggio, periodico diretto da Mino Maccari, prese a Torino negli anni '30'31, alle adesioni che guadagnò, al significato che ehbe. E' doveroso che uno dei pochi sopravvissuti di quel momento ne parli per meglio chiarire un fenomeno che attualmente suscita molte curiosità, soprattutto nei giovani, le cui conseguenze sono tuttora operanti, e mentre Mino Maccari, che puntualmente dà alla Stampa il suo impareggiabile contributo di disegnatore e di umorista, sta per entrare nell'ottantesimo anno. Come ebbe a ricordare Marziano Bernardi ancora poco tempo fa su questo quotidiano, Maccari era venuto a Torino nel '29 chiamato da Curzio Malaparte, allora direttore della Stampa, a farvi il redattore capo di questo giornale, e in seguito vi aveva trasferito la redazione del suo foglio da Siena aprendone la porta a chiunque avesse qualche merito e vivacità nell'esprimersi per iscritto o col disegno, secondo un certo modo di vedere le cose. E' naturale che quella porta in via Pietro Micca 12 l'abbiano subito varcata alcuni giovani scrittori e pittori già lettori fedeli de II Selvaggio che in comune tra loro avevano la formazione anomala, nessuna parentela autorevole, e vivo il gusto dell'indisciplina in seno alle istituzioni fasciste nelle quali, la maggior parte come universitari o appena laureati, essi volontariamente militavano. La loro età dai venti ai venticinque anni, per lo più, la loro estrazione culturale, le loro esperienze già successive al futurismo e non ancora surrealiste, le loro simpatie letterarie ed artistiche sollecitate da tempo da quell'aria fiorentina di tipo lacerbiano, sofficiano, da «almanacco purgativo», cosi dissimile da quella prudente e compassata dovuta respirare ogni giorno a Torino, tutto collaborava a rendere necessario, inevitabile, l'incontro con la cordialità, l'intelligenza, l'umorismo, l'interesse per le arti, di Mino Maccari. Questi aveva allora poco più di trent'anni ed era il solo che avesse fatto la Grande Guerra (nell'artiglieria a cavallo) e la Marcia su Roma; parlava poco e seriamente della prima e scherzava sulla seconda giudicandola una buffonata: una «buffonata» che aveva dato luogo al regime nel quale si muovevano anche i nuovi adepti, con varie riserve e circospczione, sempre mol- to attenti a quel che accadeva fuori casa. Non è facile spiegare a chi oggi vive in assoluta libertà di informazione cosa significasse allora la conquista di un fotogramma di Eiscnstein o la lettura di «A Farewell to Arms» di Hemingway; certo è che il gruppo torinese del Selvaggio si nutriva di queste curiosità; poco di quel che capitava nel mondo artistico di quegli anni restava ignoto a chi aveva davvero voglia di conoscerlo. Ma chi erano questi amici torinesi del Selvaggio? Ricordiamo chi realmente collaborava con scritti e disegni e cioè: Eugenio Galvano, Augusto Mazzetti, Velso Mucci, Enzo Righetti, Primo Zeglio e il sottoscritto, proprio nell'anno in cui sullo stesso foglio facevano le prime prove Romano Bilenchi e Arrigo Benedetti che in seguito, con Mazzetti, Galvano e Mucci, si sarebbero distinti nella professione giornalistica e nell'impegno letterario ed anche (Benedetti Bilenchi Mucci), dopo la guerra, in campo politico come direttori di riviste e giornali. A Torino, poi, abitava Nicola Galante, ebanista e pittore, il quale per tramite di Ardengo Soffici collaborava con belle incisioni al Selvaggio fin dal 1926, mentre Albino Galvano, pittore e studioso di estetica, era stato invitato dal '31 a partecipare con qualche suo scritto di critica artistica. Un ricordo particolare merita ancora l'architetto Carlo Mollino, assolutamente refrattario alla politica, per un suo romanzo a puntate intitolato « L'amante del duca », lasciato interrotto, che mostrava qualità letterarie non inferiori a quelle, eccellenti, dimostrate in seguito nel progettare il Teatro Regio e la Camera di commercio di Torino, cioè due tra le opere più importanti degli ultimi trent'anni. Queste collaborazioni sarebbero durate anche dopo il trasferimento di Maccari e del suo giornale a Roma, trasferimento che attrasse alcuni degli ami¬ ci a dimorare nella capitale trovandovi quel lavoro che Torino non poteva offrire con altrettanta varietà, facilità ed allegria. Val la pena di notare che nessuno di questi emigrati tentò le vie del successo che si aprivano nel mondo politico di allora, ma si sfogò invece in mestieri cinematografici, mentre lo stesso Maccari lasciava a mano a mano il giornalismo quotidiano per guadagnare la cattedra di incisione nell'Accademia di Napoli e poi di Roma, e quindi una maggiore libertà d'applicarsi all'arte prediletta. Stabilitosi a Roma il giornale e continuata la collaborazione ad esso dei torinesi, bisogna giungere al '35 per vedere riuniti alcuni di questi nella redazione torinese d'una rivista illustrata, « Era Nostra », titolo buffo voluto da estranei, che nel testo continuava certi modi del Selvaggio, si ornava d'una bella copertina a colori di Spazzapan, ma non giungeva al terzo numero per mancanza di fondi. Intanto Velso Mucci andava a Parigi a fare il libraio, Enzo Righetti, pittore molto serio, si appartava in un suo sogno di restaurazione d'antichi valori, Primo Zeglio, che aveva dato saggi notevoli come disegnatore ed esperto di tipografia, partiva con Eugenio Galvano per la guerra d'Etiopia e poi si votava alla regia cinematografica sulle orme di Blasetti e Genina. La città del quadrumviro Cesare Maria Devecchi non si doleva di sicuro che in un certo ordine di fatti e di idee tornasse ad accadere il meno possibile. In fondo quei giovani che non si capiva proprio bene che opinioni avessero, le cui simpatie andavano equamente divi- se tra chi aveva fama di squadrista temerario e chi apertamente faceva professione di antifascismo, che abbracciavano sinceramente l'amico reduce dal confino, che sedevano abitualmente ai tavoli dei caffè con persone allergiche al « regime », non davano lustro a quella prevalente parte di "brino che ufficialmente si dichiarava nelle feste grandi « sabauda cattolica e fascista » ed infastidivano p.nrhe i gerarchi più tolleranti. A ripensare dopo quasi mezzo secolo a questi avvenimenti, e a volerne parlare con la speranza d'essere intesi per il verso giusto, bisognerebbe ricostruire non solo la Torino di allora ma l'intera Nazione. Dire adesso che era comune a quelle persone l'attesa di avvenimenti che comunque consentissero di dimostrare coraggio e generosità, che viva era la ripugnanza per ogni aspetto ufficiale della vita circostante e naturale farsi beffe dell'altrui retorica, come della potenza economica di chiunque, sottolineare l'ammirazione per le storie canagliesche interpretate sullo schermo da Erich von Stroheim, l'amore per le divise e le armi, e insieme un generico disinteresse per lo sport, illuminerebbe appena qualche aspetto di quel momento ricco di contraddizioni e di incertezze. Potrebbe sembrare un aneddoto inventato a tale scopo l'episodio autentico di quel giovane in camicia nera che, fermato per le scale da un coinquilino adulto per chiedergli quando se la sarebbe tolta di dosso, quella camicia, gli rispose: « quando la metterà lei... »; cosa che avvenne puntualmente. L'adulto, già autorevole, lo divenne ancora di più in seguito e morì a Roma in un bombardamento aereo. Nel '31 gli aderenti al Selvaggio sapevano di che pasta sono la maggior parte degli uomini, ci scherzavano sopra e sfottevano quegli studenti che già consideravano l'appartenenza al G.U.F. (Gruppo Universitario Fascista) come il primo gradino per far carriera. La rima Noi del Guf diciamo aùff apparsa sul Selvaggio sgomentò gerarchi e benpensanti, come quell'altra Chi non mistica non mastica che metteva in ridicolo la bella trovata d'una « mistica fascista ». Questo 77 è stato l'anno in cui, con la riedizione in cinque volumi di tutte le annate de II Selvaggio e la grande mostra di Maccari a Siena a cura del Comune e della Università, quel fenomeno di giornalismo artistico letterario politico è stato rivoltato da ogni parte e studiato per diritto e per traverso. Da questo esame l'annata torinese risulta non meno interessante e vivace delle altre diciannove rispecchiando in cosi breve tempo umori particolari ed avvenimenti salienti della città piemontese, e coagulando, moderando, raffinando nella consuetudine di ciascuno col geniale direttore e con gli altri amici, certe qualità giovanili che poi in altre sedi avrebbero dato prove non immemori di quella irripetibile sta- gione. Italo Cremona Particolare d'una copertina del «Selvaggio» torinese disegnata da Maccari. S'intitola «Sinfonia del coraggio»