Il sindaco di Gaza ci ha detto possibile intesa per Ginevra di Vittorio Zucconi

Il sindaco di Gaza ci ha detto possibile intesa per Ginevra Intervista con Shawa, amico di Arafat e dell'Olp Il sindaco di Gaza ci ha detto possibile intesa per Ginevra E' uno dei tre probabili rappresentanti dei palestinesi - Un richiamo di Dayan : "Sadat dice mai più guerra, ma intende solo nel caso di un nostro ritiro dai territori occupati" (Dal nostro inviato speciale) Gaza, 23 novembre. « Un compromesso sulla rappresentanza dei palestinesi alla Conferenza di pace di Ginevra è possibile, dal punto di vista dell'Olp», mi dice stasera in un'intervista nella sua casa Rashad Shawa, il sindaco arabo di Gaza, la più grande e potenzialmente importante (per il suo porto) fra le città contese di Palestina. Shawa, insieme con i sindaci di Naplus e Tulkaren, altre due città occupate dagli israeliani, è stato menzionato da varie fonti, tra cui una americana come riferito dalla Jerusalem Post, quale uno dei tre delegati palestinesi che sia l'Egitto che Israele accetterebbero di vedere a Ginevra. Se si sbloccasse dunque questo problema centrale, i lavori alla Conferenza potrebbero davvero essere riaperti molto presto, forse — come si sente dire — entro dicembre. Questa dichiarazione di Shawa è la prima reazione di fonte palestinese, non lontana dall'Olp, all'indiscrezione sull'accordo segreto Sadat-Begin, ed è incoraggiante. Essa contrasta singolarmente stasera con le parole di Moshe Dayan, il ministro degli Esteri israeliano che ha sminuito la ormai celebre frase di Sadat a Gerusalemme « Mai più guerre », aggiungendo che « voleva dire non più guerre ma se Israele si ritirerà dai territori occupati. Anche l'ascoltatore più ottuso avrebbe dovuto capirlo ». Anche la voce di qualche giorno fa sull'imminente visita di re Hussein continua a perdere, come ormai da vario tempo, credito, qui In Israele. Infine sempre nel novero delle notizie non confermate ed anzi esplicitamente smentite da Dayan, v'è da registrare la possibilità di un ritiro parziale e simbolico di unità israeliane dalla frontiera del Sinai come gesto di « buona volontà », che in realtà, come ha detto Dayan, «metterebbe in difficoltà il presidente Sadat accreditando l'impressione di un accordo separato, agli occhi del mondo arabo ». Come dunque sta accadendo ormai dalla fine della storica visita del presidente egiziano, è dalla parte araba che arrivano le fiammate di ottimismo e da quella israeliana che si spengono gli entusiasmi. Una differenza spiegabile se si ricorda che, sul piano strettamente negoziale, è lo Stato ebraico che sarà chiamato a far le maggiori concessioni. Persino ì palestinesi oggi, per sfruttare l'onda di pressione psicologica che sta montando sopra gl'israeliani e che spiega in larga parte la reazione di Dayan, sembrano dare segni di moderazione. Me ne viene conferma appunto In un'intervista con Rashad Shawa, che appare uno dei sicuri negoziatori palestinesi, gradito a tutti se la Conferenza di pace verrà riaperta. Shawa, un ricco produttore e commerciante di frutta, agente qui della General Motors, mi dice che « due settimane fa» ha incontrato Arafat, il capo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) a Beirut e si riconosce « molto vicino a lui ». Unico sindaco non eletto delle zone arabe, ma scelto e poi approvato dalla popolazione (mi mostra un rotolo di carta lungo sette metri con le firme di sostegno dei suoi concittadini), Shawa potrebbe risultare accettabile sia dall'Olp, essendo certamente un notabile della Comunità araba di Gaza, sia dagli israeliani che non lo possono accusare di essere direttamente un uomo dei guerriglieri. Pur sostenendo di non averne discusso direttamente con Arafat, egli afferma che « l'ipotesi di una delegazione di tre sindaci provenienti dai territori occupati, come parte della delegazione araba, sembra sem pre più possibile e potrebbe essere il modo corretto per sbloccare l'impasse fra Israele e l'Olp, se l'organizzazione naturalmente desse ai sindaci il suo benestare ». Begin sostenne, in una conferenza stampa a Washington, che «Israele non avrebbe controllato le carte d'identità dei partecipanti alla Conferenza e se ci fossero state persone nate in Palestina non avrebbe potuto obiettare ». E Dayan ha detto stasera che non approverebbe mai una rappresentanza palestinese « formata da uomini dell'Olp o ad essa direttamente legati » dun¬ qscdpnlastf«spgèc"nmucCdsldedhsmtprd que lasciando spazio per queste soluzioni «approvate». Ora, dice il sindaco della città di Gaza, dove sorge uno dei più grandi e fradici campi profughi (trentamila vivono nella sola bidonville sulla spiaggia), «gli israeliani sono andati un po' più avanti». Allora, sa di un accordo fra Egitto e Gerusalemme? « Lo spero, non posso dire di saperlo ». « Chiunque rappresenterà i palestinesi a Ginevra — aggiunge il sindaco arabo, che è figlio di una delle più ricche famiglie di Gaza e ha " 1 " come numero di telefono perché il nonno fu il primo a installarlo qui, quasi un secolo fa — saprà che cosa vogliono gli arabi della Cisgiordania e della striscia di Gaza ». Vogliono — mi specifica — «il ritiro di Israele, l'indipendenza e la autodeterminazione». Ho voluto entrare con lui nei dettagli di questa triade che ormai ho sentito ripetere fin troppo spesso, e il quadro appare molto più articolato di quanto la rigidezza della formula potrebbe far apparire: 1) «Il ritiro non è negoziabile — dice Shawa —, ma potrebbe \ non escludere qualche rettifica di frontiera »; 2) « Sarebbero consigliabili (come già mi aveva detto ieri un altro maggiorente palestinese, lo sceicco Al Jabari di Hebron) due o tre anni di supervisione Onu, per contribuire a creare strutture di governo e amministrative che mancano completamente »; 3) « Dopo questo periodo voto per l'autodeterminazione ». Vorrebbe « uno Stato indipendente » ma non esclude una federazione con la Giordania dicendo che « anche se autonomo, lo Stato palestinese è destinato ad avere legami stretti con tutti i Paesi arabi, e certo strettissimi con la Giordania ». Territorialmene, il futuro negoziatore per la Palestina a Ginevra vede un assetto formato dai territori della Riva Ovest del Giordano (la Giudea e la Samaria, secondo i nomi biblici) e la fascia intorno al porto di Gaza, una zona di circa 500 chilometri quadrati lunga 57 chilometri e larga una media di otto. Fra le terre del Giordano e questa striscia « un corridoio di passaggio inter¬ nazionale aperto a tutti, co me una via d'acqua, garantita dall'Onu ». Perché economicamente il minuscolo Stato arabo di Palestina potrebbe sopravvivere solo « se diventasse il porto di tutto il grande entroterra arabo, dalla Giordania all'Irak ». « Una società americana di proprietà di ebrei — dice il sindaco che non vuol però dirmene il nome — si è già offerta di pagare tutte le spese per la costruzione del porto ». Shawa, che si dice « totalmente contrario al terrorismo », ma riconosce che «senza di esso il problema della Palestina non sarebbe mai salito all'attenzione del mondo », parla con speranza dell'esito del viaggio di Sadat e osserva che esso « ci dirà della autentica volontà di pace di Israele, ormai allo scoperto, e non più protetto dalla pretesa aggressività degli Stati arabi». Ma egli si è pur rifiutato di accogliere il presidente all'aeroporto, come la quasi totalità dei leaders più autorevoli di Palestina. «Mi aveva telefonato Dayan invitandomi ad andare — racconta — ma avevo già dato la mia parola all'Olp ». Vittorio Zucconi