Ministri lenzuola evasioni di Vittorio Gorresio

Ministri lenzuola evasioni Taccuino di Vittorio Gorresio Ministri lenzuola evasioni Il senatore Antonio Guarino (indipendente di sinistra, Napoli) aveva interrogato tempo fa il ministro guardasigilli senatore Francesco Paolo Bonifacio (de, Pìedimonte Matese-Sessa Aurunca) desiderando sapere «se il largo impiego da parte degli evasi di corde fatte con strisce attorcigliate di tela abbia indotto la direzione generale competente a porsi il problema della eliminazione dalle celle delle lenzuola stesse, e se gli organizzatori ministeriali degli stabilimenti di pena siano a conoscenza del fatto che esistono in commercio economiche ed igieniche lenzuola e tovaglie di carta, abbastanza resistenti per servire al loro uso normale e per almeno una settimana, ma non tanto solide da poter essere utilizzate a fini di evasione come cordame». L'interrogazione parve diventare di estrema attualità la settimana scorsa quando fu data la notizia che tre reclusi molto pericolosi erano fuggiti — da una delle supercarceri modello delle quali disponiamo in Italia grazie alle disposizioni operative del generale Carlo Alberto dalla Chiesa — avendo appunto fatto ricorso al classico sistema delle lenzuola annodate. Il giorno dopo si scoprì che la notizia non era vera: i tre detenuti spariti si erano semplicemente nascosti in una intercapedine del soffitto della loro cella da dove si proponevano di evadere aprendosi piuttosto un cunicolo nel terreno tufaceo. Erano insomma detenuti che seguivano la scuola dell'abate Faria e del conte di Montecristo fortunosamente evaso dal carcere di If, non praticanti l'altro sistema — parimenti classico nella storia delle evasioni carcerarie — delle strisce di lenzuola attorcigliate e annodate. Questo difatti sembra un po' in disuso, ai giorni nostri: anche la signora Anneliese Kapplerha detto che per calare il boia, suo marito, dalla finestra del terzo piano dell'ospedale militare del Celio, a Roma, non si è servita di brandelli di lenzuola sottratte alla pubblica amministrazione, ma di una corda doppia da alpinista che si era procurata a proprie spese sul mercato. Se mai dovesse essere processata, non si potrebbe quindi imputare a f rau Anneliese l'aggravante del danneggiamento di materiali dello Stato. // metodo delle lenzuola sarebbe dunque in declino fra gli appartenenti alla categoria degli "evasori". Ciononostante, come è nel dovere di un ministro guardasigilli consapevole delle responsabilità del suo mestiere, il senatore Francesco Paolo Bonifacio non ha tardato a dare una risposta al suo collega e corregionale Antonio Guarino. Gli ha difatti risposto in termini estremamente puntuali, osservando anzitutto che «l'uso delle lenzuola di carta appare in contrasto con la norma dell'ordinamento penitenziario (art. 7 della legge 26 luglio 1975, n. 354) la quale stabilisce che i detenuti dispongano di effetti di biancheria "tali da assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita"». L'invocazione di questo punto di diritto è correttamente pregiudiziale: un guardasigilli che sa il suo mestiere si deve sempre riferire innanzitutto alle leggi dello Stato. L'interpretazione di queste, però, mi sembra viziata da un'arbitraria valutazione di carattere merceologico a riguardo delie lenzuola di carta. Chi ha mai detto che esse non sono «tali da assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita»? Tutti quelli che le adoperano, anche in paesi civilissimi come gli Stati Uniti d'America, potrebbero sentirsene offesi, e i fabbricanti potrebbero anzi intentare causa di diffamazione con tro il nostro guardasigilli Bonifacio. A meno — ma è un pensiero temerario — che tra le normali esigenze di vita egli non includa anche l'uso delle lenzuola ai fini di un'evasione dal carcere. Ma andiamo avanti nella lettura della risposta di Bonifacio. Probabilmente punto nel suo amor proprio dal sospetto avanzato dal senatore Guarino che egli non sia a conoscenza del fatto che esistono in commercio economiche ed igieniche lenzuola di carta, ripicca infatti di saperne anche più dell'interrogante: «Da informazioni assunte — dìchiara infatti — la loro durata massima d'uso è limitata a tre giorni e non a sette, come riferito nella interrogazione, e comporterebbe pertanto una fornitura annuale di circa 7 milioni di capi per una spesa complessiva di lire 5.376.000.000, considerata una presenza media di 35 mila detenuti ed un costo di lire 800 circa a lenzuolo. Ciò senza tener conto — conclude Bonifacio — della notevole mobilità dei dete-, nuti che costringerebbe la direzione dell'istituto penitenziario ad effettuare ulteriori e frequenti cambi di lenzuola». Io leggo questi conti della lavandaia in una preziosa informazione diffusa da Vittorio Staterà attraverso la sua agenzia «Ital», e gli professo gratitudine. Sono conti, però, che non mi persuadono del tutto, e se fossi anche io senatore obbietterei al ministro che la notevole mobilità dei detenuti non ha forse frequenze maggiori di tre giorni, che appunto corrispondono alla durata media delle lenzuola di carta. In ogni modo quali sono i costi della lavandaia che deve candeggiare le lenzuola di tela dei detenuti in trasferimento? Un altro pensiero temerario è che non siano lavate quando passano dall'uno all'altro dei reclusi; ma non essendo temerario io non intendo nemmeno formularlo. Non temeraria è invece un'osservazione che mi permetto di fare, per concludere. Dunque, il guardasigilli e i dirigenti delle case di pena che gli forniscono gli elementi per rispondere alle interrogazioni dei parlamentari, considerano il problema delle evasioni dalle carceri italiane in termini di conti della lavandaia, ma li fanno anche male perché ignorano i costi del candeggiamento. Seconda annotazione: e perché mai stupirsi che non si riesca a attuare una riforma carceraria che zbbia senso?

Persone citate: Anneliese Kapplerha, Antonio Guarino, Carlo Alberto, Faria, Francesco Paolo Bonifacio

Luoghi citati: Italia, Napoli, Roma, Sessa Aurunca, Stati Uniti D'america