1 "carbonari,, della pittura in Urss di Angelo Dragone

1 "carbonari,, della pittura in Urss ALLA BIENNALE TRA GLI ARTISTI DELL'«ALTRA RUSSIA» 1 "carbonari,, della pittura in Urss La rassegna veneziana documenta la produzione di duecento artisti e un ventennio di attività semiclandestina - Dalle mostre "in privato" del 1958 all'esposizione dei 144 pittori moscoviti del '75 - Il monumento di Kruscev è di un "non allineato" (Dal nostro inviato speciale) Venezia, novembre. Gli artisti sovietici rappresentati nella mostra « del dissenso » organizzata dalla sezione « arti visive » della Biennale di Venezia ed allestita presso l'Arsenale, nel Palazzetto dello Sport, sono una settantina, ma salgono a quasi duecento se nel numero si comprendono anche quelli documentati con la semplice proiezione di diapositive. Poco meno della metà — chi da tempo, chi soltanto di recente — si sono stabiliti in Occidente; gli altri, e sono quindi la maggioranza, vivono tuttora in patria. Nessuno è stato ufficialmente invitato, neppure di persona. Nessuno ha manda¬ to opere. Queste sono state imprestate da collezionisti e galleristi di vari Paesi europei e d'America che le avevano acquistate nei loro viaggi in Russia o tramite amici. Alcune si dice siano uscite in valigia diplomatica. Non è tuttavia escluso che, lungo la stessa vìa che ha portato alle prospettive politiche dell'eurocomunismo, possa esser passato anche l'interesse — fatto di evidente simpatia — per queste manifestazioni di un'arte sovietica non ufficiale, più aperta ed avanzata, da parte di artisti, critici d'arte e in genere esponenti della cultura comunista occidentale. Proprio in occasione di questa vasta rassegna si è sco- perto che anche in Italia esistono nuclei di opere d'arte russa non conformista. E così in Francia, in Inghilterra, in Austria ecc. Si tratta di migliaia di opere che costituiscono buona parte della produzione di un ventennio, ormai, nel corso del Quale si sono già documentati due momenti essenziali, corrispondenti in fondo alle due generazioni che ne sono state le protagoniste. Il primo ebbe inizio nel 1957 quando a Mosca s'aprì la gigantesca rassegna (4500 opere d'arte di 52 Paesi) ordinata in occasione del VI festival internazionale della gioventù e degli studenti. Per molti, e specialmente per i giovani, fu una specie di rivelazione dell'arte del nostro tempo fatta di ricerca e di rinnovamento. Fu la prima volta che il monolite del «realismo socialista» sovietico si trovò a dover subire il confronto con la libertà di espressione praticata negli altri Paesi. Nel giro di poco tempo fu allestita tutta una serie di mostre che compresero « personali » di Picasso e di Léger e altre d'arte contemporanea francese, belga, inglese, americana ecc. Tanto bastò a mettere in crisi di credibilità la cultura ufficiale. Questo primo periodo si concluse cinque anni dopo con la mostra allestita nel Maneggio di Mosca per il XXX anniversario del Mosk (sezione moscovita dell'Unione degli artisti) e fu quando la reazione ritenne di poter prendere la rivincita sui tentativi progressisti, prospettando come un pericolo l'abbandono anche dei soli principi sui quali si fondava il « realismo socialista». Da allora, come ha scritto Igor Golomstock, «ai candidati all'Unione degli artisti si richiesero requisiti ideologici sempre più rigidi, e furono impartite istruzioni interne e tacite disposizioni... », mentre « una impenetrabile cortina di silenzio venne calata sugli artisti non ufficiali. Lacerare questa cortina per proclamare la propria esistenza era possibile solo a rischio di perdere la libertà personale ». Bisogna tener conto — si potrebbe dire marxisticamente — anche di queste effettive situazioni di ambiente e di società per tentare una corretta lettura e valutazione degli esiti d'una mostra come questa di Venezia, cominciando col ricor- dare quanto possano divergere le condizioni degli artisti russi, a seconda che operino ufficialmente inseriti nell'Unione o invece se ne trovino fuori o appartengano ad un settore professionale diverso da quello che raduna pittori e scultori, come accade per chi è iscritto tra gli illustratori di libri o tra i grafici pubblicitari e che non può quindi partecipare alle manifestazioni riservate agli artisti riconosciuti come tali. I quali usufruiscono anche di altri privilegi: hanno casa e studio e possono contare su strutture espositive e commerciali ignote agli altri. Ricevono commissioni, operando naturalmente secondo le direttive anche tematiche che gli sono imposte e, a seconda della considerazione di cui ciascuno gode, come di uno status che è artistico e politico insieme, ottengono il riconoscimento d'una propria quotazione ufficiale. Gli altri hanno sì la libertà di dipingere o di scolpire quello che vogliono, di cimentarsi nelle ricerche che li attirano, di guardare ai modelli che maggiormente li interessano, ma la loro vita artistica rasenta la clandestinità. Una testimonianza, tra le tante, ormai, ci è offerta da Dominique Gerard (che e stata ampiamente riportata tra i documenti richiamati nel catalogo della mostra veneziana): « A volte un ammiratore sovietico organizzava una mostra privata per qualche ora nel suo appartamento. Allora era tutto un trambusto. Quali quadri esporre? Chi invitare? Come far sapere che c'è una mostra senza che lo si sappia? Se le autorità ne fossero venute a conoscenza in effetti si rischiavano noie: reprimende sul luogo di lavoro, un appartamento personale atteso per anni assegnato a qualcun altro ecc. Ciononostante tutti esponevano una tela o due. Tutti venivano, timidi e ansiosi. Tutti spiavano le reazioni degli invitati. E poi ricominciavano a dipingere in segreto ». E ancora: « A quel tempo pochi a Mosca conoscevano la pittura dei " Lianosovtzi " Lidija Masterkova, Ylarimir Nemukhi, Nikolaj Vectomov e più tardi quella di Valia Kropivnickij, la moglie di Rabin, oltre naturalmente a quella di Rabin stesso. Ogni tanto Kostakij, celebre collezionista di origine greca residente a Mosca, veniva a vedere i loro quadri. Si sapeva che collezionava le opere dell'avanguardia degli Anni Venti e s'interessava alla pittura non-conformista contemporanea. Era una gioia per tutti quando si portava via una tela. Ogni tanto anche qualche straniero, di solito accompagnato da comunisti italiani, comprava un quadro ». Una nuova schiera di giovani si stava intanto affacciando alla vita artistica e si preparava a diventare la protagonista degli avvenimenti che si sono poi registrati tra la fine degli Anni Sessanta e questi ultimi anni, come la mostra all'aperto nel parco Izmailov nel settembre del 1974 e la «Mostra di sette artisti moscoviti » che nel maggio dell'anno scorso venne allestita nello studio di Sokov, uno dei più dotati artisti rappresentato nella stessa rassegna veneziana. Erano passati ormai diecidodici anni dagli episodi della mostra al Maneggio di Mosca quando la reazione aveva scatenato la sua offensiva e diverse erano ormai le ricerche che impegnavano la nuova generazione, anche se di quella mostra del 1962 c'era ancora chi ricordava lo sprezzante giudizio espresso da Nikita Kruscev nell'osservare che alcune delle opere esposte gli « sembravano dipinte dalla coda di un asino »: giudizio che stranamente avrebbe potuto coincidere con quelli manifestati da tanti « borghesi » occidentali di fronte alle più significative opere dell'avanguardia contemporanea. Altri, come lo scultore Neizvestnij, ricordava non soltanto lo scontro verbale avuto con Kruscev, ma di averlo anche messo in guardia, essendosi reso conto che nel dare il permesso per quella mostra i funzionari del regime avevano inteso servirsene come provocazione non soltanto nei covfron ti degli artisti non-conformisti, ma di Kruscev stesso. Neizvestnij allora venne espulso da ogni organismo artistico ufficiale, ma quando Kruscev mori, fu suo figlio Sergey a chiedergli se fosse stato disposto a fare il monumento funerario del defunto ex capo del governo: proprio Kruscev ne aveva espresso il desiderio e Neizvestnij gli fece il monumento. Il tempo, si sa, ha sempre una sua parte nel destino degli uomini. In certo qual modo lavora per loro. E' vero che la sortita dei quattordici pittori che il 15 settembre 1974 tentarono di esporre al pubblico le loro opere nel parco Izmailov, nei dintorni di Mosca, fu quasi un gesto disperato, subito stroncato dai bulldozer che « caricarono » mostra, pubblico ed espositori. Ma il rumore che se ne fece nel mondo si trasformò in una straordinaria arma di pressione sicché esattamente un mese dopo 70 pittori non ufficiali poterono esporre liberamente le loro opere in un parco di Mosca per quattro ore. L'anno successivo venne organizzata un'altra mostra: con la partecipazione di ottocento opere di centoquarantaquattro artisti moscoviti. E si vide quanta strada aveva fatto la nuova arte sovietica, impegnata ormai nelle più diverse direzioni, come questa stessa Biennale veneziana ha documentato con una sua compiutezza. L'arte non ufficiale era divenuta una realtà del mondo sovietico. E Ripa di Meana ha potuto ascrivere tra i risultati di questa Biennale veneziana anche quello di aver « cercato di contribuire a ristabilire l'unità di un universo culturale essenziale come quello dell'Urss ». Un obiettivo non certo da poco. Angelo Dragone