Il vino dell'assassina

Il vino dell'assassina Il vino dell'assassina Entrai cercando con gli occhi il dottor Souza. Al solito, la mattina del giovedì, giorno di mercato, il Caffè era quasi impraticabile: unico posto un po' tranquillo e un po' buio, un angolo che il cristallo aperto dell'ingresso difendeva, come un paravento, dalla folla dei commercianti. Su un divano, in quell'angolo, Souza mi attendeva da più di dieci minuti. Sedendomi accanto a lui: « Prima che mi dimentichi » gli dissi, « devo chiederti un favore: ho bisogno che tu mi aiuti a trovare del vino... No, non sorridere a quel modo. Niente di sperimentale, questa volta: niente di letterario o giornalistico. Non vino da scriverne. Ma nostralino bianco, vino sfuso, in damigiane, da bere a pasto, per mia moglie e me. Da quindici anni, fino all'autunno scorso, mi sono sempre arrangiato. Adesso comincia a diventare un grosso problema! ». « E ti stupisce? Tra Vara e Magra, sulle colline, molti terreni sono inquinati dagli stabilimenti industriali. Molti di quei nostralini che dici, anche se genuini, anche se fatti onestamente, sono dunque infami. Nei pochi casi, poi, di terreno sano, il produttore ha scoperto che può guadagnare tre o quattro volte tanto se, invece di vendere il vino sfuso, lo vende imbottigliato e etichettato più o meno pittorescamente. Accade però che, in bottiglia, trasportato di qua e di là, e magari conservato sugli scaffali di un qualunque Alimentari, un vino leggero come il nostralino non regge neppure un mese. E allora il produttore che cosa fa? Solfita a rotta di collo. E cosi il vino di terra buona è ancora meno bevibile del vino di terra inquinata. Ma naturalmente ci sono delle eccezioni ». « Naturalmente: e speravo che tu... Eccola! » dissi guardando verso il banco e senza pensare più a altro. Souza guardò anche lui: « Eccola, chi? ». « Quella là. Quella magra, coi capelli rossi sulla fronte, che sta comprando le caramelle. Ogni tanto la incontro, quando vengo a Sarzana. Sempre ha un vestito diverso. Volgarissima, certo. Ma, a modo suo, stranamente elegante, piccante, vorrei dire perversa ». Souza rideva: « Sei il solito matto... » e disse ancora qualcosa, criticandomi, in tono affettuoso: ma non lo ascoltavo, ero incantato a guardarla, e terribilmente incuriosito. Non sapevo niente di lei. Tutte le altre volte, l'avevo sempre incontrata per la strada. Camminava rapida, rigida, diritta, sorridente nel vuoto. Adesso, finalmente, potevo vederla ferma, anche se non da vicino. Mi spostavo sul divano per non perderla di vista quando qualcuno, tra me c il bar, me la copriva. Ora la donna — non era una ragazza — andava alla cassa per pagare. Aveva un tailleur marrone, confuso disegno Prince de Galles, modello provinciale: giacchetto corto, quasi un bolerino, che le lasciava scoperti i fianchi, stretti e secchi in misura anormale. E una camicetta di voile verde chartreuse, col collo alto, molle e svasato: quando, dopc avere pagato, si voltò per mettere le caramelle nella borsa., il suo viso, incorniciato da quel chiarore leggero, apparve ancora più abbronzato e più forte di come Io ricordavo: color rame, un po' caprino, ossuto, il sorriso fisso e vagamente sprezzante, la ciocca rossa e compatta di traverso sulla fronte. Per uscire, doveva venire verso di noi. Ma, anche con gli scarti necessari a passare tra la gente, camminò, al solito, sorridente, rapida, diritta. Vedendomi, mi guardò senza che il suo sorriso cambiasse espressione: come se non ci fossimo mai visti. Quando ci passò davanti, Souza la salutò con un lieve cenno del capo e abbassando gli occhi. Lei gli rispose allo stesso modo. «Allora la conosci?...» mormorai, e intanto la seguivo con lo sguardo attraverso il cristallo, mentre si allontanava sulla piazza: e quel suo passo militaresco, coi fianchi stretti come a forza, era bizzarramente sensuale, evocatore del piacere, addirittura osceno: « ... allora la conosci! Sai chi è! ». « Così, appena, di vista. So soltanto che si chiama Claudia », disse Souza, e tacque. Pareva seccato, contrariato dall'incontro. Anche se sapeva di più, chiaro che non gli andava parlarne. Gli chiesi se aveva letto il mio ultimo articolo, e tornammo perciò a Longanesi, l'inesauribile argomento dell'altra volta. Mezz'ora dopo, uscendo dal Caffè, lo accompagnai nel cortile dove aveva lasciato la bicicletta Improvvisamente si ricordò: « Hai da scrivere? ». Cavai fuori il taccuino. « Mi è venuto in .nente un tale... uno che forse ha il vino che cerchi. Sta in campagna, non lontano di qui. Scrivi: Enrico Salimbeni ». Mi diede ' numero del telefono. Poi mi spiegò minutamente la strada che dovevo seguire per trovare la fattoria. ★ * Il cancello era aperto su un largo piazzale di terra battuta e qula qutramotingapedadiunlazplaltudedobaormcoolcaunpalimstsideil taInxogousoStne somcadancochtomnnl'Edtlevc«gmbgccucsglNcrss a r e , , e , c l l e l ztrrnni, re na el ei rn o, zo, a, ooai So », co. ro Gli mo a oal le ta un no on co ro mivo un e qualche residuo di ghiaia. Sotto j prla malinconia degli eucalipti, di miqua dal disordine di incolti rovi, sentra macchine agricole, un'auto- prmobile impolverata, un monopat- tino, giocattoli rotti, razzolavano cogallinc. Nella rada ombra di una j bepergola che sembrava devastata dalla grandine, un vecchio tavolo di pietra ingombro di cartacce unte, scatole aperte, resti di colazione, e intorno sedie gialle, di plastica. A sinistra, una solenne, alta villa neoclassica, l'intonaco tutto sgretolato, al primo piano della quale si accedeva con un doppio scalone liancheggiato da balaustrate di cemento: enorme, orrendo avancorpo aggiunto almeno un secolo e mezzo dopo la costruzione della villa. A destra, oltre i tronchi lebbrosi degli eucalipti, cominciavano i vigneti, una distesa a perdita d'occhio. Due amici mi avevano accompagnato. Avevo telefonato al Salimbeni avvertendolo della nostra visita per quell'ora. Ma non si vedeva nessuno. Nel silenzio della campagna si udiva soltanto il chioccolio delle galline, e lontane campane di mezzogiorno. Invano avevamo suonato il claxon, chiamato a alta voce. Il luogo sembrava abbandonato. Forse un malinteso. Forse un improvviso impegno del signor Salimbeni. Stavamo per risalire in macchina quando una porticina ferrata e chiodata, al centro del mostruoso scalone, fu aperta da un uomo ancor giovane, scamiciato, dai capelli neri e lucidi, dallo sguardo torvo, dal sorriso incerto. Gli andai incontro. « Buongiorno », disse atono, come se io fossi quello dell'Enel che viene a controllare il contatore. Mi presentai, presentai i miei amici, e supponendo che non avesse capito bene la telefonata aggiunsi: « Siamo venuti all'ora stabilita ». « SI, ma tra poco ho da fare. E poi, non ho più vino. Ho venduto ieri le ultime damigiane ». « Pazienza. Avrà qualche bottiglia. Mi basta assaggiare e, se lei crede, dare un'occhiata alle vigne ». « Le vigne sono qui », disse come a malincuore avviandosi: « Solo che tra poco viene della gente a prendermi, devo andarmene ». Ai primi filari mi ferm.-i. Uva bianca, grappoli grossi, chicchi grossi: era Trebbiano Toscano, che conoscevo benissimo: « Che cos'è? » domandai tuttavia, con un istinto poliziesco che mi è completamente insolito e che forse mi era stato ispirato dalla grinta del Salimbeni. « Trebbiano ». « SI, ma che Trebbiano? ». « Nostralino ». Non dissi niente. Quattro filari più in là, riconoscendo il Nostralino, piccoli grappi e piccoli chicchi perfettamente sferici, domandai ancora: « E questo? ». « Sempre Trebbiano, la stessa uva ». Seguitiamo, e non va meglio: il Sangiovese, il Merlot, il Cabernet, confondeva i vitigni, non ne azzeccava uno neanche per sbaglio. Vero che l'esposizione dei filari stupiva: erano piantati come vuole l'arte, declinavano paralleli, geometrici, diretti da nord a sud, verso la lontana confluenza del Magra e del Vara, così prendevano di taglio il sole quando è più forte e più alto: lo prendevano in pieno la mattina e il pomeriggio, quando è più debole. Le viti, invece, erano tenute malissimo: non abbastanza potate, e niente affatto diserbate: la gramigna cresceva libera al piede. « Chi è che cura le vigne? » domandai. « Io ». « Lei da solo? ». « Da solo ». « Anche per la vendemmia? ». « Anche ». Sebbene ciò fosse improbabile data l'estensione del terreno, non avevo nessuna voglia di discutere con un tipo che ne aveva così poca di parlare, e che era ignorante oppure si fingeva tale per qualche suo oscuro motivo. Ero ancora deciso ad assaggiare il vino, ma non dovetti ricordarglielo: aveva fretta di mandarci via, ci condusse subito alla porticina di ferro. Entrammo in uno stanzino, passammo in una lavernetta falsamente rustica, similissima a quelle che si costruiscono gli industrialotti milanesi nei seminterrati dei loro condominii. Le pareti interamente rivestite di mattoni cavi e obliqui: in ciascuno era infilata una bottiglia. Attraverso un archetto si nezila counchdetoplla ziI tastnesacozamsochpepril chlìbaala sgdavraptailchchdsiSvtassccdrndrsdadslvmdmgstrtpLgc. scendeva nella vera cannna, va-sta e antica, con grandi botti, ti- ni, torchi, tutti gli strumenti ne- cessari alla vinificazione. La ta-vernetta era ricavata nel corpo dello scalone di cemento, la cantina era sotto la villa settecentesca. Assaggiammo due bottiglie. Una di bianco, che Salimbeni ci annunciò come Trebbiano molto vecchio, ma che era sicuramente molto giovane: acido, aspro, feccioso al gusto, casuale misto di Trebbiano, Vermentino, Pollerà e varie uve volgari. E una di rosso, che lui chiamò Sangiovese dell'anno scorso, mentre doveva avere almeno cinque unni, probabilmente di più, e che i miei amici e io, concordemente, senza esitare, ma con grande sor presa, trovammo squisito, Di questo Sangiovese, chiesi con estrema gentilezza al Salim beni se potevo acquistare alcu a i , e n è a l c: an r e ti o a ne bottiglie. Storse la bocca: anzi, notai in quel momento che la sua bocca era sempre storta, come arricciolata lateralmente da un lieve rictus. Diciamo, dunque, che la contrasse in un ghigno: « No, ho deciso di non vendere più. Faccio invecchiare tutto. Vedremo tra qualche anno ». Al che, ringraziamenti. E complimenti, del resto sinceri, per la qualità del Sangiovese. Ci alziamo, salutiamo, ce ne andiamo. ★ ★ li giovedì dopo, solito appuriI tamento al Costituzionale. Questa volta, c'è un tavolino libero nel giardinetto tra piante in cassa, davanti al Caffè. Udito il racconto dell'infruttuosa visita, Souza mi chiede scusa, ma non si mostra troppo stupito: « Senza essere mai stato personalmente alla fattoria, sapevo che quell'individuo è strano. Sapevo anche, però, che una volta, prima che fosse lui il padrone, il vino era eccellente. Si vede che lui si immagina, a lasciarlo lì, di fare un grosso affare ». « E' una spiegazione che non basta. Perché, dopo avermi detto al telefono che potevo andarlo a trovare, mi ha trattato cosi sgarbatamente? Aveva una furia di mandarci via! Sembrava che avesse paura di qualche cosa, paura di noi se restavamo un altro po'! Perché le vigne sono piantate bene e tenute male? Perché il vino giovane, che lui crede o chiama vecchio, è infame? E perché il vino vecchio, che lui crede o chiama giovane, è buonissimo? ». « Mah », disse laconicamente Souza, abbassando lo sguardo sul vassoio del caffè che avevano portato in quel momento. E vidi sul suo volto magro e gentile la stessa espressione preoccupata, contrariata, di quando gli avevo chiesto se conosceva la donna dai capelli rossi. Cominciò a girare accuratamente il cucchiaino nella tazzina. « Claudia non si vede, oggi » disse ridendo, tanto per rompere il silenzio. A occhi chiusi, finì adagio di sorbire il caffè. Li riaprì, posando la tazzina: scintillavano di arguzia. « Claudia? » sussurrò, si guardò intorno, tirò avanti la sedia, si avvicinò curvandosi sul tavolino e continuò con un filo di voce: « Claudia è la chiave del mistero. Avevo deciso di non dirti niente. Ma ho sbagliato a mandarti là ed è giusto che paghi. Claudia veniva da un paesetto delle montagne, non lontano da dove sto io. Era minorenne, una ragazzina, quando entrò come cameriera in casa del padrone della villa e della vigna. Lln uomo molto ricco, scapolo, già vecchio, che viveva da solo con l'autista. Dopo qualche anno, il vecchio l'ha sposata. Hanno fatto due figli. Poi il vecchio è morto, mi pare che sia stato nel '73 o nel 74... aveva ormai passato l'ottantina. E Claudia allora ha sposato l'autista, cioè Sa- | lintusidndl'mmtad10d11scUmqsasncdgsdlpmnnlcratssmstdcpsclnv . , o o o i - | limbeni. un marchigiano. Si dice... niente di più, bada! si dice, ma tu sai che nei paesi queste v_ose si dicono sempre... insomma, si dice che i figli siano di Salimbeni e che il vecchio non sia morto di morte naturale ». « Certo che lei, la faccia dell'assassina ce l'ha », dissi ridendo. « Piuttosto della puttana: come sempre tu esageri! ». Risposi a Souza che, in ogni modo, questa era solo una fantasia. Realtà, invece, la schifezza del vino nuovo perché lui non 10 sa fare, e realtà la squisitezza di quello vecchio perché é ancora 11 vino del morto. Tutto il resto, studiandoci, si poteva spiegare. * * Quando lasciai Souza, era ancora presto per tornare a casa. Uscii da Porta Parma, mi incamminai lungo le vecchie mura cinquecentesche verso la fattoria. II sole era alto e caldo, nel cielo azzurro pallido di questo dolcissimo ottobre. L'aria era leggera, nitida, quasi alpestre: e le vicine creste delle Apuane, al di sopra delle mura, oltre le vigne frastagliate di verde di rosso di giallo, simulavano con le vaste distese del loro marmo lontani ghiacciai. Non pensavo di andare fino alla fattoria. Avevo un po' di tempo libero e volevo soltanto camminare. Non avevo in mente niente altro. Ma quando vidi venirmi incontro, lontanissimo nella strada deserta, una figuretta che marciava rapida e diritta, la riconobbi subito e capii che cosa avevo in mente. Rallentai il passo per incontrarla un po' più tardi, per osservarla un po' più a lungo. Marciava dondolando la borsa, vuota, della spesa. Aveva una maglietta nera, aderente al busto sottile, e pantaloni bianchi di tela, strettissimi ai fianchi. Quando mi fu più vicina, vidi nell'incavo della maglietta nera, sulla pelle arrossata del petto magro, spuntare il celeste vivo di una canottiera di seta. La fermai: « L'altro giorno sono stato alla fattoria », dissi senza nemmeno salutarla. « Ho assaggiato il vino, che era buonissimo. Ma suo marito non ha voluto vendermene nemmeno una bottiglia ». Non si stupì che l'avessi fermata. Continuò a sorridere come già sorrideva da lontano: « Vuol dire che sarà per un'altra volta », disse tranquilla: « buongiorno ». « Buongiorno » dissi. Quasi urtai, senza riuscire a afferrarla, la sua mano. Era una mano come una bistecca, gonfia, compatta e rossastra, che si era stesa contro la mia come se non potesse stringerla o come se, per innocente indifferenza, non volesse. Non era la mano del suo corpo ner voso e eccitante, non era la mano del suo sorriso enigmatico. Partì di scatto, come a un co- mando. E io in senso opposto. Desiderai subito rivederla di dietro, come camminava, le natiche strette oscenamente. Ho continuato a provare quel desiderio fino a quando, anche voltandomi, sapevo che non l'avrei più rivista. E non mi sono voltato. Mario Soldati

Luoghi citati: Galles, Parma, Sarzana