Scandali, morale e bombe di Guglielmo Zucconi

Scandali, morale e bombe Il nostro Stato di Carlo Casalegno Scandali, morale e bombe Guglielmo Zucconi, direttore di La discussione, settimanale politico-culturale della de, riproduce nella manchette dell'ultimo numero un ammonimento di De Gasperi, e da esso trae spunto per sviluppare — se non concludere — la polemica in corso da parecchi giorni su scandali e scandalismo, sui possibili rapporti tra le campagne scandalistiche contro il suo partito e gli attentati terroristici contro dirigenti democristiani. «Dobbiamo reagire al linciaggio morale contro di noi — diceva De Gasperi durante il processo per diffamazione contro Giovanni Guareschi —. In Germania la distruzione delle istituzioni operata dal nazismo passò prima attraverso la sistematica denigrazione delle maggiori personalità democratiche». Parole accorate, dette da un galantuomo su cui non cadeva neppure l'ombra di un sospetto, e storicamente esatte; e Zucconi ne trae la giusta lezione: De Gasperi voleva insegnare — spiega — che l'onore di un uomo politico non è un affare privato. Venticinque anni dopo, quelle parole rimangono valide. La de ha il diritto e il dovere di reagire contro il linciaggio morale dell'intero partito, perché infondato, diffamatorio, dannoso non soltanto per la de ma per le istituzioni democratiche; e quindi deplorevole anche se quel linciaggio molto probabilmente non influisce sulla decisione dei terroristi. I guerriglieri, ci sembra, colpiscono i dirigenti democristiani (come i quadri intermedi dell'industria) per una cinica scelta politica, e non per un impulso moralistico spinto fino al delitto. Siamo d'accordo con Zucconi quando condanna il tentativo di trasformare la denuncia di singoli scandali in un processo contro tutta la de, di criminalizzare l'opera di trentanni; e non perché condividiamo il suo patriottismo di partito, ma perché egli ne trae le giuste conseguenze. Se la de fosse «tutta e sempre corrotta», pur conservando da trent'anni l'egemonia politica, se ne dovrebbe dedurre che la maggioranza degli elettori italiani sono o sprovveduti o complici, e che il sistema repubblicano è irrimediabilmente marcio. Lo slogan della de «partito di forchettoni» era una buona trovata elettorale, utile in tempi di confronto duro e di perentorie scelte di campo. Certe campagne scandalistiche degli ultimi anni, in cui si confondono fatti e congetture, realtà e voci, inchieste giudiziarie e pregiudizi faziosi, faide di potere e manovre irresponsabili, rientrano invece in quella «sistematica denigrazione» degli uomini politici, che De Gasperi denunciava come una forma d'assalto contro il regime democratico: essa infatti distrugge la fiducia nello Stato, accresce la disperazione dei giovani, offre alibi all'egoismo qualunquistico dei cittadini e delle corporazioni. Le ondate di fango getta te — prima di conoscere la verità — contro colpevoli e innocenti, contro personaggi e istituzioni, durante il «caso Lockheed», sono un esempio da manuale di come non si dovrebbero condurre le campagne moralizzatrici. E vorremmo aggiungere che la falsa ingenuità degl'improvvisati censori spesso ci disgusta più che la leggerezza delle denunce: scrivono come anime angeliche cadute dal Cielo fra le orutture della Terra, ignare delle crude realtà che sono parte della vita, e della lotta quotidiana, in ogni Paese. Ma a Guglielmo Zucconi e ai suoi colleghi della de che. sul Popolo e nei discorsi, hanno sviluppato la polemica contro lo scandalismo, vorremmo sottoporre qualche amichevole osservazione. La prima e più marginale, è che sembrano aver dimenticato il contributo offerto alle campagne scandalistiche dai loro compagni di partito. Dall'affare Mintesi in poi, si ha l'impressione che taluni scandali siano legati a lotte di potere, a faide di corrente, e che i giornalisti «nemici» abbiano qualche volta ricevuto ispirazioni, notizie, documenti dall'interno della de. Nella corsa alle poltrone del Quirinale, di Palazzo Chigi, di piazza del Gesù, non mancano spinte e sgambetti, che porterebbero alla squalifica in qualsiasi gara sportiva. Ma anche in un altro modo, più diretto e determinante, l'atteggiamento dei democristiani ha contribuito ad alimentare lo scandalismo. Zucconi afferma che «l'arroganza delle parole è non meno grave dell'arroganza del potere», e che il proliferare selvaggio delle «rivelazioni» scandalistiche non giova né alla giustizia né al rinnovamento della de; anzi, esso costringe «tutto il partito a fare blocco per non venire travolto». Ma non è almeno altrettanto valida l'ipotesi opposta: che la de abbia abusato dell'arroganza del potere e che, «facendo blocco» sempre di fronte a tutte le accuse, nello spirito e nella tradizione dei corpi chiusi e separati, abbia contribuito ad accrescere e motivare il polverone scandalistico? La misura nell'esercizio del potere, quando all'egemonia si unisce la mancanza di alternative, è la più difficile delle virtù: agli errori della de si possono riconoscere molte attenuanti. Tuttavia all'immagine e alla credibilità del partito avrebbero giovato un maggior rigore verso le proprie pecore nere, un risoluto coraggio non solo nell'affrontare le inchieste, ma nel premere per solleciti giudizi, penali e politici. De Gasperi insegnava (e Zucconi lo ricorda) che «l'onore di un uomo politico non è un affare privato». Appunto per questo motivo, la de avrebbe dimostrato saggezza allontanando da posizioni di potere tanti uomini il cui onore era leso da colpe accertate, o da sospetti non infondati; o da manifesta inettitudine. In un Paese che non riesce a processare gli attentatori di piazza Fontana, e dove l'In quirente dispensa immunità, non si può aspettare la sentenza definitiva della magistratura per togliere dal governo, ad esempio, un boss indiziato di complicità con la mafia.

Persone citate: Carlo Casalegno, De Gasperi, Giovanni Guareschi, Guglielmo Zucconi, Zucconi

Luoghi citati: Germania