La Biennale del dissenso alla prova di Stefano Reggiani

La Biennale del dissenso alla prova OGGI A VENEZIA CON TRE MOSTRE E UN CONVEGNO STORICO La Biennale del dissenso alla prova Ci saranno interventi d'ogni parte ideologica: dal "nuovo filosofo" Glucksmann all'esule Pliusc - Perplessità socialista, cautela de - Ripa di Meana: "Vogliamo offrire alla sinistra gli strumenti per presentarsi senza ombre alla direzione del Paese" (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 14 novembre. Il dissenso è una strada lunga; il dissenso è una j stella rotta. Il convegno del- | la nuova sinistra sulle società post-rivoluzionarie, organizzato dal «Manifesto», si è chiuso con una sanzione precisa: il rifiuto dei socialismi reali, la negazione del marxismo come mito prepolitico. C'è stato un appello aperto, per un nuovo convegno a Barcellona nel decennale della Primavera cecoslovacca: l'hanno già firmato gli intellettuali !vicini al «Manifesto» e gli esuli dall'Est europeo; ma anche alcuni comunisti e socialisti. Dal dissenso all'opposizione, al progetto politico, la strada, appunto è lunga. L'abbiamo accennato ieri: un interlocutore privilegiato del convegno è stato il pei col suo disegno eurocomu- l'Est e di incrinare, in sen -?o democratico, l'autoritari- nista, capace possibilmente di costruire dei modelli antagonistici ai socialismi del¬ sino del blocco sovietico. Una strada lunga, piena di naturali inciampi politici e forse di sconfitte, mentre la teoria brilla già di una sua abbacinante e dolorosa consapevolezza. Non senza un brivido abbiamo ascoltato in un convegno della nuova sinistra unire nella disapprovazione Breznev e Pinochet. Finora, tra gli stu- diosi, l'aveva fatto soltanto un nuovo filosofo come Glucksmann nella prefazione ai Maestri pensatori. O l'avevano fatto, per pura provocazione, commentatori politici di parte. Il dissenso è una stella rotta. Sul manifesto della Biennale, che si apre domani (per cominciare: arte so- vietica non ufficiale, grafica cecoslovacca, mostra del Sa- 1 (mizdat. convegno storico) c'è una stella di carta a cinque punte, ma una vinta, sulla destra, e aperta. La stella rotta non è un invito alla sguaiataggine delle assonanze (stella rossastella rotta, bandiera rossabandiera rotta). Ma un dubbio, « uno squarcio, una apertura » come dice Ripa di Meana, lui così diplomatico e sfumato, almeno sui simboli. Aggiunge: «Qualche amico dissidente dell'Est voleva la stella raffigurata a pezzi sul cartellone della Biennale. Mei sarebbe stata un'immagine in contrasto col nostro impegno culturale ». E sarebbero state persino più dure le critiche ufficiali da Mosca, con gli attacchi della Pravda così inevitabili, così «giusti» nell'ottica dei | rapporti di potenza e di ! buon vicinato che gli Stati nnsrstgntcacBspnsclcszDcrg (i Poteri) coltivano. Il presidente della Biennale è accusato di rovistare nella spazzatura dell'Est insieme con un corteggio di reazionari. « Per fortuna, osserva Ripa di Meana, mentre discorriamo in un ritaglio della vigilia, per fortuna il Manifesto ci ha coperto sulla sinistra ». E' d'accordo su quello che già in shldasBlsoagosto avevamo denunciato i ma o o n i i o e a . o i o o i a l n, » y e e- trna di e. orù li e e, oea o ea o, ù ncome un pericolo per la Biennale, l'essere scoperta sul fianco più vulnerabile, per l'imbarazzo dei comunisti. Il convegno del Manifesto è stato il segnale politico più evidente (chiamiamolo pure storico, esplosivo) che il problema del dissenso è cresciuto di importanza anche dentro la sinistra. Dalla prima idea di costruirci sopra una Biennale alla realizzazione precaria di oggi c'è in mezzo la nuova filosofia francese, c'è in mezzo la polemica di Carter sui diritti civili, c'è la crisi economica, soprattutto c'è l'eurocomunismo che sembra, almeno nei fatti, l'entità politica più coerente col dissenso; comunque la sola che c'è. Ripa di Meana spiega che aveva suggerito al Manifesto di fare il convegno dopo la Biennale, per evitare il sospetto della concorrenza, ma adesso è contento che sia avvenuto il contrario. « Tutto il peggio è stato detto sui socialismi dell'Est, dice; adesso la Biennale può lavorare con più serietà e più serenità. E' stata sgomberata dai politici la strada al lavoro culturale. Faremo degli errori, alle assenze forzate di ospiti dall'Est aggiungeremo nostre mancanze; ma l'intenzione, mi pare, è stata depurata di ogni aspetto provocatorio. Ci tengo a dirlo ». Il convegno della nuova sinistra ha chiamato altri segnali politici intorno alla Biennale. Il pei, per bocca di Rosario Villari, ha ribadito la sua prudenza nei confronti dell'Urss, ma ha legittimato il dissenso. Il psi si è fatto notare per la sua assenza, vistosa, premeditata. Anche per dire con spirito di partito (Meana è socialista): « Guardate che il luogo privilegiato del dissenso è la Biennale ». E la de? Si capisce, è stata assente al convegno, sarà lontana dalla Biennale, cauta, imbarazzata per sue ragioni diplomatiche, anche di rapporto col pei. La de veneta è, anzi, irritata e spazientita, accetta il dissenso, ma teme che questa iniziativa sopra le righe comprometta la figura della Biennale e il suo tranquillo credito internazionale. Magari a ragione, ma c'è una forza sfuggente nelle iniziative avventurose che ad un certo punto supera le « istituzioni » e c'è necessariamente un momento in cui la cultura è pratica politica, esame delle scelte politiche. Per questo la stella rotta della Biennale è un fatto non tradizionale, ma, in qualche modo, irrevocabile. Ripa di Meana è andato al convegno del Manifesto per spiegarsi: « Noi apriremo martedì un dibattito sui momenti storici del dissenso, una riflessione su quello che è accaduto dalla Rivoluzione d'ottobre in poi. Parleremo del passato, voi avete parlato del presente; ma il rapporto è uguale, è politico ». Il convegno della Biennale, intitolato come tema generale a « libertà e socialismo », durerà fino a venerdì e avrà contributi aperti; come si dice: interdisciplinari, cioè provenienti da diverse parti ideologiche. Parleranno nelle giornate di lavori studiosi come Kolakowskì, Bobbio, Melograni, aliga, Feido, Colletti, Martinet, il nuovo filosofo Glucksmann, Foucault, Salvadori, Ellenstein storico del comunismo francese, Edgard Morin, esuli come Pliusc, ideologi del comunismo spagnolo come Claudin. Una densa tornata di ingegni che un giovane filosofo italiano. Paolo Flores d'Arcais, assistente di Colletti, ha rispettosamente coordinato. Dice d'Arcais: « Che cosa ci aspettiamo da questo incontro di storici e di politici? Soprattutto la chiave per capire come nasca dalle premesse socialiste un sistema che genera il dissenso. Metteremo a fuoco, in particolare, le rotture dell'Ungheria nel '56 e della Cecoslovacchia nel '68 ». Ma, oltre quella pratica, che vediamo impersonata negli esuli del Gulag, c'è una definizione meno emotiva del dissenso? « C'è una lezione da imparare per la sinistra. Ed è che il dissenso ci aiuta a storicizzare il marxismo proprio attraverso la sua natura ideologica differenziata e il suo pragmatismo. Dentro il dissenso ci sono oggi posizioni culturali assai dissimili; lo storico non può pretendere, come nel convegno del Manifesto, di giudicare da un punto unico e precostituito ». cspzncrlgb E il pragmatismo? « I dissidenti, divisi nei principi, hanno trovato nell'azione politica comune in difesa dei diritti civili la via giusta, almeno la via che per adesso si è dimostrata vincente. Bisogna prenderne atto ». D'Arcais, nella scioltezza polemica, è vicino al suo maestro Colletti, marxista non ortodosso, anzi critico del marxismo. Dice: « Abbiamo chiamato gente molto diversa a parlare perché non si può privilegiare l'interpretazione marxista. Il marxismo non ci spiega da solo perché c'è stato Stalin, occorre magari rifarsi alla sociologia. Allora Marx vale per gli studiosi quanto Max Weber ». Non è improvviso e precipitoso questo desiderio di dare lezioni alla sinistra da parte della cultura che sino a ieri si è identificata -vesso con la sinistra? Dice d'Arcais: « Appunto, è arrivato il momento degli esa- ì |mi di coscienza, e come se ci stendessimo sul lettino dello psicoanalista e ci facessimo spiegare perché per tanti anni cose che erano chiare per tutti, intorno alla degenerazione dei cosiddetti socialismi reali, sono state taciute ». L'immagine del lettino è buona, forse più efficace della stella rotta; perché si tratta di una cura, e chi si cura vuol guarire e tornare a credere. Sarà Edgard Morin a spiegare al convegno che « il rimosso non è ancora tornato », cioè che la sinistra deve ancora accettare senza turbamenti eccessivi tutto quello che è accaduto in suo nome e contro le sue speranze. Il giovane filosofo avanza un giudizio sul pei, che apparentemente è stato troppo poco sul lettino dell'analista: « Il comportamento del partito comunista mi sembra schizofrenico. Se porta alle conseguenze le sue analisi deve rompere con la Russia, dire che la storia dei russi non è la nostra storia ». Non solo, a suo parere anche nel Manifesto ci sono accenni stalinisti (per esempio, negli interventi di No- tarianni) e il vero problema di metodo in fondo è questo: « Non siamo noi che dobbiamo insegnare ai dissidenti come si deve fare la rivoluzione ». Con Ripa di Meana sfogliamo il catalogo delle mostre; se;:ibra più folto di ì quanto in realtà non sia o | non sarà, molte persone invitate non hanno potuto lasciare i Paesi dell'Est, i film saranno annunciati giorno per giorno per evitare interventi delle Case distributrici, « ricattate » dai Paesi produttori. Le opere esposte, i quadri al Palazzo dello Sport, i samizdat (letteratura clandestina) nell'Ala napoleonica sono arrivati in Occidente attraverso i collezionisti privati, cioè, in massima parte, attraverso i diplomatici. Per questo, sulle mostre e sui film (anche se, dice Meana, « sarà una scatola a sorpresa, abbiamo pellicole per un mese ») po¬ I iranno prevalere i convegni \ \e parole. Sono circa trecento gli ospiti che sì avvicenderanno a Venezia, in gran parte parlatori, studiosi. « Ma è dal dibattito che noi offriamo, osserva Meana, con finezza e malizia socialiste, che la sinistra dovrà prendere gli strumenti per dare | garanzie ». Le garanzie, lui intende, di democraticità e di coscienza storica pulita; se vuole candidarsi alla direzione, intanto, del nostro Paese. Stefano Reggiani