Togliatti, il novembre di 20 anni fa di Massimo Caprara

Togliatti, il novembre di 20 anni fa UN'AZIONE CHE ANTICIPA LE PAROLE DI BERLINGUER A MOSCA Togliatti, il novembre di 20 anni fa All'incontro dei 64 partiti comunisti per il quarantennale della Rivoluzione, il leader del pei inserì il dibattito sul modello sovietico e la via "nazionale e democratica" al socialismo - Fu l'apertura, prudente e semiclandestina, di un lungo processo Il discorso pronunziato da Enrico Berlinguer a Mosca il 3 novembre 1977, proprio in questi giorni, paradossalmente, compie ventanni. Tutto l'impianto teorico, il suo innegabile spessore politico e la sua « diversità », affondano le radici nel dibattito svoltosi fra i leader di 64 partiti comunisti ed operai dal 16 al 18 novembre 1957 in occasione delle celebrazioni del 40° anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Togliatti vi rappresentò il partito italiano e, se la lettura dei nostri ricordi è giusta e coerente con la cifra dei testi avari di indiscrezioni dell'epoca, vi svolse un ruolo non secondario, anzi da primo attore sulla ribalta del comunismo mondiale, da piìi di un anno, dal XX Congresso, in piena agitazione. Il 15 novembre '57, l'Unità aveva pubblicato una foto in prima pagina dove in fila per uno, di fronte, il polacco Gomulka, lo slovacco Siroky, il francese Duclos, il vietnamita Ho Chi Minh ed altri abbozzavano un sorriso dietro Bulganin, Breznev e Mìkoyan, solo di un passo staccati da Togliatti collocato fra i maggiori, gomito a gomito con Mao e Krusciov, cappotto e shapka russa in capo. « Profittando del loro soggiorno a Mosca, i dirigenti . dei partiti comunisti ed operai hanno deciso di tenere una riunione amichevole per discutere problemi che li interessano da vicino », scrisse inopinatamente l'Unità presentando, il 23 novembre, un appello ai popoli per la pace approvato all'unanimità da tutti i presenti. I soli rappresentanti della Lega dei comunisti jugoslavi avevano soprasseduto alla firma, per la prima volta riammessi come osservatori dopo la rottura rabbiosa del 1948. « Il socialismo non può essere introdotto dall'esterno ma deve essere prima di tutto il risultato delle lotte interne della classe operaia e di tutte le forze progressive di ogni paese », procla¬ ma l'appello con un'accentuazione del valore nazionale ed unitario delle vie diverse al socialismo, che, pur essendo mutuata dai classici, apparve all'improvviso una significativa riconsacrazione. Le novità erano state sollevate ed introdotte altrove. Dal 14 al 16 novembre si erano riuniti, separatamente, nella stessa città e nella stessa sede, i dirigenti dei 12 partiti comunisti dei Paesi socialisti i quali avevano coneluso l'incontro, subito filtrato come teso e non pacifico, con la stesura di una prolissa dichiarazione comune, la prima dopo il fatale 1956, che occupò più di una intera pagina de l'Unità del 22 novembre. « I compagni degli altri partiti sono stati consultati nel corso della elaborazione del progetto», avverte il giornale suggerendo quello che in effetti era avvenuto. Togliatti aveva partecipato ai lavori di entrambe le riunioni, unica eccezione determinata dal suo essere ultimo n a » a o a n a l à o a e ao aa o i uli il o a urldi o a o asosegretario vivente fra i capi storici del disciolto Komintern e del dissolto Cominform e motivata dalle posizioni inedite da lui pubblicamente avanzate in Italia sulla rivista Nuovi argomenti del giugno '~>6, dopo la rivelazione americana del rapporto Krusciov ed altrettanto pubblicamente rigettate con asprezza dalla Pravda. Lo scontro precipitò sul capitolo fondamentale intitolato alla identità dì vedute sui problemi della edificazione socialista e, poiché le ispirazioni identiche non erano, né divennero, fu condotto con reciproca ostinazione, come dibattito tutt'altro che filologico, non vincolato alla fenomenologia del passato ma occasione di confronto resosi inevitabile dopo il XX Congresso e le sue interpretazioni separate. Il gruppo dirigente sovietico, da poco liberatosi della resistenza della frazione « antipartito » di Malenkov e Molotov, calcò nuovamente la mano sulla denunzia delle violazioni della legalità socialista addossate a Stalin ma le spiegò con il soggettivismo dell'uomo, con gli eccessi del gruppo, con il settarismo dell'apparato. Sarebbe bastato correggere ora, poiché prima non si poteva, queste storture tutte politiche ossia formali, sovrastrutturali, con forti dosi di collegialità e democratizzazione dall'alto per rimediare ai guasti del meccanismo e riaccreditarlo come modello. Krusciov, del resto, citò Lenin: « E' concepibile che uno Stato socialista che per la prima volta ha istituito la dittatura del proletariato, non commetta errori di alcun genere? ». Era evidente il contrasto con Togliatti che l'anno prima aveva, invece, guardato alla natura strutturale degli errori, al loro carattere non individuale ma sociale inerente all'organizzazione dello Stato ed alla sua gestione, ai rapporti fra base e vertice come possibile terreno di ricerca ancora tutto da battere per una modifica sostanziale del passato. Su questa strada la conferenza non si mise, neppure sciolse il nodo, si limitò, tra il fastidio dei più, a constatarlo. L'esperienza sovietica come unica partitura praticabile, l'equazione liturgica e passionale «difesa dell'Urss eguale difesa del comunismo» uscirono, però, se non sconvolte, certo sostanzialmente per la prima volta incrinate. « I processi rivoluzionari si fondano su una serie di leggi fondamentali proprie a tutti i paesi » ribadì la dichiarazione. « E'" impensabile, non è ammessa una imitazione meccanica della tattica e della politica dell'Urss da parte dei partiti comunisti degli altri paesi... V.I. Lenin ha confermato più volte la necessità di una giusta applicazione dei principi fondamentali del comunismo in conformità dei tratti specifici di una determinata nazione, di un determinato stato nazionale », prosegue il documento con una apertura che Berlinguer ripete e mantiene con nettezza nel '77 (« ciascuno deve seguire vie corrispondenti alle peculiarità e condizioni concrete di ogni Paese »), ma con una fantasia ed un coraggio creativo relativamente meno fervidi di quelli necessari vent'anni fa. A chi lo ricevette alla stazione di Roma il mattino del 22 novembre '57, appena sceso dalla vettura proveniente da Vienna, Togliatti, accompagnato da Scoccimarro, non esitò a parlare di successo e due giorni dopo, nell'editoriale de l'Unità, irrise al « /tosco » dei gruppi imperialisti che avevano puntato sulla divisione e sulla scomunica con l'usuale punta di sarcasmo e sufficienza diretti sia all'esterno che all'interno del partito. Il gruppo rimasto attorno a Pietro Secchia, già vicesegretario del partito, che a Mosca aveva contato su protezioni potenti, sconfitto nel '54 e sostituito nel '55, innalzava infatti in quei giorni la bandiera della fedeltà come stendardo di raccolta dei militanti sinceramente inquieti e dolorosamente dissenzienti e come prova discriminante per valutare la linea generale di tutto il movimento. Nel comitato centrale del successivo 9 dicembre, sviluppando argomentazioni contenute nell'editoriale, Togliatti commentò gli incontri di Mosca come « progresso delle tesi sulla via pacifica al socialismo, sulla conquista del potere senza guerra civile, sulla trasformazione del Parlamento da strumento al servizio della borghesia in strumento al servizio del popolo lavoratore, sul significato universale dell'espansione della vita democratica e della iniziativa creatrice dei lavoratori, sul senso e la portata dell'autonomia di ogni partito », rivendicata proprio dopo Poznan e Budapest, cioè dopo la contraddittoria e combat¬ tvbc8vrnadt1sdpclmVcee2linccpalz tuta solidarietà offerta all'invasione sovietica. Su questo groviglio di problemi Togliatti ritornò in occasione della Conferenza di 81 partiti comunisti nel novembre del '60 dove Longo rappresentò con vigore la linea italiana senza attenuare anzi rendendo esplicite le differenziazioni; nel rapporto al comitato centrale del 10 novembre del '61 quando sostenne cfufu a proposito di Stalin i comunisti non possono comportarsi come certi cattolici che nella galleria dei gTandi pontefici mettono anche Alessandro VI, dimenticando di dire ciò che egli fu in realtà». Rimeditò l'intera materia elaborando alcuni passaggi essenziali del documento del 24 ottobre '63 che, pur finalizzato alla polemica contro i comunisti cinesi e condizionato dall'avvenuta scelta di campo filosovietico senza concessioni alle pressioni separatrici, insiste nell'ostilità al «trasporto meccanico delle cose sovietiche in situazioni diverse»: rifiuto facilitato più dalla storia che dalla volontà. L'esistenza di fonti così precise ed autorevoli, anche se tutt'altro che univoche, non toglie merito a Berlinguer ma gli fa carico dei ritardi e delle perduranti ambivalenze. Quali che siano la natura ed il volto, spesso sgradevoli, delle altre rivoluzioni, egli sembra assicurare, la mia, la nostra sarà radicalmente diversa. Ma, in concreto, quale, e come? Il rischio sta nell'indeterminatezza. Innanzitutto per lo spazio che concede ai passi indietro, alle nostalgie risorgenti non dello stalinismo ma del clima di esaltazione manichea e sbrigativa che allora accendeva, quando essere contro significava, sommariamente, tradimento, sconfitta, collusione con il nemico. Quando, come attualmente, i vertici comunisti hanno bisogno dal corpo del partito più di impegno militante, compattezza organizzativa che di curiosità, spirito analitico, dubbio critico, riaffiorano tendenze riduttive dello stalinismo, che dal crimine regredisce ad errore, come nell'ultima intervista dì Paolo Bufalini. Inoltre, la caratteristica dei paesi socialisti, la persistente soggezione operaia che vi si attua, determinano non solo il loro essere interno ma i rapporti con gli altri paesi socialisti, con i movimenti rivoluzionari, con gli altri Stati, con gli altri partiti e le loro prospettive determinano, piaccia o no, il destino di tutti. Strumento di una proiezione totalizzante, « l'errore » sovietico di continuo propone, ed alimenta, modelli oppressivi simili a sé. Compiere passi avanti, andare al di là della domanda di autonomia avanzata or sono vent'anni, significa scontrarsi con questa verità, proprio perché ormai non basta più limitarsi a trasportare da Roma a Mosca, puntualmente, il proprio bagaglio e la filosofia della diversità, ammessa, poiché in pratica inattuata. Altrimenti ai nodi altrui continua a corrispondere l'incapacità di sostanziare la propria autonomia con un'ardita e limpida esplorazione di quello che sarà, e deve cominciare ad essere, un nuovo Stato, una differente società. Massimo Caprara