La nuova sinistra sul dissenso nell'Est "La rivoluzione si deve ancora fare,, di Stefano Reggiani

La nuova sinistra sul dissenso nell'Est "La rivoluzione si deve ancora fare,, Convegno a Venezia sui "socialismi reali,, organizzato dal "Manifesto,, La nuova sinistra sul dissenso nell'Est "La rivoluzione si deve ancora fare,, (Dal nostro inviato speciale) ! Venezia, 11 novembre. E' vero, c'è stato un tempo (non è lontano; anzi: dura ancora) in cui i dissidenti dell'Est europeo, gli emigrati politici venivano guardati con sospetto e fastidio dalla sinistra. Si preferiva lasciarli in mano ad altri, magari per uso propagandistico spicciolo, e far muro contro la critica. Annota Rossana Rossanda, direttrice del «Manifesto»: «Ci sono state ragioni storiche, ma anche miserie intellettuali». Avverte lo studioso anglo-polacco Daniel Singer: «/ dissidenti dell'Europa Orientale che domandano diritti civili non sono per nulla esigenti; al contrario, limitandosi ai diritti dell'uomo, senza un contenuto sociale, chiedono troppo poco e cose troppo astratte». Informa un noto esperto dell'Est, K. S. Karol: «Abbiamo invitato a discutere sul dissenso teorici dei Paesi socialisti. Ci illudevamo sulla liberalità di Ungheria e Polonia. L'ungherese Andreas Hegedus, uno dei più autorevoli interlocutori, è rimasto a casa perché, secondo le auto¬ rità aveva già compiuto il suo I viaggio annuale all'estero». [ Aggiunge: «Ma adesso, anche all'Ovest, c'è una gran voglia di discutere » Il convegno su « Potere e opposizione nelle società postrivoluzionarie » si è aperto oggi a Venezia per iniziativa della nuova sinistra raggruppata intorno al «Manifesto». Ci sono nomi importanti tra gli ospiti stranieri, come Althusser, Pliusc, Bettelheim, Franqui. E' una premessa politica, tempestiva e insospettabile, alla Biennale del dissenso che, tra polemiche e imbarazzi diplomatici, si inaugurerà martedì. In modo grossolano si potrebbe dire che il convegno copre la Biennale sulla sinistra; in realtà il dibattito è il frutto di una situazione che si muove rapidamente anche nella sinistra. Lo dicevamo in agosto, indagando sull'incerta Biennale: il suo successo, la sua forza di provocazione dipenderanno dal momento ideologico, dall'acutezza della crisi, dalla trasformazione della parola «dissenso», troppo vaga per la gente (e magari esaurita dietro la barba mistica di Solzenicyn), in problema politico. Ebbene, ecco per la prima volta degli intellettuali marxisti, che si collocano a sinistra del partito comunista, discutere come i nuovi filosofi francesi, sui « socialismi reali », sulla repressione, sul Gulag. Eccoli dire, come Rossana Rossanda, che probabilmente il socialismo all'Est non c'è mai stato e che l'unica maniera per celebrare la Rivoluzione d'ottobre è di rifarla. O di farla in altro modo. La Rossanda ha tenuto stamane la relazione introduttiva, limpida nel suo pessimismo, com'è nello stile dell'autrice. Ci veniva in mente la baldanza del più giovane dei nuovi filosofi, Bernard Lévy, tempestoso e sicuro nel dibattiti come il nipote che ha sorpreso il nonno con la cameriera (allora, non c'è più moralità). Eppure, anche la «nuova filosofia», giudicata oggi al convegno come una caricatura delle delusioni socialiste, ha affrettato il movimento autocritico nella sinistra e la voglia di parlar chiaramente. Qual è la differenza tre, la Rossanda e i suoi compagni, e Bernard Lévy e i suoi amici delie edizioni Grasset? Non sta nella diagnosi, ma nella terapia; non nella delusione, ma nella speranza. Il dissenso, secondo la Rossanda, è so¬ lo il segno più vistoso di una irealtà profonda e non si può credere che tocchi semplicemente una questione di diritti civili («troppo poco», secondo Singer); «mentre masse intere di uomini restano subalterne ad un potere che si esercita in loro nome ». Oggi le condizioni internazionali, anche di crisi, anche di riflusso, aiutato a sottrarsi ai ricatti degli Anni Sessanta e si può giudicare i socialismi reali per quel che sono, rotture delle premesse rivoluzionarie in favore di un capitalismo di Stato. Perché «tutte le rivoluzioni avvenute sono bloccate sul punto chiave dello Stato e della libert»? I nuovi filosofi rispondono con insofferenza che non si possono fare domande astratte, i soli socialismi sono quelli che si vedono e il giudizio va dato sulle esperienze reali. Cioè: la speranza socialista ha prodotto storicamente il Gulag, il campo di concentramento, i manicomi per chi non è d'accordo. Resta dunque, dentro le società socialiste, il problema di recuperare la libertà, di ripristinare i diritti civili. Alla Rossanda e a una parte della nuova sinistra questa i interpretazione empirica seni a a bra un modo per tornare indietro, per sottrarsi ai problemi della rivoluzione russa con i princìpi della rivoluzione francese. Ma queste società, si chiede la Rossanda, «sono illiberali perché socialiste o perché non sono »? Lei crede che non si possano lanciare giudizi senza analisi e che l'analisi valida sia ancora quella marxista che individua la natura e i difetti d'ogni società dal rapporto di produzione, dal sistema economico. Allora, nei Paesi dell'Est non si tratta di una involuzione autoritaria da scongiurare con i dirittti civili, ma, a suo giudizio, di una formazione capitalista «di tipo nuovo». E, dentro il capitalismo di Stato, la soluzione per un marxista sta nella ripresa della lotta di classe, appunto in un'altra rivoluzione. Ma chi la farà? Quale blocco sociale e come? Dice Rossanda: «Qui è il fosso politico da saltare». Sulle sue indicazioni è cominciato al convegno un confronto molto serrato. Vedete com'è il dissenso quanto diventa opposizione: una bomba di profondità che arriva fino a Lenin. Stefano Reggiani

Luoghi citati: Europa Orientale, Polonia, Ungheria, Venezia