Re Lear non è Garibaldi di Paolo Grassi

Re Lear non è Garibaldi Re Lear non è Garibaldi I Certe volte il mondo dello spettacolo è costretto a ripescare dall'eterno copione dell'«opera dei pupi», che a nessuno risparmia terribili e allegri colpi di randello. Ecco infatti la rissa tra Paolo Grassi e von Karajan, ecco le sberle inflitte dalla critica teatrale francese a Giorgio Strehler per l'edizione del Re Lear attualmente in scena a Parigi. Vortici di parole e di legnate: come tra i «pupi» che rivestono le corazze di Orlando e Sacripante. Indignarsi? Ma no. Tanto vale divertirsi (e del resto, ai tempi della loro bella gioventù, nel neonato e poi già adulto «Piccolo» di Milano, Grassi e Strehler si scazzottavano davvero. Per la cronaca, vinceva Grassi: a chi era «dentro le segrete cose», i due ricordavano il Clark Gable e lo Spencer Tracy in un vecchio film western-petrolifero, quando i celeberrimi mostri sacri si chiudevano in una stanza e via, botte da orbi senza limitazione di «rounds»,). Dunque: il signor Michel Cournot, critico del «Monde», opera stroncatura su Lear-Strehler. Aggiungendo qualche lustrino, qualche omaggio al «decora e rilevando la piacevole sorpresa di Ottavia Piccolo attrice. Per il resto, nega validità all'interpretazione di Strehler, accusato — oh, orrore! — persino di «fellinismo» ricalcato. Lo staffile parigino Non indigniamoci. Non hanno picchialo Garibaldi. Anche se la tradizionale tracotanza franciosa può dar fastidio (può far persino venir voglia di rendere un ennesimo omaggio a Strehler). Il signor Cournot si sente certo erede dello staffile parigino in fatto di critica teatrale. Se lo tenga. Non consideriamo Strehler un intoccabile, come purtroppo hanno sostenuto, puntellato, rifritto i suoi adoratori in numerosi lustri. Di qui, però, a una «caduta», molta acqua deve ancora correre (se lo stesso Strehler non si imbozzolerà nei suoi stessi vizi). Cournot non sfugge alla legge di crear miti, se mancano, e di contribuire a distruggerli, qualora esistano. Il fatto è che- di questo Lear-Strehler si doveva parlare con riserva da noi, e prima. Sappiamo come il gran regista teutonico-milanese crei le sue opere: con un lavoro di rilettura straordinario, con una minuzia certosina. Ma sappiamo anche che pretende dal suo pubblico ore di apnea. Per uno spettacolo di Strehler, l'utente deve lasciare al guardaroba non solo il paltò, le sigarette, l'ombrello, ma anche il fazzoletto da naso, la trachea, i polmoni. Deve assoggettarsi ad una lezione di «teatro sul teatro» che è tanto mirabile quanto ossessiva (più di una volta ho mormorato, solo ai complici perché altrimenti avrei rischiato la vita: non mi sostiene abbastanza salute per vedere ancora «uno» Strehler). Diritto alla cattedra Con tutto questo, il teatro, nelle sue ultime propaggini, ti uccide mitragliando ore di nudi, di parole a vuoto, di «performance» idiota (e il sacerdote di questa «performance», Boriili, non ini risponda, per favore). Quindi, Strehler ha più che mai diritto ad una sua cittadinanza e ad una sua cattedra che non sarà Cournot a insidiare. Letto e riletto, l'intervento del critico del «Monde» lascia trapelare anche una sottile vena d'invidia: ma come, questi italiani non sono ancora andati a fondo completamente? Il divertimento continuerà. Può darsi che Strehler, come gli accade, risponda con uno dei ponderosi e lunghissimi interventi scritti. Può darsi che Grassi inviti von Karajan nella sua stanza (senza telecamere). Nel teatro, quello vero, non esiste un ordine tipo «rien va»: anche Cournot lo sa. Basta seguire la recita in corso in Francia tra due attori quali il comunista Marchais e il socialista Mitterrand: questi sì che sembrano uscire da una cattiva «lettura» di Strehler, questi sì che meriterebbero l'attenzione dei vari Cournot: non per buttarla in politica, ma a dimostrazione che l'«opera dei pupi» è madre e maestra, da sempre. Giovanni Arpino

Luoghi citati: Milano, Parigi