È sindaco della città più difficile di Furio Colombo

È sindaco della città più difficile A NEW YORK IL POLACCO KOCH HA VINTO L'ITALIANO CUOMO È sindaco della città più difficile Gli abitanti della più grande città del mondo hanno eletto un uomo triste e duro, che ha soltanto promesso molto lavoro per sé e per tutti - Lo aspettano problemi sociali e sindacali aggravati dal suo predecessore, il piccolo e inetto Abrahm Bearne (DJ. nostro corrispondente) New York, 9 novembre. Un giorno d'ottobre, quando Carter era a New York per parlare alle Nazioni Unite, incontrare Gromyko, discutere con Dayan, è scomparso per un paio d'ore. Piti tardi le telecamere mobili della televisione hanno rintracciato il presidente mentre camminava fra macerie, rovine, case con le porte inI chiodate, gente che usciva da strade piene di buchi, soprattutto donne e bambini, per vedere da vicino il visitatore insolito. Sguardi stupiti, indecisi, di gente che non si aspetta nulla e non sa neppure chi è l'uomo che sta osservando con attenzione quelle abitazioni incredibili. «Il presidente ha visitato il South Brcnx», dicevano il giorno dopo i titoli dei giornali. «Sembrava di essere nel Vietnam», ha detto alla televisione uno del fotografi che è e i o , , a i i ù e a. n a ea o, nr di n thé eLa ni ma iei rinle rse e, ti, ro atro re oi, pcle tino oelo aveva saputo in tempo della visita non prevista ed era riuscito a scattare immagini di Jìmmy Carter davanti al paesaggio più squallido degli Stati Uniti. Quel paesaggio è un quartiere, di New York e ha una triste celebrità. Vi abita la gente più povera, sì annida la criminalità peggiore, le case sventrate servono da rifugio a bande di ragazzini che terrorizzano le notti degli anziani come nei racconti medioevali, le cantine sono laboratori per raffinare la droga. In quasi tutti quegli edifici abbandonati abitano gli emigrati più disperati, quasi sempre portoricani. Vivono col terrore del fuoco. Per gioco o per interesse (riscuotere l'assicurazione su edifici che non hanno più alcun valore) le case vengono incendiate di notte. Chi è rimasto in uno di quei buchi rischia ogni sera di non fare in tempo a mettere in salvo ì bambini. Carter dopo la visita ha incaricato alcuni dei suoi assistenti di tornare nelle strade del Bronx. Fra incontri con i capi di Stato, discussioni di trattati e conferenze stampa sui temi che coinvolgono il mondo. Carter si fa portare mappe e disegni, vuole vedere i progetti, ha incaricato gruppi di esperti dì fare i conti. «Il presidente, ha detto Jody Powell in privato, non credeva ai suoi occhi». Jody Powell è l'addetto stampa di Carter e una delle persone più vicine al presidente. Sa benissimo che Carter non è tipo da dimenticare quello che ha visto. «Ma quello che ha visto non si risolve né con una legge né con un miracolo, quello che ha visto è New York», ha detto Abrahm Bearne, un uomo piccolo, con l'aria sempre spaesata, che era fino a martedì sera il sindaco della città. Da mesi gli abitanti di New York hanno dimenticato Abrahm Bearne. Lo hanno dimenticato da quando Bearne ha perso le elezioni primarie del suo partito (Bearne è democratico) e prima ancora, quando, per dare fiducia alle banche che non volevano più fare prestiti alla città sepolta di debiti, era intervenuto il governatore Carey (un irlandese che canta volentieri alle feste, ha sette figli e la sera accompagna volentieri belle ragazze a ballare) e, come dicono a Broadway, gli aveva «rubato lo spettacolo». Ma la scomparsa dell'immagine pubblica di Abrahm Bearne, sindaco inadatto di una città difficile, è avvenuta anche prima. «Bearne è affondato nel buio del black out», aveva scritto Pete Hammil, dopo le famose trentacinque ore dì buio e di paura che hanno segnato come una brutta cicatrice l'estate di New York. Durante questo lungo periodo vuoto, le strade di New York hanno più buchi, le banche pagano sempre meno, i guidatori della ferrovia metropolitana minacciano uno sciopero, l'associazione degli insegnanti chiede protezione nelle scuole perché quasi ogni giorno qualcuno viene assalito in classe, non solo da studenti adulti, anche dai bambini, che circondano il maestro e gli portano via portafogli e orologio. La polizia fa sapere di non avere abbastanza uomini e abbastanza soldi. In questo paesaggio che mostra, come in un triste documentario, tutti gli aspetti della crisi urbana, sono passati i due protagonisti della guerra elettorale di New York, Mario Cuomo ed Edward Koch. Il gruppo delle facce di coloro che cercano voti era molto più affollato naturalmente. I newyorkesi dovevano eleggere i presidenti dei quartieri della città, i membri del consiglio comunale, molti giudici e una quantità di funzionari locali. In tanti piccoli territori oscuri di potere si sono celebrate lotte durissime, scontri feroci, vecchi padri potenti sono scesi in campo l'uno contro l'altro per difendere e raccomandare la candidatura dei figli. Ma l'attenzione della città si è fissata sulle due facce diverse di Cuomo e di Koch. Cuomo viene dalla trafila del potere locale, che lo ha portato alla carica, relativamente importante, nella vita politica locale, di «segretario di Stato» di New York. Edward Koch, dopo aver pagato i suoi debiti ai gradini più bassi, agli impegni di routine della macchina di partito, ha l'immagine più prestigiosa di membro del Congresso. Rappresenta a Washington un distretto elettorale di Manhattan. Sono due uomini che hanno vissuto sempre nell'apparato politico del partito democratico e che, nonostante le tradizioni non brillanti della politica locale a New York, hanno un passato senza ombre. Fra questi due uomini i newyorkesi, in grande maggioranza legati al partito de¬ mstegmEqgsclaImpcYdYKshnsmevMzupVAovzlNm' mocratico fin da quando questo partito era la sola protezione per le masse di emigrati, hanno già scelto da mesi. Alle elezioni primarie Edward Koch ha battuto con quasi il doppio dei voti un gruppo di molti rivali, ha spazzato l'immagine del vecchio sindaco ed anche quella dì Cuomo, il nuovo rivale. Il solo italiano che si sia mai avvicinato con tante possibilità di successo alla carica di sindaco di New York dopo Fiorello La Guardia. Ci si è domandati a New York come mai Edward Koch, uomo solitario e austero, che non ha famìglia, ha pochi amici e una personalità scontrosa e introversa, abbia vinto così facilmente sullo stile italiano e napoletano di Mario Cuomo, che ha fatto la sua campagna elettorale fiancheggiato da una moglie cordiale e da una squadra di figli da telefilm. Si è fatta l'ipotesi dei gruppi etnici, naturalmente. Gli ebrei di New York hanno vinto ancora sugli italiani. Ma Edward Koch, nelle elezioni primarie, ha eliminato un personaggio più forte e più esuberante di Cuomo, Ver membro dsl Congresso e candidata al Senato Bella Abzug, a cui Carter aveva offerto un posto nella nuova amministrazione. La Abzug non solo era sostenuta dalla parte più ricca e brillante dell'elettorato ebreo di New York, ma aveva un'immagine nazionale, una presa ' mondana e hanno fatto campagna elettorale per lei Jane Fonda, Shirley MacLaine, Jack Lemmon e Anne Bancroft. Ma la Abzug, con i suoi grandi cappelli, le sue fotografie sui giornali di moda, salutata, abbracciata, baciata sulla porta delle discoteche della New York più lontana dalle strade del Bronx, non è stata scelta. E forse a Mario Cuomo non ha giovato che si sia parlato di lui nelle chiese italiane come di «uno dei nostri». Forse la comunità italiana ha stretto troppo presto le file intorno a una figura nuova e integra, chiudendolo in un abbraccio pieno di ombre, dì accenni e ricordi, che hanno finito per presentarlo come il figlio di una «famìglia» a cui Mario Cuomo non appartiene, una «famiglia» ferita da episodi celebri e tragici. Lentamente, senza esultanze e senza crociate, i newyorkesi si sono rivolti a Koch. E Koch, uomo molte volte sconfitto, molte volte abbandonato e «tradito» (è una parola che lui, sospettoso come tutti gli uomini soli, ripete spesso) è il vincitore di queste elezioni, l'uomo che da ieri sera è sindaco di New York. Non c'è niente di grandioso in queste elezioni e non c'è niente di grandioso intorno a Edward Koch e alla sua vittoria. Forse la sua immagine di marciatore triste, che non si ferma di fronte a nessuna sconfitta e che, non avendo vita privata, è sempre ai lavoro, è piaciuta ai cittadini di New York in questa stagione di crisi. Koch ha promesso ben po¬ co, non è aperto alle grandi rivendicazioni, è duro, più per austerità personale che per principi politici, contro gli scioperi, e la severità della sua faccia e della sua vita corrispondono all'immagine di New York in questi anni. Non c'è bisogno di essere esperti per dire che prima di ritrovare un po' di equilibrio New York dovrà attraversare periodi ancora più difficili. Tutti sanno che i mali di una città di queste dimensioni (quattordici milioni di cittadini, venti milioni di persone che vengono qui a lavorare ogni giorno) vengono soprattutto dal peso di una immensa immigrazione di poveri (prima i negri del Sud, poi gli spanish da Portorico), attratti dalle leggi più liberali, dalla migliore assistenza sociale di tutta l'America. Sotto questo peso, la città in parte ha ceduto, mostrando uno squilibrio esasperato fra la parte ricca che si regge da sola e la parte «assistenziale» che è grandissima e per cui nessun investimento, nessuna tassa è più sufficiente. Bisogna pensare a riorganizzazioni profonde della città, cercare una vita diversa per i quartieri, forse attraverso un'autonomia radicale. Bisognerà trovare un legame fra la città, che nella tradizione americana dovrebbe reggersi da sola, e il governo federale. Il peso che New York deve subire con l'immigrazione di massa non potrà mai essere pagaia da un solo municipio. New York è una città punita dal sogno, dalla promessa, dalla immagine attraente, dalle sue leggi generose ed invitanti. Carter avrà pensato a queste cose visitando le rovine delle case nel Bronx. Gli elettori ci avranno pensato ieri, scegliendo un uomo triste e duro per una stagione senza promesse. Il vantaggio di Koch, che ha vinto, è di non essersi impegnato a fare nulla per nessuno. Ha annunciato solo molto lavoro per sé e per tutti. Forse è stata questa naturale au¬ sterità, questa istintiva tristezza a renderlo credibile. Con lui non si apre un periodo festoso o una nuova frontiera. Koch non ne avrebbe le qualità e la città non ne ha i mezzi. Ma finisce il senso di vuoto del piccolo sindaco inetto. Entra un personaggio che ricorda il burocrate laborioso della Polonia da cui il padre di Koch è emigrato quando aveva quattordici anni. Koch, da quando si è laureato in legge, venticinque anni fa, vive in un piccolo appartamento da scapolo di due stame nel Greenwich Village, una zona di New York non lontana dai quartieri della prima emigrazione ebrea e italiana. Koch dice che non lascerà quella casa da duecentocinquanta dollari anche se al sindaco spetta la bella residenza di Graeie Mansion. I suoi pochi amici del sabato sera si chiamano Popolizio, Wolf, Margolis, Aschkenazy. Lo Cicero. Bess Mayerson, una bella signora di New York che è stata Miss America nel 1945, lo ha accompagnato per mano ai comizi. Ma Koch è restato fedele all'ambiente degli emigrati del Lower East Side. Gli ha fatto piacere che un rabbino e un prete cattolico abbiano pregato per la sua vittoria. Ma anche ieri ha ripetuto col suo sorriso triste: « All'inizio non c'eravamo che mio padre ed io a credere che ce l'avrei fatta». Ora arriva da solo, un po' curvo, cammina ansioso come se avesse paura di timbrare la cartolina in ritardo. Lo aspetta un lavoro immenso e impossibile. E' il nuovo sindaco di New York. Furio Colombo